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Caro Fred, guarda che luna...
Pensando a Buscaglione che il 4 febbraio del 1960 si schiantò con
la sua auto contro un camion in un'alba romana.
A ll'inizio di
febbraio del 1960 frequentavo allegramente la quarta liceo
(scientifico), Elvis Presley stava sbarcando le classifiche delle hit
parade con la sua versione di "O sole mio!" ("It's now or never", una
vera bomba), a scuola ci
facevano sudare sulle formule della trigonometria, quelle che poi Oriana
Fallaci volle utilizzare nel
suo "Insciallah", nella fattispecie il teorema di Carnot (chiamato
impropriamente “teorema dei seni”) e la famosa equazione di Boltzmann S
= K lnW (W è una funzione che è legata al grado di disordine di un
sistema – per il nostro mondo la W dovrebbe essere grande come una casa
- e la W è la lettera iniziale del termine tedesco "Wahrscheinlichkeit" che
vuol dire “probabilità” e, se proprio lo volete sapere, la formula è
incisa sulla tomba del Boltzmann) e poi nel suo romanzo enunciava il
problema della velocità di una goccia di pioggia che scendeva lungo il
finestrino del treno con tanto di risultato sbagliato e io lo feci
notare, oh sì se lo feci notare, in un pezzo di "taglio" all'articolo di
Claudio Marabini sulla
"terza" del Resto del Carlino e la mattina stessa ci fu anche un
servizietto sulla Rai dove si diceva che "Il fisico Franco
Gàbici rivede le bucce a Oriana Fallaci...", non è che il giornalista si
esprimesse proprio così, ma
la sostanza era quella, mai possibile che questi letterati si sentano in
diritto di andare a
calpestare il sacro suolo della matematica senza avere le scarpette
adatte, come Umberto Eco ad esempio, che nella prima pagina del "Pendolo di
Foucault" pretende di spiegare al lettore che il “periodo” del pendolo
sia regolato dal rapporto tra la radice quadrata della lunghezza del
filo e il numero “pi greco”, ma detta così uno si aspetterebbe di vedere
il “pi greco” al denominatore di una frazione e invece il “pi greco”
moltiplica il rapporto fra la lunghezza del filo e “g”, che
sarebbe la famosa accelerazione di gravità, quella che nel
sistema M.K.S. si misura in 9.8
metri al secondo per secondo e che ricorda persino James Joyce, "Ma
cos'è poi il peso quando si dice il peso? Trentadue piedi al secondo, al
secondo. Legge di gravità: al secondo, al secondo. Cadono tutti al suolo. La
terra. È la forza di gravità della terra, ecco cos'è il peso". Bravo
James, il signore sì che se
ne intende. Insomma sto tentando di dirvi che in quel lontano febbraio
del 1960 stavamo studiando
queste accidenti di formule trigonometriche, mentre in fisica c'era
tutta la termologia e in filosofia Cartesio, che "cogitava" e dunque
"era" e che con il suo discorso sul metodo operava una rivoluzione mica
da poco e poi si ascoltava
Paul Anka in parabola discendente (una delle ultime zampate fu "It's
time to cry") perché già sui piatti dei
giradischi danzavano i "45" di Bindi, che l'anno prima aveva lanciato
"Arrivederci", di Paoli che
nel 1960 ti lasciava secco con "La gatta", "Il cielo in una stanza" e
"Sassi", un tris che
garantirebbe a chiunque l'immortalità musicale, e di tanti altri
cantautori italiani fra i quali, oh finalmente ci sono arrivato, c'era pure Fred
Buscaglione che quarantaquattro anni fa, il 4 febbraio 1960, si schiantò
con la sua Ford Thunderbird color rosa confetto, targata Torino 286788,
contro un autocarro in un incrocio di Roma nel quartiere dei Parioli, quello
dei signori. Lo portarono all'ospedale a bordo dell'autobus della linea
90 che a quell'ora iniziava
il servizio, come se l’epilogo della sua vita coincidesse con una delle
tante storie che raccontava nelle sue canzoni, ottimamente "jazzate"
dagli "Asternovas" e veicolate con le parole dell'avvocato Leo Chiosso.
Ricordo che tornando da scuola, prima di andare a casa, ci si
fermava al bar Roma che era fornito di juke box
perché c'era sempre qualcuno che
selezionava "La biga", una pessima canzonetta dai pacchiani doppi sensi
che però infondeva una gioia
pruriginosa a noi adolescenti, e soprattutto si ascoltavano le canzoni di
Fred, con quel linguaggio
slang casereccio che sostituiva il whisky al Barbera e i gangster ai
balordi di periferia, e Fred
cantava e cantava, pareva Joyce quando attacca con quell'incipit fuori
di testa che dice "stavo facendo quattro chiacchiere col vecchio
Troy della Polizia Metropolitana all'angolo di Arbour Hill e mi venga un
accidente se non mi arriva un
fottuto spazzacamino e per poco non mi cacciava il suo arnese in un
occhio...", certo Buscaglione
non è Joyce ma le sue "Che notte", "Che bambola!", "Eri piccola così"
erano proprio delle bombe.
Caro e vecchio Fred!
La Luna sta montando
leggera sui dolci crinali della notte e ad ogni giro partorisce nuova
luce. Sta guardandomi attraverso i rami scheletrici (sì, è banale il
paragone, ma mi è scappato così) degli alberi. La Luna è di Leopardi, d'accordo, con buona pace
di Italo Calvino, ma era anche di Buscaglione, che sulle note della
sonata "Al chiaro di Luna"
di Beethoven cantava "Guarda che luna!".
La Luna di Fred
galleggiava sul mare e la sua luce aveva l'odore dell'estate... "…ma
guarda che luna, guarda che mare, in questa notte senza te vorrei morire, perché son solo a
ricordare e vorrei poterti dire guarda che luna, guarda che mare...guarda
che luna, guarda che mare... che luna, ah!".
Ma la Luna quel
giorno non c'era. Era al primo quarto ed era tramontata alle 0.20, poche
ore prima che il vecchio
Fred chiudesse per sempre gli occhi sulla scena del mondo.
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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