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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

16 Dicembre 2001

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Quasi tutti i giorni racconto alla gente, sotto la cupola del Planetario, che uno dei pezzi forti del cielo invernale è Sirio. La osservo spesso, anche dal vivo, "sulla nera lavagna del cielo", mentre manda i suoi riflessi bianco azzurri nei pressi di Orione, che sembra una enorme graticola sospesa sopra le case. E nel silenzio della notte ti pare di sentire l'urlo della sua luce.
Questa magnifica stella rappresenta la vittoria del cielo stellato sulla luce artificiale della città che, come il raglio dell'asino, non potrà mai scardinare le stelle, spegnendole.
Ma a questo mondo bisogna aspettarsi di tutto e così, osservando lo splendore di Sirio, mi torna in mente la notizia incredibile diffusa dalla Nasa alcuni mesi fa secondo la quale nel cielo sarebbe apparsa una nuova stella, addirittura più luminosa di Sirio. Non sarebbe stata una supernova né un asteroide minaccioso, bensì i pannelli solari della "Stazione spaziale internazionale" (IIS) che lo shuttle "Endeavour" avrebbe portati a 370 Km d'altezza per rifornirla di energia elettrica.
Nel 1970 Sergio Endrigo partecipò al festival di San Remo con una canzone intitolata "L'arca di Noè" e che iniziava così: "Un volo di gabbiani telecomandati e una spiaggia di conchiglie morte, nella notte una stella d'acciaio confonde il marinaio...". L'uomo aveva conquistato la Luna l'anno precedente (continuava la canzone: "la Luna è piena di bandiere senza vento"), ma tutto era avvenuto discretamente e l'aspetto della Luna tranquillizzava le nostre notti perché anche se qualcuno era volato fin lassù per calpestarla, lei continuava a spandere argento come se nulla fosse accaduto.
Ora invece qualcosa cambia perché i "ragli" degli uomini possono perfino scombinare l'antica armonia del cielo.
Siamo vicini al Natale e fin da bambini siamo stati abituati a mettere sulla grotta del Presepio una cometa per ricordare il fenomeno luminoso che guidò i Magi a Betlemme. Oggi gli astronomi disquisiscono ancora sulla "stella dei Magi" per cercare una spiegazione scientifica. Il fenomeno resta comunque misterioso e straordinario, anche se al proposito sono state avanzate alcune ipotesi. Ma si tratta sempre di ipotesi che si inquadrano nell'armonia del cielo e nelle sue leggi. Oggi, invece, si corre il rischio di alzare gli occhi al cielo e trovarci sulla testa una "stella dčacciaio" che è andata a far compagnia a Sirio.
Entrambe brillano, d'accordo, ma non dimentichiamo che solamente una delle due sarà vera. Attenzione, dunque, perché il buio della notte confonde e qualche marinaio potrebbe decidere di seguire questo "pifferaio" celeste.
Ma io sto dalla parte di Sirio. Le stelle di latta le lascio brillare sui giubbotti degli sceriffi.

Franco Gàbici

 

"Sulla nera lavagna del cielo" è un verso tratto dalla canzone «A come amore» (B.Brighetti-B.Martino) cantata negli anni Sessanta da Bruno Martino.

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

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