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Fuori piove e la primavera sembra essersi smarrita
E io ricordo antiche primavere anche perché,
dopo tutto, ricordare è bello.
H o letto, devo dire con una certa soddisfazione, che la
serata di venerdì del Festival di Sanremo ha fatto registrare un calo
verticale di spettatori nella gran parterre della televisione e
sinceramente mi sono stupito di questo inatteso rinsavimento dei miei
connazionali ma poi, evidentemente non c’è limite al peggio, ho letto
che l’emorragia di spettatori se ne è andata ad alimentare il “Grande
Fratello” e allora, cari miei, vuol dire proprio che non ci siamo.
Ma tant’è, accettiamo il mondo così com’è e se scrivo queste cose non è
certo per snobismo, io il festival non lo seguo e basta, proprio non mi
interessa e non è che abbia molto tempo: anziché seguire la
maratona sanremese preferisco andarmene a fare quattro passi sul molo a
bearmi della Luna, che sta ingozzando luce a più non posso per arrivare
bella e tonda all’appuntamento del plenilunio.
La Luna sul mare, poi, è
straordinariamente bella perché ti squaderna davanti una tremula scala
di luce che da terra arriva fino in cielo sicché quasi quasi ti verrebbe
voglia di camminarci sopra.
La Luna!
Nelle canzonette l’hanno rifritta
in tutte le salse: l’hanno dipinta di rosso e perfino di verde (mai
vista, però, una luna di quel genere, ma nella tavolozza dei poeti c’è
anche posto per una luna verde). L’hanno chiamata “blue”, cioè triste e
l’hanno immaginata d’oro (“Moon of gold” cantava Neil Sedaka),
di zucchero (“O sugar moon” cantava invece Pat Boone) e perfino di carta
("It’s only a paper moon"… diceva Frank Sinatra).
La Luna, cantava Enzo Jannacci, può anche essere
scambiata per una lampadina con le stelle che sembrano limoni gettati
nell’acqua.
Beh, che le stelle possano sembrare dei limoni non ci avrei
mai pensato, ma di cose strambe è pieno il gran canestro del mondo e del
resto si è sempre detto che non c’è al mondo stramberia che non sia già
stata detta da qualche filosofo. Sto citando a memoria, ma mi sembra che
lo affermasse Cicerone e un po’ di ragione l’aveva: oh, sì, se l’aveva.
Visto che siamo entrati in argomento ve ne passo una bella targata Hegel,
mica uno scherzo. Dunque, Hegel ha scritto nella sua Grande
Enciclopedia (Hegel è complicatissimo, ma questa enciclopedia prima o
poi dovremo leggerla) che le stelle sarebbero una “eruzione cutanea
luminosa del cielo”, sissignori, una eruzione, uno sfogo, come se la
volta celeste fosse un viso con i brufoli. Evidentemente la notte gli
suggeriva pensieri sublimi e così, accanto al cielo stellato da curare
magari con una pomata, tirò fuori la faccenda delle vacche bianche che di
notte sembrano nere il che è tutto da dimostrare. Ma guarda te i
filosofi che, di fronte al cielo, se ne stanno a pensare ai brufoli e alle
vacche.
Il mondo è proprio strano, ma è il nostro mondo, quel mondo che
è nato circa cinque miliardi di anni fa da una nebulosa, vale a dire una
nube di gas e di polveri, freddissima e molto estesa. Questa ipotesi
detta “nebulare” fu avanzata da Laplace, che era un matematico, ma anche
da Immanuel Kant che invece era un filosofo e mi piace ricordare Kant
perché proprio quest’anno ricorrono i duecento anni della morte e già ho
notato articoli che parlano di lui, del grande Emmanuel da Koenigsberg,
che mai si mosse da casa sua a dimostrazione che viaggiare serve poco o
niente. La pensava così anche Ennio Flaiano e, nonostante le sue
pigrizie motorie, è diventato immortale.
Certo, al liceo la pensavo
diversamente soprattutto quando ricordo che fra le letture filosofiche
il nostro professore aveva scelto “La critica della ragion pura”
(commento di Gustavo Bontadini) che, letta a diciotto anni, è una roba che
ti manda il cervello fuor di rotaia. Molta sabbia nel frattempo si è
depositata nel cono inferiore della clessidra e in mezzo a quella sabbia
ci stanno i ricordi. Già i ricordi. Norman O.Brown scrisse nel suo
mitico “La vita contro la morte” questa considerazione: “Che rapporto
c’è tra la fissazione sul passato e la repressione della morte? Il
termine intermedio è ovvio: il rifiuto di invecchiare”. E poi ricorda che,
a livello biologico, gli organismi vivono una vita senza storia perché
vivere e morire costituiscono una inscindibile unità e ti cita Shakespeare “ripeness is all” (la maturità è tutto) e invece noi
sembriamo voler rifiutare la maturità e rifugiarci in un limbo speciale.
Il passato e tutti i suoi ripensamenti hanno dato origine però alla
poesia. Cosa sarebbe Leopardi senza il ricordo? Massimo Bontempelli,
invece, scrive che “c’è una quantità di gente che per tutta la vita non
fa altro che ripensare con sospiro alla propria fanciullezza. Nostalgia
è insistere su posizioni esaurite, per pigrizia cioè impotenza a crearne
di nuove. E c’è persino un genere letterario fondato su questo bell’atteggiamento.
Molti sono i generi fastidiosi, ma nessuno più fastidioso di questo. Al
rimuginatore del proprio passato infantile io cordialmente auguro di
tornar feto, o anche più indietro”.
Fuori piove e la primavera sembra essersi smarrita. E io
ricordo antiche primavere anche perché, dopo tutto, ricordare è bello.
Franco Gàbici
La citazione da “La vita
contro la morte” di Norman O.Brown è a pag. 159 (Il Saggiatore, 1968).
La citazione di Massimo Bontempelli è tratta da “L’avventura novecentista”, Vallecchi, 1974, p. 113.
Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della
cognizione di
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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