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93 94C hi ha frequentato (o sta frequentando) una facoltà
scientifica (in particolare fisica, matematica, astronomia…) sa benissimo che
agli esami non è possibile essere tranquilli, come invece potrebbe esserlo,
che so, uno studente di medicina. Se ti fanno una domanda sul fegato, infatti,
si sa benissimo cosa rispondere, perché il fegato è fatto in quel modo e non
ci sono altre risposte. Nelle facoltà scientifiche, invece, le cose vanno
diversamente perché anche se tu hai studiato alla perfezione tutta la teoria,
ti può capitare che nel bel mezzo dell'esame il professore ti sottoponga un
esercizio da risolvere e allora, cari miei, sono davvero dolori. Ho ancora
l'incubo di certi esercizi di "meccanica razionale", con palline rotolanti su
piani inclinati che a loro volta ruotavano attorno ad assi o, ancora, certi
esercizi ingarbugliatissimi di "analisi 2" (che noi chiamavamo tout court
"calcolo", alias "calcolo integrale", che prevedeva anche le terribili
"equazioni differenziali" che andavano sempre "integrate", come ricorda anche Gadda nella "Cognizione del dolore" parlando degli ingegneri di Pastrufazio…).
A volte, però, uno studente intelligente può addirittura prendersi burla
dell'insegnante di fronte a un problema complicato, come è accaduto nel caso
che vi racconterò. Dunque il terribile professore di fisica chiede allo
studente: "Come è possibile misurare l'altezza di un edificio utilizzando un
barometro?". Beh, dico la verità, fosse capitata a me una domanda del genere,
avrei immediatamente scritto sulla lavagna la formula delle variazioni di
pressione con l'altezza secondo la legge di … e con quattro calcoli avrei
risposto. Lo studente, invece, decise di burlarsi del professore rispondendo a
questo modo: "Si trasporti il barometro sulla sommità dell'edificio, lo si
attacchi all'estremità di una lunga corda, lo si cali giù sino a quando tocchi
il suolo, quindi lo si ritiri su misurando la lunghezza della corda: la
lunghezza della corda è uguale all'altezza dell'edificio". Il ragionamento non
fa una piega, ma evidentemente il professore pretendeva dallo studente una
soluzione più fisica o comunque più complicata. Benissimo. Lo studente,
sollecitato, fornisce allora quest'altra soluzione: decide di salire sulla
sommità dell'edificio, lascia cadere il barometro, registra il tempo di caduta
con un cronometro e quindi dalla formula galileiana s=½gt2 ricava "s" che
corrisponde all'altezza della torre (dove g è la ben nota "accelerazione di
gravità" che corrisponde a 9.8 m/sec2. Apriamo una "parente", come diceva il
grande Totò: della "accelerazione di gravità" parla anche James Joyce nel suo
"Ulisse", lo sapevate? Dice James: "Ma cos'è poi il peso quando si dice il
peso? Trentadue piedi al secondo, al secondo. Legge di gravità: al secondo, al
secondo. Cadon tutti al suolo. La terra. È la forza di gravità della terra,
ecco cos'è il peso"). Poi seguono altre soluzioni che lascio alla vostra
curiosità e che potrete trovare nel piacevolissimo libro i cui estremi
bibliografici troverete in nota.
Perché ho scritto qutto questo? Veramente non lo so neppure io, e se devo
essere sincero non mi sembra di essere stato mosso da una particolare
intenzione, ma se proprio volete a tutti i costi trovare una causa, potrei
dirvi che forse tutto questo mi è stato suggerito dal clima settembrino che
richiama l'apertura delle scuole con tutti gli annessi e connessi che fanno da
corona a questo importante avvenimento. Ricordo ancora quel primo giorno di
scuola particolare quando varcai la soglia del liceo scientifico, pagando il
pesante dazio del fastidiosissimo prurito che mi stavano procurando i
pantaloni lunghi, che da quel giorno non avrei più abbandonato. In quel
prurito sulle gambe era concentrata tutta la fatica di diventare uomini! E
mentre mi grattavo questa specie di rogna, sopra al mio capo volteggiava lo Sputnik, primo satellite artificiale della storia dell'uomo, che fra la rabbia
degli americani e lo stupore del mondo intero, era stato lanciato dai Russi.
Era il lontanissimo 1957, quasi mezzo secolo di storia. Meglio non pensarci
troppo.
Franco Gàbici
La storiella dello studente di fisica è raccontata
molto spiritosamente nell'agilissimo libretto: C.Bernardini-T.De Mauro,
Contare e raccontare, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 53-55.
La citazione dell'Ulisse è alla pag.99 dell'edizione Oscar Biblioteca, 1978.
L'espressione "al secondo, al secondo" non è una ripetizione, ma è l'unità di
misura della "accelerazione". L'accelerazione, infatti, è il rapporto fra una
velocità e un tempo e dunque V/T, ma la velocità V, a sua volta, è un rapporto
fra uno spazio L e un tempo e cioè: L/T. Sostituendo nella prima espressione
si ottiene: L/T/T e dunque L/T2 che significa "metri al secondo quadrato" o
"al secondo per secondo" o, come scrive Joyce, "al secondo, al secondo".
Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della
cognizione di
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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