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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

3 Marzo 2002

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Un'occhiata al calendario mi informa che siamo già entrati nel mese di marzo, il mese dell'equinozio di primavera. Ma, state tranquilli, non voglio parlarvi di questo argomento trito e ritrito che tira in ballo san Benedetto, le rondini che tornano sotto al tetto e tutta l'oleografia primaverile che si rispetti. Voglio parlarvi, invece, di Tristram Shandy. Non lo conoscete? Ah, cosa vi siete persi! Ma tutto a questo mondo si rimedia. In questo caso, poi, il rimedio è semplicissimo, perché basta andare in libreria, acquistare un libro e poi immergersi alla lettura di quest'opera di Laurence Sterne. E sono certo di darvi un consiglio da amico, perché questo Shandy è veramente un personaggio di tutto rispetto.
E se mi è venuto in mente questo "gentiluomo" (più avanti capirete come mai l'abbia chiamato in questo modo) è perché è lui stesso a raccontare ai suoi lettori di essere nato proprio ai primi di marzo. Lui, per la verità, avrebbe preferito non nascere ("Avrei desiderato che mio padre o mia madre, o meglio tutti e due, giacché entrambi vi erano egualmente tenuti, avessero badato a quello che facevano, quando mi generarono"), ma preso atto della frittata confezionata a sua insaputa, si appunta nella memoria la data esatta del misfatto della sua generazione: "Io fui concepito nella notte tra la prima domenica e il primo lunedì di marzo, nell'anno di nostro Signore mille settecento diciotto. Ne sono matematicamente certo".
E poi attacca con tutta la sua storia esilarante e spassosa, un vero caleidoscopio di situazioni e di motti di spirito che rende allegra la lettura. E poi ci sono strane coincidenze. Abbiamo oggi la teoria dei "planetesimi" secondo la quale i pianeti, la terra ad esempio, si sarebbero formati dall'unione di tante piccole parti (i "planetesimi" per l'appunto). Anche Sterne propone una analoga teoria e dopo aver fatto dire al suo personaggio che avrebbe preferito esser nato sulla Luna, lo stesso prende atto di appartenere alla Terra, un "lurido" pianeta, lo definisce proprio così, che "credo essere stato fatto cogli sbrendoli e ritagli degli altri" (i corsivi, come si usa dire in questi casi, sono i nostri).
Ed è talmente affezionato alla Luna al punto da dedicarle la sua fatica: "Lucente Dea, se non sei troppo occupata con gli affari di Candido e della signorina Cunegonda, prendi sotto la tua protezione anche quelli di Tristram Shandy". O magia della lettura, che ci costringe a interessarci anche del Candido di Voltaire, lettura che definirei (per quello che potrà interessare un mio giudizio) deliziosa.
Ma torniamo alla data di marzo. Ora non c'è nulla di strano se uno, all'inizio di una storia o di un romanzo, faccia partire gli eventi dalla data della sua nascita. Quello che è strano, invece, è che l'autore faccia terminare la storia nel 1713, vale a dire cinque anni prima. E dunque vuol dire che qui l'autore ha preso la clessidra del tempo e l'ha letteralmente ribaltata all'indietro per vedere fluire la sabbia all'incontrario, contro le leggi della fisica, dell'evoluzione e dell'aumento dell'entropia. Una cosa del genere fece lo stesso Joyce e certi critici hanno avvicinato l'Ulysses al Thristram. Molto più semplicemente quel geniaccio di Leo Longanesi sparò uno dei suoi micidiali apoftegmi che ribaltava la clessidra in avanti per offrirci questo paradossale paradosso: "i ricordi dell'anno venturo già mi pesano".
Avanti nel tempo, indietro nel tempoŠ mah, ma cos'è questo tempo? Vi risparmio la definizione di Sant'Agostino che si trova in tutti i manuali di filosofia, ma in compenso ve ne passo altre che magari potrete citare nelle vostre discussioni dotte. Marcel Proust credeva che fosse il suo corpo a custodire il suo tempo mentre dormiva. Franz Kafka, invece, aveva una visione più nevrotica del problema, come può soltanto averla chi decide di far vivere ad un suo personaggio l'allucinante avventura di svegliarsi tutto quanto scarafaggiato: "Gli orologi non vanno d'accordo, quello interiore corre a precipizio in un modo diabolico e demoniaco o in ogni cosa disumano, mentre quello esterno segue faticosamente il solito ritmo".
Siamo immersi nella salamoia del tempo e dipendiamo costantemente dal tempo. Per questo non dovremmo mai guardare il calendario e dovremmo avere il coraggio di strappar via le lancette agli orologi che portiamo al polso o dentro al taschino del panciotto, operazione che oggi diventa sempre più difficile perché gli orologi con le "sfere" non esistono ormai più, quasi a voler ribadire la nostra condanna e appartenenza a questa categoria. Ma mentre scrivo ho il calendario di fronte e non posso fare a meno di guardarlo. Č una antica abitudine. E il calendario, appeso al muro come un pendolo in posizione di riposo, mi sorride e mi ricorda le sue oscillazioni in avanti. Oggi mi dice che siamo in marzo. Marzo, radioso, mi coglie in cortile, ma non posso pensarciŠ annotava sul suo taccuino Leo LonganesiŠ ma non posso pensarci: debbo pagare ancora i conti del gennaio. Beh, anche questa è filosofia.

Franco Gàbici

 

  Le citazioni sono tratte da:
Laurence Sterne, Le vita e le opinioni di Thristram Shandy gentiluomo, Milano, Mondadori, 1974.
La sua signora. Taccuino di Leo Longanesi, Milano, Rizzoli, 1957, p.215 e p.232.
Marcel Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore.
Franz Kafka, Confessioni e diari, Milano, 1972, p.605.

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

 

 

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