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Q uesta Bollicina,
cari amici lettori, voglio dedicarla ad un evento che per me è davvero
eccezionale. Ho sempre avuto il pallino delle date e degli anniversari da
celebrare e oggi è giunta l’occasione di ricordarne uno tutto speciale. Per
me, si capisce.
Il 22 maggio scorso, infatti, ho compiuto i sessant’anni anzi,
per usare una perifrasi coniata apposta per esorcizzare l’inesorabile marcia a
tutto vapore del tempo, ho compiuto "i miei primi sessant’anni", come se la
vita me ne riservasse altri sessanta per arrivare a 120, cosa di cui dubito
parecchio. Anche se, devo dire,qualcuno si era messo in testa di far campare
la gente proprio fino a quella venerandissima età. Si tratta di Tommaso
Giannotti, detto anche il Filologo. Era un medico ravennate e dunque non è
affatto vero che Ravenna non produca nulla di buono a parte il Sangiovese (da
"Sanguis Iovis"…) e la "piadina", ricordata perfino nell’Eneide, scritta
proprio da quel Virgilio che accompagnò nel suo viaggio ultraterreno il sommo
Dante (il cui "vero" viaggio terminò proprio a Ravenna nel settembre del
1321). E Tommaso Giannotti scrisse proprio un volumetto con i consigli per
arrivare a 120 anni (lui però si dimostrò un pessimo propagandista dei suoi
metodi perché morì molto prima, a dimostrazione che fra il dire e il fare…) e
il libro doveva essere abbastanza noto se il grandissimo Giacomo lo cita in
una delle sue "Operette morali" e precisamente nel "Dialogo fra un fisico e un
metafisico" dove all’inizio viene fatto un preciso riferimento all’opera del Giannotti ("sarebbe libro da ridere se non fosse oscurissimo"), il cui titolo
è "De vita hominis ultra CXX annos protrahenda" (1550). Il metafisico, però,
invita il fisico a chiudere il libro dentro ad una cassetta di piombo e a
sotterrarlo per riesumarlo solamente "quando sarà trovata l’arte di vivere
felicemente". E allora sai tu i cavalli che dovranno campare per veder
crescere l’erba…
Ma torniamo a noi e al
nostro genetliaco. Compiere sessant’anni, in fondo, è il minimo che possa
capitare a chi sia nato nel 1943, ma – credetemi – fa un effetto tutto
speciale, specie se considero che quando ero un ragazzino i sessantenni mi
parevano vecchi e decrepiti e forse lo erano per davvero, perché una volta non
c’era di certo tutta questa mania di curare il corpo né si parlava di qualità
della vita, perché la vita, a quei tempi, era durissima e si lavorava sodo per
cui uno a sessant’anni era già bell’e suonato. Come una campana. Adesso dicono
non sia più così e i sessantenni costituiscono una razza splendida alla quale
mi onoro di appartenere anche se, dico la verità, un conto è festeggiare i
sessanta e un conto era festeggiare i venti.
Nel caso mio correva (e come
correva!) il 1963, mi ero appena lasciato alle spalle il liceo scientifico
cinque anni scolastici meravigliosi) e stavo iniziando la mia vita
universitaria. In quel gennaio avevo visto al cinema "ll sorpasso" insieme al
mio compagno di scuola Roberto Cimatti, oggi affermato commercialista e
presidente amministrativo di "Ravenna Festival", che studiava all’Università
di Torino per via che lo aveva ingaggiato la mitica Juventus, squadra per la
quale faccio pure il tifo. Roberto giocava nella "Primavera" della Juve e mi
raccontava che durante le partitelle di allenamento si trovava di fronte
avversari come Omar Sivori. Insomma una roba da lasciarti secco, almeno così
era per me, che quando giocavo a calcio incrociavo i tacchetti tutt’al più con
il garzone del macellaio.
"Il Sorpasso" fa
ridere e divertire, ma alla fine ti lascia la bocca amara con quel finale
tragico e poi in quello stesso anno arriva giugno che ti sbatte in faccia la
morte di Giovanni XXIII, il Papa buono, e poi arriva novembre e, insieme al
freddo dell’inverno, ti porta l’assassinio di Kennedy. Cominciano a morire i
miti, capisci che il mondo è ingiusto e cattivo e tu hai sulla groppa
solamente vent'anni. Troppo pochi. "I tuoi vent’anni – cantava Sergio Endrigo
– son come fiori, sbocciano sulle tue labbra quando mi parli" e concludeva con
i versi: "Stringi forte le dita sui tuoi vent’anni, domani finirà anche il tuo
carnevale".
Ma a sessant’anni ti ritrovi nelle mani una fastidiosa artrite che
non è riuscita a "stringere forte le dita". Per questo i vent’anni sono volati
sulla Luna e non ritorneranno più. In compenso la vita li ha moltiplicati e li
ha trasformati in sessanta. Un miracolo? Mah! Decidete voi.
Franco Gàbici La "piadina", tipico
prodotto della Romagna, è ricordata nel canto VII dell’Eneide, là dove si
leggono i versi: "Genitor mihi talia namque/(nunc repeto) Anchises fatorum
arcana reliquit:/cum te, nate, fames ignota ad litora vectum/accisis coget
dapibus consumere mensas…" (122-125) [infatti il padre Anchise mi lasciò, ora
rammento, tali segreti del fato: quando, o figlio, giuntio a ignote contrade,
la fame, consumati i cibi, ti costringeràa divorare le mense…]. Le "mense" di
cui si parla era propria la "piadina", una focaccia che i soldati romani
cucinavano su un coppo e che usavano come piatto.
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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