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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

28 Ottobre 2001

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Ma sì, ammettiamolo senza vergogna: non sono mai riuscito a portare a termine la lettura dell'Ulisse di Joyce, nonostante una quantità incredibile di tentativi. Quando uscì questa bestia di libro ero un liceale di belle speranze e per la verità non è che mi interessassero certe cose, tutto preso come ero dalle sirene che mi impedivano di varcare lo "Scilla e Cariddi" oltre il quale stava il vasto pelago dell'età matura.
Mio cugino Gigi, invece, che era un anno avanti e che aveva un particolare sesto senso per le novità (a casa sua, tanto per dire, si ascoltavano Luigi Tenco e Piero Litaliano. Sissignori, era proprio scritto in questa maniera, e Litaliano era lo pseudonimo di Piero Ciampi, la cui prima incisione fu il 45 giri Blue Bell 03044 del 1960 «Confiteor/La grotta dell'amore», ma il suo più famoso successo fu «Lungo treno del sud» accoppiato con «Non siamo tutti eroi» (CGD 9331) che iniziava così, cito a memoria, Tinge un prato di nero e nasconde l orizzonte, le rocce del mare, poi scompare come il tempo dei sogni e coi sogni mi abbandona quaggiù... Lungo treno del sud, che a mezzogiorno passi accanto al mio campo, distruggendo un silenzio...), mio cugino dunque aveva acquistato da poco un volume della Medusa mondadoriana, la collana dai libri orlati di verde, e mi disse guarda un po' questo tipo che scrive come se nella sua macchina da scrivere gli avessero sequestrato i martelletti dei segni della punteggiatura e poi mi mostra pagine e pagine di considerazioni che, a quanto si diceva, erano il frutto delle considerazioni del protagonista mentre stava meditabondo sulla tazza del water. E io a pensare che razza di libro fosse e soprattutto mi veniva fatto di dubitare della utilità della scuola, dove invece ti obbligavano a leggere Manzoni e se non mettevi la punteggiatura nei siti giusti erano guai colorati di blu (probabilmente la famosa canzone di Tony Dallara «Brivido blu» nacque nel mondo della scuola).
L'Ulisse! Ricordo benissimo quell'accidenti di libro che la Mondadori aveva messo sul mercato senza nemmeno una riga di commento quasi si trattasse di un libro di Luca Goldoni, ma ricordo anche che, poco tempo dopo, usć la guida di Giorgio Melchiori, un indispensabile filo di Arianna per far muovere il lettore in quell'impervio mare di prosa dentro al quale sicuramente sarebbe annegato.
E dopo molti anni compresi che non era necessario aver letto tutto l'Ulisse perché tanta gente dimostrava di campare lo stesso anche senza averlo letto. Me lo confermò mio cugino Gigi (ingegnere) che chiese a un suo collega reduce da una vacanza a Dublino se mai fosse andato a visitare la Torre Martello. Questi, però, gli rispose che accidenti fosse questa Torre Martello. Mio cugino ribadì le sue convinzioni sulla categoria degli ingegneri, ma non tutti gli ingegneri si chiamano Carlo Emilio Gadda o Carlo Levi!
L'Ulisse resta in ogni caso una dolorosa spina nella carne. Chissà se mai arriverò a piantare la piccozza su quel e il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì.
Mah! Tutto questo mi deprime, come il disordine che regna sulla mia scrivania. Un disordine tale che non mi riesce più di trovare l'ultimo numero di «Topolino»!

Franco Gàbici

 

N.B. I corsivi sono tratti da «Ulisse» di James Joyce.

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

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