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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

Ravenna, 8 febbraio 2004

 

 

 

 

 

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Caro Fred, guarda che luna...
Pensando a Buscaglione che il 4 febbraio del 1960 si schiantò con la sua auto contro un camion in un'alba romana.

All'inizio di febbraio del 1960 frequentavo allegramente la quarta liceo (scientifico), Elvis Presley stava sbarcando le classifiche delle hit parade con la sua versione di "O sole mio!" ("It's now or never", una vera bomba), a scuola ci facevano sudare sulle formule della trigonometria, quelle che poi Oriana Fallaci volle utilizzare nel suo "Insciallah", nella fattispecie il teorema di Carnot (chiamato impropriamente “teorema dei seni”) e la famosa equazione di Boltzmann S = K lnW (W è una funzione che è legata al grado di disordine di un sistema – per il nostro mondo la W dovrebbe essere grande come una casa -  e la W è la lettera iniziale del termine tedesco "Wahrscheinlichkeit" che vuol dire “probabilità” e, se proprio lo volete sapere, la formula è incisa sulla tomba del Boltzmann) e poi nel suo romanzo enunciava il problema della velocità di una goccia di pioggia che scendeva lungo il finestrino del treno con tanto di risultato sbagliato e io lo feci notare, oh sì se lo feci notare, in un pezzo di "taglio" all'articolo di Claudio Marabini sulla "terza" del Resto del Carlino e la mattina stessa ci fu anche un servizietto sulla Rai dove si diceva che "Il fisico Franco Gàbici rivede le bucce a Oriana Fallaci...", non è che il giornalista si esprimesse proprio così, ma la sostanza era quella, mai possibile che questi letterati si sentano in diritto di andare a calpestare il sacro suolo della matematica senza avere le scarpette adatte, come Umberto Eco ad esempio, che nella prima pagina del "Pendolo di Foucault" pretende di spiegare al lettore che il “periodo” del pendolo sia regolato dal rapporto tra la radice quadrata della lunghezza del filo e il numero “pi greco”, ma detta così uno si aspetterebbe di vedere il “pi greco” al denominatore di una frazione e invece il “pi greco” moltiplica il rapporto fra la lunghezza del filo e “g”, che sarebbe la famosa accelerazione di gravità, quella che nel sistema M.K.S. si misura in 9.8 metri al secondo per secondo e che ricorda persino James Joyce, "Ma cos'è poi il peso quando si dice il peso? Trentadue piedi al secondo, al secondo. Legge di gravità: al secondo, al secondo. Cadono tutti al suolo. La terra. È la forza di gravità della terra, ecco cos'è il peso".
Bravo James, il signore sì che se ne intende. Insomma sto tentando di dirvi che in quel lontano febbraio del 1960 stavamo studiando queste accidenti di formule trigonometriche, mentre in fisica c'era tutta la termologia e in filosofia Cartesio, che "cogitava" e dunque "era" e che con il suo discorso sul metodo operava una rivoluzione mica da poco e poi si ascoltava Paul Anka in parabola discendente (una delle ultime zampate fu "It's time to cry") perché già sui piatti dei giradischi danzavano i "45" di Bindi, che l'anno prima aveva lanciato "Arrivederci", di Paoli che nel 1960 ti lasciava secco con "La gatta", "Il cielo in una stanza" e "Sassi", un tris che garantirebbe a chiunque l'immortalità musicale, e di tanti altri cantautori italiani fra i quali, oh finalmente ci sono arrivato, c'era pure Fred Buscaglione che quarantaquattro anni fa, il 4 febbraio 1960, si schiantò con la sua Ford Thunderbird color rosa confetto, targata Torino 286788, contro un autocarro in un incrocio di Roma nel quartiere dei Parioli, quello dei signori. Lo portarono all'ospedale a bordo dell'autobus della linea 90 che a quell'ora iniziava il servizio, come se l’epilogo della sua vita coincidesse con una delle tante storie che raccontava nelle sue canzoni, ottimamente "jazzate" dagli "Asternovas" e veicolate con le parole dell'avvocato Leo Chiosso. Ricordo che tornando da scuola, prima di andare a casa, ci si fermava al bar Roma che era fornito di juke box perché c'era sempre qualcuno che selezionava "La biga", una pessima canzonetta dai pacchiani doppi sensi che però infondeva una gioia pruriginosa a noi adolescenti, e soprattutto si ascoltavano le canzoni di Fred, con quel linguaggio slang casereccio che sostituiva il whisky al Barbera e i gangster ai balordi di periferia, e Fred cantava e cantava, pareva Joyce quando attacca con quell'incipit fuori di testa che dice "stavo facendo quattro chiacchiere col vecchio Troy della Polizia Metropolitana all'angolo di Arbour Hill e mi venga un accidente se non mi arriva un fottuto spazzacamino e per poco non mi cacciava il suo arnese in un occhio...", certo Buscaglione non è Joyce ma le sue "Che notte", "Che bambola!", "Eri piccola così" erano proprio delle bombe. Caro e vecchio Fred!
La Luna sta montando leggera sui dolci crinali della notte e ad ogni giro partorisce nuova luce. Sta guardandomi attraverso i rami scheletrici (sì, è banale il paragone, ma mi è scappato così) degli alberi. La Luna è di Leopardi, d'accordo, con buona pace di Italo Calvino, ma era anche di Buscaglione, che sulle note della sonata "Al chiaro di Luna" di Beethoven cantava "Guarda che luna!". La Luna di Fred galleggiava sul mare e la sua luce aveva l'odore dell'estate... "…ma guarda che luna, guarda che mare, in questa notte senza te vorrei morire, perché son solo a ricordare e vorrei poterti dire guarda che luna, guarda che mare...guarda che luna, guarda che mare... che luna, ah!". Ma la Luna quel giorno non c'era. Era al primo quarto ed era tramontata alle 0.20, poche ore prima che il vecchio Fred chiudesse per sempre gli occhi sulla scena del mondo.

Franco Gàbici


Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 


 

 

 

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