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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

Ravenna, 7 marzo 2004

 

 

 

 

 

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Fuori piove e la primavera sembra essersi smarrita
E io ricordo antiche primavere anche perché, dopo tutto, ricordare è bello.

Ho letto, devo dire con una certa soddisfazione, che la serata di venerdì del Festival di Sanremo ha fatto registrare un calo verticale di spettatori nella gran parterre della televisione e sinceramente mi sono stupito di questo inatteso rinsavimento dei miei connazionali ma poi, evidentemente non c’è limite al peggio, ho letto che l’emorragia di spettatori se ne è andata ad alimentare il “Grande Fratello” e allora, cari miei, vuol dire proprio che non ci siamo. Ma tant’è, accettiamo il mondo così com’è e se scrivo queste cose non è certo per snobismo, io il festival non lo seguo e basta, proprio non mi interessa e non è che abbia molto tempo: anziché seguire la maratona sanremese preferisco andarmene a fare quattro passi sul molo a bearmi della Luna, che sta ingozzando luce a più non posso per arrivare bella e tonda all’appuntamento del plenilunio.
La Luna sul mare, poi, è straordinariamente bella perché ti squaderna davanti una tremula scala di luce che da terra arriva fino in cielo sicché quasi quasi ti verrebbe voglia di camminarci sopra.
La Luna!
Nelle canzonette l’hanno rifritta in tutte le salse: l’hanno dipinta di rosso e perfino di verde (mai vista, però, una luna di quel genere, ma nella tavolozza dei poeti c’è anche posto per una luna verde). L’hanno chiamata “blue”, cioè triste e l’hanno immaginata d’oro (“Moon of gold” cantava Neil Sedaka), di zucchero (“O sugar moon” cantava invece Pat Boone) e perfino di carta ("It’s only a paper moon"… diceva Frank Sinatra).
La Luna, cantava Enzo Jannacci, può anche essere scambiata per una lampadina con le stelle che sembrano limoni gettati nell’acqua.
Beh, che le stelle possano sembrare dei limoni non ci avrei mai pensato, ma di cose strambe è pieno il gran canestro del mondo e del resto si è sempre detto che non c’è al mondo stramberia che non sia già stata detta da qualche filosofo. Sto citando a memoria, ma mi sembra che lo affermasse Cicerone e un po’ di ragione l’aveva: oh, sì, se l’aveva. Visto che siamo entrati in argomento ve ne passo una bella targata Hegel, mica uno scherzo. Dunque, Hegel ha scritto nella sua Grande Enciclopedia (Hegel è complicatissimo, ma questa enciclopedia prima o poi dovremo leggerla) che le stelle sarebbero una “eruzione cutanea luminosa del cielo”, sissignori, una eruzione, uno sfogo, come se la volta celeste fosse un viso con i brufoli. Evidentemente la notte gli suggeriva pensieri sublimi e così, accanto al cielo stellato da curare magari con una pomata, tirò fuori la faccenda delle vacche bianche che di notte sembrano nere il che è tutto da dimostrare. Ma guarda te i filosofi che, di fronte al cielo, se ne stanno a pensare ai brufoli e alle vacche.
Il mondo è proprio strano, ma è il nostro mondo, quel mondo che è nato circa cinque miliardi di anni fa da una nebulosa, vale a dire una nube di gas e di polveri, freddissima e molto estesa. Questa ipotesi detta “nebulare” fu avanzata da Laplace, che era un matematico, ma anche da Immanuel Kant che invece era un filosofo e mi piace ricordare Kant perché proprio quest’anno ricorrono i duecento anni della morte e già ho notato articoli che parlano di lui, del grande Emmanuel da Koenigsberg, che mai si mosse da casa sua a dimostrazione che viaggiare serve poco o niente. La pensava così anche Ennio Flaiano e, nonostante le sue pigrizie motorie, è diventato immortale.
Certo, al liceo la pensavo diversamente soprattutto quando ricordo che fra le letture filosofiche il nostro professore aveva scelto “La critica della ragion pura” (commento di Gustavo Bontadini) che, letta a diciotto anni, è una roba che ti manda il cervello fuor di rotaia. Molta sabbia nel frattempo si è depositata nel cono inferiore della clessidra e in mezzo a quella sabbia ci stanno i ricordi. Già i ricordi. Norman O.Brown scrisse nel suo mitico “La vita contro la morte” questa considerazione: “Che rapporto c’è tra la fissazione sul passato e la repressione della morte? Il termine intermedio è ovvio: il rifiuto di invecchiare”. E poi ricorda che, a livello biologico, gli organismi vivono una vita senza storia perché vivere e morire costituiscono una inscindibile unità e ti cita Shakespeare “ripeness is all” (la maturità è tutto) e invece noi sembriamo voler rifiutare la maturità e rifugiarci in un limbo speciale.
Il passato e tutti i suoi ripensamenti hanno dato origine però alla poesia. Cosa sarebbe Leopardi senza il ricordo? Massimo Bontempelli, invece, scrive che “c’è una quantità di gente che per tutta la vita non fa altro che ripensare con sospiro alla propria fanciullezza. Nostalgia è insistere su posizioni esaurite, per pigrizia cioè impotenza a crearne di nuove. E c’è persino un genere letterario fondato su questo bell’atteggiamento. Molti sono i generi fastidiosi, ma nessuno più fastidioso di questo. Al rimuginatore del proprio passato infantile io cordialmente auguro di tornar feto, o anche più indietro”.
Fuori piove e la primavera sembra essersi smarrita. E io ricordo antiche primavere anche perché, dopo tutto, ricordare è bello.

Franco Gàbici

La citazione da “La vita contro la morte” di Norman O.Brown è a pag. 159 (Il Saggiatore, 1968).
La citazione di Massimo Bontempelli è tratta da “L’avventura novecentista”, Vallecchi, 1974, p. 113.


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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .


 

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