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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale


 

12 ottobre 2003

 

 

 

 

 

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Non tutte le “bollicine” vengono per nuocere, tant’è che qualche beneficio ne ha ricavato anche il sottoscritto perché, state a sentire, la volta scorsa ho citato quel giudizio sul famoso calciatore tratto da “La vita agra” del Bianciardi, ma la mia era una citazione a memoria e mica ero sicuro al cento per cento sicché per un attimo ho pensato stai a vedere che ho passato ai miei quattro lettori la citazione sbagliata e così per evitare di cadere nel buco nero della disperazione sono andato a rileggermi il romanzo di Bianciardi, che è una cosa stupenda, e stavo ormai per perdere la speranza quand’ecco, zac, è arrivato puntuale il giudizio sul calciatore e la cosa mi ha risollevato parecchio anche perché una volta Nico Orengo cadde in errore proprio su “La vita agra”, ora non ricordo bene come fu esattamente la questione, ma in quei “tassellini” che firma sulla prima pagina di “Tuttolibri” aveva scritto qualcosa su un film e aveva confuso la “vita agra” di Lizzani (con Ugo Tognazzi) con la “vita difficile” di Risi (con Alberto Sordi), sempre “vita” direte voi, d’accordo, ma non si può confondere l’”agro” con il “difficile”, e su questo convenne anche lo stesso Orengo che rispose gentilmente al mio messaggio che gli faceva notare il suo abbaglio.
Insomma, a farla corta, i casi della vita mi hanno indotto a leggere di nuovo “La vita agra” e se non lo avete ancora fatto fatelo, soprattutto se avete un’età compresa fra i quaranta e i sessanta. Ve la caverete con pochi euro perché Bompiani ne ha fatto recentemente anche una edizione economica. Il capitolo decimo, poi, è un capolavoro dentro al capolavoro che andrebbe stampato a parte e distribuito a tutti gli italiani i quali imparerebbero in un colpo solo le ragioni del tanto chiacchierato boom economico e tutte le sue stramaledette contraddizioni, insomma andatevelo a leggere questo capolavoro di capitolo decimo e poi mi saprete dire se Bianciardi non aveva ragione quando, in tempi non sospetti, predicava che bisognava bandire la plastica, distruggere le automobili e lasciar crescere l’erba sull’asfalto.

E le sue considerazioni sulla nebbia?
Ricordate il Totò-pensiero in “Totò Peppino e… la malafemmina”, quando il grande Totò chiede al vicino (detto il “milanese” per via che aveva fatto il soldato a Milano) delucidazioni sul fenomeno che al sud è praticamente sconosciuto?
Chiede Totò: “Ma dico, se i milanesi a Milano, quando c’è la nebbia, non vedono, come si fa a vedere che c’è la nebbia a Milano?”.
Bianciardi, invece, ti fa una bella disquisizione sulla nebbia distinguendo fra la nebbia di campagna e quella di città, trattandola dunque come i topi di Orazio nella ben nota satira (olim rusticus urbanum murem mus paupere fertur accepisse cavo, veterem vetus hospes amicum…) e in effetti Bianciardi dice che la nebbia è solamente nelle campagne mentre quella che i cittadini chiamano nebbia in realtà è “una fumigazione rabbiosa, una flatulenza di uomini, di motori, di camini, è sudore, è puzzo di piedi, polverone sollevato dal taccheggiare delle segretarie, delle puttane, dei rappresentanti, dei grafici, dei PRM, delle stenodattilo, è fiato di denti guasti, di stomachi ulcerati, di budella intasate, di sfinteri stitici, è fetore di ascelle deodorate, di sorche sfitte, di bischeri disoccupati”.
Ecco cos’è la nebbia di città, mica storie. Bianciardi aveva proprio ragione, accidenti. E scriveva tutto questo, come si legge nella chiusa del romanzo, nell’inverno 61-62, che fu il mio ultimo inverno da studente liceale, il mio canto del cigno scolastico prima dell’avventura universitaria, studiavamo Foscolo (le sue Grazie, le sue donne che cascavano da cavallo e “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” che si aprivano con quella drammatica considerazione scritta dai Colli Euganei proprio in una stagione ottobrina (11 ottobre 1797): “Il sacrificio della patria è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia…”) e Leopardi (con le Silvie, le Nerine e quella sberla di Infinito), la precessione degli equinozi, l’idealismo di Fichte, Schelling e di Hegel, si traducevano le Georgiche di Virgilio (Quid faciat laetas segretes, quo sidere terram vertere, Maecenas, ulmisque adiungere vites conveniat…) e il De rerum natura di Lucrezio (Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas, alma Venus…), ma avevamo ancora nell’orecchio le note di Legata a un granello di sabbia che durante l’estate ci aveva rimbambiti tutti quanti, tedeschi compresi, che se ne tornarono al loro paese canticchiando “kullare, kullare…” e mentre noi si studiava tutte quelle cose che si sarebbero depositate in fondo al nostro bagaglio culturale, Bianciardi dunque scriveva la Vita agra, che a suo modo era una nota stonata, ma al tempo stesso era anche una profezia.

Franco Gàbici

Questo è il dialogo esatto fra Totò (T) e Mario Castellani(C) nel film di Camillo Mastrocinque Totò Peppino e la… malafemmina (1956):
C: “A Milano quando c’è la nebbia non si vede.”
T: “Per Bacco! E chi la vede?”
C: “Cosa?”
T: “Questa nebbia, dico”.
C: “Nessuno”.
T: “Ma dico, se i milanesi a Milano quando c’è la nebbia non vedono, come si fa a vedere che c’è la nebbia a Milano?”.
La vita agra, Milano, Bompiani, 2002, p. 167.
La storiella del topo di campagna e di quello di città è in Orazio, sesta satira del Libro secondo.
Legata a un granello di sabbia era cantata da Nico Fidenco (all’anagrafe Domenico Colarossi, classe 1933)


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Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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