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Primo titolo:
Franco Gàbici «Gadda - Il dolore della cognizione»
Una lettura scientifica dell'opera gaddiana - Isbn 88-86792-40-9

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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

25 novembre 2002

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Nel 1202, e dunque otto secoli fa, Nel 1202, e dunque otto secoli fa, girava per Pisa, quando la famosa torre stava grattando il cielo da quasi sei, un libretto, o forse è meglio chiamarlo rotolo o pergamena perché a quei tempi ancora non era stata inventata l’arte della stampa e pertanto i libri non potevano essere chiamati tali, e dunque per Pisa girava questo testo scritto da Leonardo Pisano, un vero genio della matematica che forse molti conoscono con il soprannome "Fibonacci", vale a dire figlio di Bonaccio (filius Bonaccii), che esercitava in Pisa la mercatura. Il testo era intitolato Liber abaci e si sarebbe ritagliato uno spazio di tutto rispetto nell’ambito della storia del pensiero scientifico per il fatto che il suo autore insegnava una nuova matematica basata su quei simboli arabi che avrebbero ben presto soppiantato definitivamente la numerazione con i simboli dei romani. Secondo H.M.Robertson il 1202 deve essere considerata una "data epocale" perché con il Liber abaci si identifica la nascita del capitalismo moderno, strettamente legato alla capacità di saper contare.
Certo, oggi il panorama matematico è radicalmente cambiato perché le calcolatrici tascabili hanno soppiantato le tradizionali "tabelline" che si trovavano alla fine di ogni quaderno a quadretti per sottoporre diuturnamente la mente al sano esercizio del conto (e con la scomparsa delle tabelline è scomparso pure l’antica arte del pensare) ma quello che voglio dire è che quanto Leonardo andava esponendo costituiva un corpus di conoscenze che a quei tempi non era per nulla facile da capire mentre oggi, otto secoli dopo, le nozioni di Fibonacci si insegnano tranquillamente alla scuola elementare e magari anche all’asilo. Il mondo cambia, se non lo sapete.
Il Liber abaci è dedicato al suo maestro Michele Scotti e Fibonacci racconta che gli venne in mente l’idea di scriverlo per dare una mano a suo padre nel fare i conti. L’occasione, dunque, non solo fa l’uomo ladro, ma può farlo anche genio e così Fibonacci da bravo figliolo inventò un modo di fare il conto per evitare la fatica al genitore, che era un funzionario delle dogane pisane. Si diceva più sopra che il mondo cambia e questo è vero, ma alcune cose restano e se non ci credete andate a leggere il prologo del libro che suona così: «Pertanto coloro i quali vogliono acquisire bene la pratica di questa scienza, debbono continuamente applicarsi all’esercizio di essa con pratica diuturna. Infatti, quando la scienza, con la pratica, è diventata un habitus, la memoria e l’intelligenza si accordano in modo tale con le mani e le cifre, che arrivano al risultato insieme, quasi con un medesimo impulso spontaneo e naturale; e quando lo studioso avrà preso l’abitudine, allora gli sarà facile arrivare gradualmente alla perfezione».
Dunque, dice Fibonacci, per imparare le cose bisogna studiare e far fatica e in un mondo in cui si continua a sbandierare lo slogan del tutto e subito i consigli di Fibonacci sembrano essere fuori del tempo e invece... Del resto quindi secoli prima il sommo Euclide aveva affermato lo stesso concetto quando il re Tolomeo gli chiese se non vi fosse per lo studio della geometria un via più "corta" di quella dei difficili Elementi. La risposta di Euclide è rimasta famosa: «Non v’è nella geometria una via apposta per i re!».
Eppure Fibonacci non doveva essere un modello di virtù se è vero che a Pisa si era guadagnato la fama di "bigollo", vale a dire "bighellone", per il fatto che non gli andava affatto di seguire le orme del padre e infatti anziché darsi alla mercatura si dette alla matematica e così il "bigollo" diventò famoso nei secoli.
Nel Liber abaci si trovano anche diversi divertenti problemi, come ad esempio il "problema dei conigli", che può essere formulato in questo modo: «Quante coppie di conigli verranno prodotte in un anno, a partire da un’unica coppia, se ogni mese ciascuna coppia dà alla luce una nuova coppia che diventa produttiva a partire dal secondo mese?». Da questo problema nacque la "successione di Fibonacci" (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13...), che rivela interessanti proprietà messe in evidenza anche da Newton. Che cosa ha di strano questa successione di numeri? Provate a rispondere. Intanto vi passo un’altra informazione molto importante su questo matematico pisano. Fu lui, infatti, a introdurre nella nostra civiltà matematica lo "zero", che gli Arabi chiamavano poeticamente "zefiro" e che all’epoca era un numero pressoché sconosciuto se non nei conventi dove, alla faccia dell’oscurantismo, veniva conservata la nostra cultura.
Avete scoperto la proprietà curiosa della "successione di Fibonacci"? Se non ci siete riusciti ecco la soluzione: a partire dal terzo, ogni termine della successione è la somma dei due precedenti.
Fibonacci e i suoi conigli e la sua successione. Nulla dies sine linea.

Franco Gàbici

 

Nulla dies sine linea è un antico proverbio che ha origine in un passo di Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (35,84): Apelli fuit [...] perpetua consuetudo, numquam tam occupatum diem agendi, ut non lineam ducendo exerceret artem, quod ab eo in proverbium venit. E pensare che Apelle, il famoso pittore, era conosciuto per la filatrocca Apelle figlio di Apollo fece una palla di pelle di pollo...

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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