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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

Ravenna, 23 febbraio 2004

 

 

 

 

 

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Charles se ne è andato segnando l'ultimo gol alla vita
Il grande John, da oggi, giocherà gioioso un’altra partita

Non so se conoscete Rod McKuen. Credo di averlo già ricordato in qualche “bollicina” e dico “credo” perché dopo aver partorito più di cento bollicine non potete di certo avere la pretesa che io ricordi tutti gli argomenti che ho trattato e i personaggi che ho citato per cui non è da escludere che qualche volta possa anche ripetermi, ma del resto iucunde repetita iuvant sentenziavano i latini e sentenziavano bene se è vero che ancora oggi ricordiamo le loro massime, anzi ce ne facciamo un  vanto nel citarle. Dunque, Rod McKuen è uno scrittore e paroliere che intorno alla fine degli anni Sessanta fece furore con un disco che si intitolava “Il mare” dentro al quale (dentro al disco intendo dire) erano state registrate alcune sue poesie lette da Arnoldo Foà: se cito McKuen e il suo disco è perché dentro ci stava una poesia che si intitolava “Ti piace la pioggia?” e quella poesia mi offre l’incipit per la mia “bollicina” settimanale perché sono giorni e giorni che piove e che piove e che piove e non ne posso proprio più.
Certo, avrei potuto dare il via alla mia chiacchierata limitandomi semplicemente a ricordare questo accidente meteorologico, ma ho preferito iniziare in questo modo perché quella poesia attacca con questi versi: “Ti piace la pioggia? O ti intristisce?” e dunque sembrano fatti apposta per queste giornate e mentre vedo la pioggia rigare i vetri, render grigi i tronchi degli alberi penso che, nonostante le malinconie che induce, la pioggia è stata oggetto di riflessioni poetiche sia in versi che in musica, a cominciare da Domenico Modugno che ricorda la pioggia che si mescola a secreti lacrimali sul bel visino: “è pioggia o pianto, dimmi cos’è?”
Anche D’Annunzio non se la cava niente male quando affronta il tema della pioggia nel pineto e sembra che Modugno faccia il verso al poeta di Pescara, che verseggia: “Piove su le tue ciglia nere sì che par che tu pianga ma di piacere”. E la voce della pioggia cambia a seconda di dove va a infrangersi: “La pioggia cade su la solitaria verdura con un crepito che dura e il pino ha un suono; e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancora, stromenti diversi sotto innumerevoli dita”; le gocce di pioggia potrebbero definirsi le dita delle nubi, le mille dita delle nuvole che accarezzano la terra e mentre piove “non s’ode nessuna voce del mare” perché tutta l’aria è piena del “crosciare” della “argentea pioggia che monda”… Ma ciò nulla toglie alla tristezza della pioggia che rende grigia ogni cosa.
E mentre fuori le nuvole nascondono l’azzurro e coprono il sorriso delle stelle, io penso con tristezza al gigante buono John Charles che ci ha lasciato, il mitico Charles della Juventus stellare degli anni Cinquanta e Sessanta, era un vero mito e un esempio di sportivo serio ed onesto, in tutta la sua carriera non fu mai ammonito e nemmeno espulso e credo che pochissimi giocatori possano vantare un simile record, con Sivori e Boniperti formò un irripetibile trio, grandissimo Charles campione di signorilità.
E continua a piovere e il rumore della pioggia mi riporta a pomeriggi lontani e mi sembra di avvertire ancora il sapore del vetro della finestra sul quale alitavo tutte le mie smanie di sole, oltre i vetri c’erano il cortile e i giochi e soprattutto quel pallone di cuoio che mi era stato regalato per una promozione insieme alle scarpe coi “tacchetti”. Ma quando pioveva si doveva stare in casa sennò poi ci saremmo buscati un malanno; invece, i veri atleti correvano e giocavano anche sotto la pioggia e uscivano dal campo tutti sporchi di fango ma coperti di gloria come gli eroi di Omero e noi a sognare insieme a loro dietro ai vetri della finestra che condensavano il nostro alito di giovani che desideravano solamente il sole e l’azzurro per poter calzare quelle scarpe coi “tacchetti”, rincorrere il pallone che rimbalzava qui e là sul selciato sconnesso del cortile o sul campetto dell’oratorio pelato come una zucca sul quale pareva fosse passato da poco lo zoccolo del cavallo di Attila. Su quel campetto dei nostri anni beati si proiettava l’ombra della grande basilica di Sant’Apollinare Nuovo che aveva il cuore ricco di mosaici. Ricordo che la bandierina del calcio d’angolo era proprio a ridosso dell’abside della antica basilica e quando si calciava il “corner” ci si appoggiava inevitabilmente alla sua pietra rossastra che la sera "scorbacchiava" dei colori del tramonto, perché si giocava fino a sera, quando le rondini tornavano a garrire attorno al campanile e la tela del cielo si faceva più turchina.
Ecco i ricordi che si affollano mentre sento fuori l’odore della pioggia, che mi rende triste per la morte di Charles che se n’è andato segnando l’ultimo gol alla vita e portandosi via per sempre il pallone della sua esistenza terrena perché ormai non è più tempo di rimettere la palla al centro. Il grande John, da oggi, giocherà gioioso un’altra partita.

Franco Gàbici


Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 


 

 

 

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