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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale


 

25 maggio 2003

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Questa Bollicina, cari amici lettori, voglio dedicarla ad un evento che per me è davvero eccezionale. Ho sempre avuto il pallino delle date e degli anniversari da celebrare e oggi è giunta l’occasione di ricordarne uno tutto speciale. Per me, si capisce.

Il 22 maggio scorso, infatti, ho compiuto i sessant’anni anzi, per usare una perifrasi coniata apposta per esorcizzare l’inesorabile marcia a tutto vapore del tempo, ho compiuto "i miei primi sessant’anni", come se la vita me ne riservasse altri sessanta per arrivare a 120, cosa di cui dubito parecchio. Anche se, devo dire,qualcuno si era messo in testa di far campare la gente proprio fino a quella venerandissima età. Si tratta di Tommaso Giannotti, detto anche il Filologo. Era un medico ravennate e dunque non è affatto vero che Ravenna non produca nulla di buono a parte il Sangiovese (da "Sanguis Iovis"…) e la "piadina", ricordata perfino nell’Eneide, scritta proprio da quel Virgilio che accompagnò nel suo viaggio ultraterreno il sommo Dante (il cui "vero" viaggio terminò proprio a Ravenna nel settembre del 1321). E Tommaso Giannotti scrisse proprio un volumetto con i consigli per arrivare a 120 anni (lui però si dimostrò un pessimo propagandista dei suoi metodi perché morì molto prima, a dimostrazione che fra il dire e il fare…) e il libro doveva essere abbastanza noto se il grandissimo Giacomo lo cita in una delle sue "Operette morali" e precisamente nel "Dialogo fra un fisico e un metafisico" dove all’inizio viene fatto un preciso riferimento all’opera del Giannotti ("sarebbe libro da ridere se non fosse oscurissimo"), il cui titolo è "De vita hominis ultra CXX annos protrahenda" (1550). Il metafisico, però, invita il fisico a chiudere il libro dentro ad una cassetta di piombo e a sotterrarlo per riesumarlo solamente "quando sarà trovata l’arte di vivere felicemente". E allora sai tu i cavalli che dovranno campare per veder crescere l’erba…

Ma torniamo a noi e al nostro genetliaco. Compiere sessant’anni, in fondo, è il minimo che possa capitare a chi sia nato nel 1943, ma – credetemi – fa un effetto tutto speciale, specie se considero che quando ero un ragazzino i sessantenni mi parevano vecchi e decrepiti e forse lo erano per davvero, perché una volta non c’era di certo tutta questa mania di curare il corpo né si parlava di qualità della vita, perché la vita, a quei tempi, era durissima e si lavorava sodo per cui uno a sessant’anni era già bell’e suonato. Come una campana. Adesso dicono non sia più così e i sessantenni costituiscono una razza splendida alla quale mi onoro di appartenere anche se, dico la verità, un conto è festeggiare i sessanta e un conto era festeggiare i venti.

Nel caso mio correva (e come correva!) il 1963, mi ero appena lasciato alle spalle il liceo scientifico cinque anni scolastici meravigliosi) e stavo iniziando la mia vita universitaria. In quel gennaio avevo visto al cinema "ll sorpasso" insieme al mio compagno di scuola Roberto Cimatti, oggi affermato commercialista e presidente amministrativo di "Ravenna Festival", che studiava all’Università di Torino per via che lo aveva ingaggiato la mitica Juventus, squadra per la quale faccio pure il tifo. Roberto giocava nella "Primavera" della Juve e mi raccontava che durante le partitelle di allenamento si trovava di fronte avversari come Omar Sivori. Insomma una roba da lasciarti secco, almeno così era per me, che quando giocavo a calcio incrociavo i tacchetti tutt’al più con il garzone del macellaio.

"Il Sorpasso" fa ridere e divertire, ma alla fine ti lascia la bocca amara con quel finale tragico e poi in quello stesso anno arriva giugno che ti sbatte in faccia la morte di Giovanni XXIII, il Papa buono, e poi arriva novembre e, insieme al freddo dell’inverno, ti porta l’assassinio di Kennedy. Cominciano a morire i miti, capisci che il mondo è ingiusto e cattivo e tu hai sulla groppa solamente vent'anni. Troppo pochi. "I tuoi vent’anni – cantava Sergio Endrigo – son come fiori, sbocciano sulle tue labbra quando mi parli" e concludeva con i versi: "Stringi forte le dita sui tuoi vent’anni, domani finirà anche il tuo carnevale".

Ma a sessant’anni ti ritrovi nelle mani una fastidiosa artrite che non è riuscita a "stringere forte le dita". Per questo i vent’anni sono volati sulla Luna e non ritorneranno più. In compenso la vita li ha moltiplicati e li ha trasformati in sessanta. Un miracolo? Mah! Decidete voi.

Franco Gàbici

La "piadina", tipico prodotto della Romagna, è ricordata nel canto VII dell’Eneide, là dove si leggono i versi: "Genitor mihi talia namque/(nunc repeto) Anchises fatorum arcana reliquit:/cum te, nate, fames ignota ad litora vectum/accisis coget dapibus consumere mensas…" (122-125) [infatti il padre Anchise mi lasciò, ora rammento, tali segreti del fato: quando, o figlio, giuntio a ignote contrade, la fame, consumati i cibi, ti costringeràa divorare le mense…]. Le "mense" di cui si parla era propria la "piadina", una focaccia che i soldati romani cucinavano su un coppo e che usavano come piatto.

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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