Sono iniziati i campionati di calcio targati Brazil e io sono andato a prelevare dallo scaffale dei miei libri il Fútbol di Osvaldo Soriano (pubblicato da Einaudi nel 1998). Soriano mi è sempre stato simpatico da quella volta che in libreria, moltissimi anni fa, vidi il suo Triste, solitario y final che aveva in copertina i volti di Stan Laurel e Oliver Hardy e siccome io sono un appassionatissimo della coppia presi il libro, come si dice, a scatola chiusa. E presi a scatola chiusa anche questo Fútbol, che mi strizzò l’occhio dal bancone di una libreria di L’Aquila dove mi trovavo alcuni anni fa, ancora prima del terremoto. Per la verità sono stato a L’Aquila anche dopo il terremoto e forse era meglio se non andavo perché fu una esperienza terribile. Sembrava davvero una città morta. Forse qualcosa del genere aveva immaginato Guido Morselli quando scrisse Dissipatio H.G., altro libro allucinante.
A farla corta, dunque, soltanto adesso mi sono messo a leggere Fùtbol perché i libri si acquistano sollecitati dal titolo o da una particolare ispirazione dell’autore ma non sta scritto da nessuna parte che li devi leggere subito. A volte, come si dice, manca il tempo e qui aveva ragione il vecchio Arhur Schopenhauer quando nei suoi Parerga e paralipomena scriveva che “sarebbe bene comprar libri, se insieme si potesse comprare il tempo per leggerli…” (diceva anche che “ogni e qualsiasi libro importante deve essere letto subito due volte…” e anche qui aveva perfettamente ragione).
Ma torniamo a noi. Leggo Fútbol e invito anche voi a farlo per trasformare questo evento calcistico planetario, dove si parla solamente di piedi e di calci, in un intenso e gradevole momento culturale. E poi questo Soriano è davvero in gamba. Troverete un don Salvatore tutto triste perché è morto Borges, che era suo coetaneo e che però non aveva mai letto però lo stimava perché era uno che pensava con la testa. E questo don Salvatore chiede a Soriano se fosse difficile il mestiere dello scrittore ma soprattutto a cosa servisse e lui, già preparato a una domanda che aveva sentito formulare un sacco di volte, risponde che scrivere non serve a niente. Anche Marino Moretti scrisse un libro intitolato Scrivere non è necessario, ma intanto lui scriveva ed è diventato Marino Moretti.
Ci sono anche giudizi sul mondo del calcio. “Adesso – si legge in Fútbol – sono molto pentito di aver giocato. Se dovessi ricominciare la mia vita da capo, il campo da gioco non lo degnerei di uno sguardo. No, il calcio è tutto uno schifo. Dirigenti, certi giocatori, giornalisti, tutti sono ficcati dentro l’affare senza che si preoccupino neanche un po’ della dignità dell’uomo”.
E poi c’è il racconto che parla del rigore più lungo del mondo e di altre partite strambe che a volte sembrano richiamare la partita di tennis senza palla e senza racchette immortalata in Blow-up da Michelangelo Antonioni (il regista ovviamente, da non confondere con Antognoni che invece tirava calci al pallone). E mi fermo qui sennò va a finire che vi racconto tutto il libro. Io, comunque, non la penso come Soriano perché se dovessi ricominciare la mia vita da capo affronterei il pallone in maniera diversa e anziché appendere le scarpette al chiodo le avrei calzate ancora per molti anni ma ai tempi miei la priorità era lo studio e il pallone doveva restare sempre e comunque un gioco. Ho giocato poco a calcio e me ne dispiace. Magari avrei patito solamente delle delusioni ma nessuno può saperlo. Chissà, oggi avrei potuto essere una vecchia gloria e invece sono soltanto vecchio, come dimostra la carta d’identità. Ma tutto sommato non mi dispiace di avere abbandonato gli arti inferiori per quelli superiori, che in questi ultimi anni mi sono serviti se non altro per scrivere un sacco di robe, ivi comprese queste Bollicine e la cosa più straordinaria non è tanto il fatto che io scriva queste Bollicine quanto piuttosto che qualcuno pure le legga, come è accaduto a Ugo Fangareggi, l’indimenticato scudiero Mangold di Brancaleone-Gassmann nel film di Monicelli. Ogni tanto ci scambiamo parole sul web e l’ultima volta mi ha raccontato la sua vita e io mi sono pure commosso. Per ricompensarlo della fiducia io allora gli ho raccontato la mia, infrangendo la regola del giovane Holden Caufield che in chiusura del suo straordinario romanzo avvertiva i lettori di non raccontare mai a nessuno le proprie vicende personali. E Ugo mi fa sapere che pure lui si è commosso. La cosa, dunque, è finita in pareggio, proprio come una partita di calcio. Calcio… palloni… campionati mondiali… Soriano… Fútbol…
Franco Gàbici
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).