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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

23 Giugno 2002

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Ragazzi ci siamo. Arriva l'estate, e con l'estate l'inevitabile caldo, quel caldo che abbiamo invocato durante certi giorni primaverili che avevano tutta l’aria di essere delle appendici invernali. E dal teleschermo arrivavano puntuali le telelamentele a reti unificate e tutti a geremiare che il caldo non arriva mai. E adesso che è arrivato i cronisti ci passano questa bella notizia, col meteorologo che ne sottolinea l'eccezionalità (mai possibile che non si possa mai ascoltare una notizia normale?) e con il dietologo di turno che elargisce consigli via catodo per sopravvivere al caldo. E allora bisogna mangiare questo e non bisogna mangiare quest'altro e poi si deve bere molta acqua e magari concedersi qualche gelato. Per almeno due mesi saremo condannati ad ascoltare tutte queste ovvietà.
Poi arriva l'altra lamentela, classica. Il clima non è più quello di una volta, perché una volta le stagioni erano proprio stagioni e non lo schifo che sono adesso, con le mezze stagioni che non esistono più perché si passa direttamente dalla pelliccia alla maglietta leggera. Luogo comune che ha lardellato tutte le cronache da che mondo è mondo a dimostrazione che è proprio vero tutto il contrario e che cioè il mondo è sempre andato avanti così e che gli uomini si sono sempre lamentati delle bizzarrie del clima.
Ne volete la prova? Apriamo lo «Zibaldone» di Leopardi e andiamo a leggere il paragrafo [4241-4242] dove Giacomo riporta una lettera del Magalotti scritta il 9 febbraio 1683 dove si leggono queste considerazioni: «Egli è pur certo che l'ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi. Qui in Italia è voce e querela comune che i mezzi tempi non vi son più, e in questo smarrimento di confini, non vi è dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito dire a mio padre che in sua gioventù a Roma, la mattina di Pasqua di Resurrezione ognuno si rivestiva da state. Adesso chi non ha bisogno d'impegnar la camiciuola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima cosa di quelle ch'ei portava nel cuor dell'inverno». Attenzione, però, perché mentre si può dar credito alla prima parte della lettera, sulla seconda ci sarebbe qualcosa da ridire perché, come tutti sanno, la Pasqua è una festa mobile e pertanto può cadere alla fine di marzo (la cosiddetta Pasqua bassa) ma può cadere anche alla fine d'aprile (pasqua alta) per cui alla fine di marzo non sarebbe poi così strano evitare di alleggerirsi degli abiti. La prima parte, invece, rientra nel canone delle lamentele che fanno parte del nostro Dna. E tutto questo lo sottolinea anche Giacomo che in un commento fra parentesi scrive: «cento e quarantaquattr'anni fa!!».
Del resto anche le Gazzette del suo tempo (di Leopardi, intendo dire) proponevano ai fisici la questione «del perché le stagioni a' nostri tempi sieno mutate d'ordine ec. e cresciuto il freddo» e siccome a quei tempi non è che potesse incolpare la bomba atomica per la semplice ragione che ancora non era stata inventata, qualcuno, magari anche a ragione, imputava il tutto «al taglio de' boschi del Sempione», il che è come dire che c'è sempre un bosco insultato in ogni epoca. A loro il "Sempione" e a noi l’Amazzonia.
Ma anziché stare a spargere lacrime e sudore, cerchiamo di vedere il positivo in questa stagione e andiamo di nuovo a leggere lo Zibaldone [4281-4282]: «L'estate, oltreché liberandoci dai patimenti, produce in noi il desiderio de' piaceri, ci dà anche una confidenza di noi stessi, e un coraggio, che nascono dalla facilità e libertà di agire che noi proviamo allora per la benignità dell'aria». Di fatto, però, Giacomo mal sopportava il caldo, come si deduce da alcune sue lettere scritte in occasione di un suo soggiorno proprio nella mia città nell'agosto del 1826, dove il poeta di Nerina, di Silvia e dell’Infinito era stato mandato in missione dal padre Monaldo alla ricerca, pensate un po', di una donna danarosa da dare in moglie al fratello Carlo. La missione, a sentir Giacomo, fu un disastro.
Ma ritorniamo all'estate, che inizierà con il solstizio del 21 giugno. «Estate, sei calda come i baci che ho perduto...» cantava Bruno Martino nel 1959 (versi di Brighetti) nel mitico pezzo "Estate", mitico perché è un ottimo pezzo di musica e lo dimostra il fatto che è stato eseguito anche da Chet Becker, Michel Petrucciani e altri jazzisti, che evidentemente riconoscono a questa Estate un sound eccezionale. E per me al sound si aggiunge il sapore forte del ricordo, estate 1959, dopo la promozione in terza liceo scientifico. Ed era una estate col cielo stellato e con il mare pulito perché ancora le industrie non avevano sparso polveri e veleni. Si cantava "Estate" con dentro al cuore l'ottimismo che ti consolidava nell'animo la certezza che l'estate non sarebbe finita mai. E invece Bruno Martino ti richiamava alla realtà con «Tornerà un altro inverno, cadranno mille petali di rose, la neve coprirà tutte le cose...» Ma la neve era lontana, troppo lontana e nella afosa salamoia di quelle estati torride e che non conoscevano il refrigerio dei condizionatori, le cicale spaccavano i loro striduli violini e col loro suono sembravano tritare un tempo. Un tempo miracolosamente fermato e sospeso sull'orizzonte azzurro dei nostri anni beati.

Franco Gàbici

 

Il citato Lorenzo Magalotti (1637-1712), geniale letterato e scienziato, fu il segretario della scientifica Accademia del Cimento fondata a Firenze da Leopoldo de' Medici il 19 giugno 1657. Aveva come motto "Provando e riprovando" e fra i suoi associati Francesco Redi ed Evangelista Torricelli. È autore di Lettere scientifiche ed erudite (1721)
Le citazioni dallo «Zibaldone » sono inserite nel testo. Sul soggiorno ravennate di Giacomo Leopardi, che poche biografie ricordano, ho scritto un volumetto in occasione del bicentenario: F.Gàbici, «Giacomo Leopardi turista per caso», Ravenna, Danilo Montanari Editore, 1998.

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

 

 

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