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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

12 Maggio 2002
[Il prossimo aggiornamento sarà il 22 Maggio]

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«La mappa del passato si ricostruisce anche attraverso i sapori, gli odori e i rumori. La madre di Marcel Proust «mandò a prendere una di quelle focacce pienotte e corte chiamate "maddalenine" [...] ed ecco, macchinalmente, - scrive Marcel - oppresso dalla giornata grigia e dalla prospettiva d'un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzetto di maddalena. Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario...».
Certo, Proust è Proust, ma ognuno di noi, nascosta da qualche parte, ha la sua "maddeleine", magari camuffata dietro a un odore o un sapore. Mario Rigoni Stern, ad esempio, scrive nel suo libro di memorie Il sergente nella neve (1953): «Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato» e doveva essere un odore assai robusto se gli si è conficcato in testa al punto da ricordarlo ancora molti anni dopo, quando la rotolante carovana degli anni aveva già portato lontano il cupo rumore delle battaglie.
E poi ci sono i rumori. Per carità non voglio paragonarmi al grande Proust e nemmeno a Rigoni Stern, ma anch'io ho la mia "maddaleine", celata dietro al ronzio metallico delle biciclette che proprio in questo periodo attraversavano le strade del nostro bel paese in occasione della multicolore kermesse del Giro ciclistico d'Italia, organizzato dalla Gazzetta dello Sport che, in omaggio al colore delle sue pagine, stabilì di mettere sulle spalle del primo in classifica la tradizionale "maglia rosa". Il Tour del France, invece, ha adottato la maglia gialla per via che le pagine dell’Équipe sono gialle.
Briciole di cultura sportiva. Il ronzio delle biciclette ha fatto il nido in qualche angolo di me e ogni anno, a primavera, viene stimolato ad uscire allo scoperto in occasione del Giro che non è più la cosa ruspante e romantica di un tempo, ma è pur sempre il Giro. Oggi i più giovani non possono capire il fascino di certe radiocronache di Ferretti quando faceva tenere il fiato sospeso ai tifosi coi suoi indimenticabili incipit che ricostruivano per approssimazioni successive i contorni della corsa. Prima regalava la descrizione del paesaggio, quasi sempre una faticosa salita che si inerpicava fra tornanti malandrini, poi la fatica dell'atleta che pigiava lento sui pedali, quindi la descrizione della sua "solitudine" (ricordate? "un uomo solo è al comando..."), quindi il colore della maglia e finalmente il nome (Fausto Coppi o Gino Bartali...) che quasi liberava dall'incubo dell'attesa. Il Giro era anche questo, un evento che si costruiva con la fantasia attorno alla radiolona a valvole che pareva una cassapanca, ma dentro a quella cassapanca quanta poesia! È la poesia della bicicletta che ha acceso la fantasia di poeti e scrittori, perché la bici è mezzo poetico per eccellenza. Sul Ghisallo c'è perfino un monumento alla bicicletta con questa dedica: «Poi Dio creò la bicicletta perché l’uomo ne facesse strumento di fatica e d’esaltazione nell’arduo itinerario della vita...».
Nel 1902 Alfredo Oriani dal suo angolo di Romagna scrisse il romanzo La bicicletta e proprio quest’anno, in occasione del centenario, il mio amico Ennio Dirani, presidente dell’Ente Casa Oriani, finissimo intellettuale e appassionato cicloturista, ne ha curato una edizione critica che uscirà fra poco (Longo Editore). Oriani fa della bicicletta uno strumento che vince le categorie alle quali siamo da sempre incatenati (lo spazio e il tempo) e ci regala questa bellissima considerazione sul suo equilibrio: «stiamo in bilico e quindi nella indecisione di un gioco, colla tranquilla sicurezza di vincere».
Olindo Guerrini, che fu presidente del Touring e che alla bicicletta dava del tu, così immortalò il suo amore per la bicicletta: «Sovra il ferreo corsier passo contento/come a novella gioventù rinato e/sano e buono e libero mi sento».
Renato Serra, che da Cesena amava recarsi a Bologna in bicicletta, dedicò al cavallo d’acciaio Guardando la bicicletta. La bici in Romagna era (e lo è ancora, si capisce) di casa. Alfredo Panzini raccontò il suo viaggio da Milano a Bellaria: «L'11 luglio, alle ore due del pomeriggio, io varcavo finalmente, dall’alto della mia vecchia bicicletta, il vecchio dazio milanese di Porta Romana».
E Giovanni Pascoli? Ci sembra addirittura di essere con lui mentre attraversa la campagna al suono del dlin dlin...
Per Cesare Angelini la bicicletta ha «il pudore del silenzio, è una sintesi di equilibrio, suscitando il miracolo di certi fatti nascosti, di mani occulte che sorreggono; la parabola evangelica del cammino sulle acque; se hai fede i tuoi piedi calmano l'onde e cammini; se cessa la fede, sommergi. È la silenziosa compagna del viaggiatore: sollecita delle sue puntualità, partecipa dei suoi pensieri, ma non li turba».
Mario Praz la innalza addirittura nell’olimpo dei classici: «Anche noi conoscemmo la divina ebbrezza di respirare lo spazio soave come nettare, non contaminato dalla benzina. Anche noi sfrecciammo giù per le scese lasciandoci dietro una decorativa nube di polvere, come dietro il carro di un eroe di Omero».
Le conferenze episcopali del 1903 e del 1909 bandirono la bici e la vietarono ai preti, ma alcuni decenni dopo Marino Moretti nella Vedova Fioravanti (1941) descriverà il suo don Dorligo in bici: «Saltò in bicicletta. Era quasi felice di volare, col vento che gli tagliava la faccia. Tutto gli piaceva: la bicicletta, il caldo, il freddo, la certezza di far presto, vado e torno, ed anche la sua gioventù così poco diversa in fondo da quell’altra sua gioventù che va in bicicletta a trovar la sua bella».
Lo sport della bicicletta non piaceva a Bruno Cortona, indimenticabile protagonista de Il sorpasso (Dino Risi, 1962): «ingrossa le gambe...meglio il biliardo».
Quante cose ancora ci sarebbero da dire. L’avversione di Carducci, per esempio, o la bicicletta descritta da Guareschi nel suo "Mondo Piccolo" e l'epifania finale ne Il prete bello di Goffredo Parise, moderno Ippogrifo che porta via per sempre Cena da questa terra.
Mi accorgo, però, di aver pedalato troppo, ma prima di scendere dalla bici voglio ricordarvi che la bicicletta ha anche una sua poesia in latino, anzi due: Bicycula e In re cyclistica Satan. Furono pubblicate nel 1931 e sono di Luigi Graziani di Bagnacavallo, paese natale di Leo Longanesi. Fine della pedalata.

Franco Gàbici

 

Questa bollicina è zeppa da scoppiare e non c’è spazio per indicare le citazioni. Invito i miei lettori a una bella pedalata alla ricerca della citazione perduta!

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

 

 

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