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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

9 Dicembre 2001

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Se oggi vi parlerò dell'atomo di Bohr non è per farvi una lezione di fisica, ma per passarvi alcune considerazioni che secondo me devono essere divulgate col passa parola. Il modello del "danese" Niels Bohr è ricordato come "planetario", nel senso che l'atomo è raffigurato con un nucleo al centro (protoni e neutroni) attorno al quale orbitano elettroni. Proprio come succede ai pianeti che orbitano attorno al Sole.
Esposto così, il modello sembrerebbe non fare una grinza e invece l'atomo planetario di Bohr per stare in piedi necessita di alcuni ritocchi. Un elettrone, infatti, è una particella dotata di elettricità (negativa) e l'elettrodinamica "classica" ci informa che qualsiasi carica elettrica in movimento irradia energia. Irradiare energia significa perdere energia e così il nostro elettrone prima o poi è destinato a cadere sul nucleo come un velivolo che abbia esaurito la scorta di carburante.
Ma entra in scena Bohr e per far quadrare le cose butta là un'ipotesi.
Gettare ipotesi sul tappeto sembra essere un giochetto che funzioni, almeno in fisica. L'ipotesi è questa: gli elettroni non possono stare dappertutto, ma solamente su determinate orbite e quando girano su di esse non irradiano più. L'ipotesi non va d'accordo con l'elettrodinamica classica, ma siamo agli inizi del Novecento e la rivoluzione "quantistica" avviata da Max Planck (pure lui nel 1900 aveva gettato sul tappeto, seppure contro voglia, l'ipotesi dei "quanti") aveva ormai abituato a queste cose.
Ma c'è di più. Se un elettrone salta da un'orbita all'altra può emettere o assorbire energia. Dentro all'atomo, dunque, si salta.
A questo punto, cari amici, vi dice niente quel "danese" anteposto al nome di Bohr? La Danimarca è la terra degli Andersen, ma è anche la patria di Søren Kierkegaard, filosofo che intrigò molto il nostro, che aveva letto "Stadi sul cammino della vita" definendolo "uno dei più belli che abbia mai letto". Ci rimase secco, direbbe il giovane Holden. Il procedere verso la verità, secondo Kierkegaard, non è lineare, ma avviene, guarda un po', per salti da uno stadio all'altro. Si parte da quello "estetico" quindi si sale a quello "etico" e infine a quello "religioso".
Mi rendo conto di come tutto questo sappia un po' troppo di filosofia spiegata al popolo, ma quello che voglio dire è che qualcuno ha visto fra la fisica di Bohr e la filosofia di Kierkegaard delle curiose coincidenze. Scrive, infatti, Lewis S.Feuer: «Il modello kierkegaardiano dei salti discontinui divenne parte della più profonda posizione emozionale-intellettuale di Niels Bohr [...] E il salto degli elettroni da un'orbita all’altra è paragonabile alle transizioni brusche e inspiegabili dell'io». Dunque la teoria dell'atomo di Bohr "può essere vista da un punto di vista psicologico come la proiezione della dialettica qualitativa di Kierkegaard".
Lungi da me la pretesa di avervi spiegato tutto in termini chiari e distinti. Spero soltanto di avervi fatto capire che fra la scienza e la filosofia possono gettarsi dei ponti sui quali passare tranquillamente dall'una all'altra. E mi fermo qui (come dicono certi lettori del telegiornale), ma si potrebbe andare avanti e magari scoprire altre cose intrigantissime. Vi propongo solamente un assaggio. Bohr è famoso per il suo "principio di complementarità" (mi ci vorrebbero tutte le mille bolle blu di Mina per spiegarvelo in maniera decente) e secondo Feuer il principio avrebbe affinità con il concetto kierkegaardiano di "timore": «Per quest'ultimo [Kierkegaard, n.d.r.] il timore era il punto d'intersezione del mondo determinato dalla natura col mondo dello spirito libero individuale: la persona sceglieva fra i due. Il fisico, operando una scelta fra le rappresentazioni complementari recitava un dramma kierkegaardiano nella teoria dei quanti».
Qui siamo addirittura al dramma. E allora è bene che cali il sipario anche su questa bollicina.

Franco Gàbici

 

Il giudizio su Kierkegaard di Bohr è tratto da: A.Pais, «Il danese tranquillo», Torino, Bollati-Boringhieri, 1993.
Le citazioni del Feuer sono tratte dal suo «Einstein e la sua generazione», Bologna, Il Mulino, 1990, che vi consiglio di leggere.
Le "mille bolle blu di Mina" fanno riferimento, ovviamente, alla ben nota canzone «Le mille bolle blu» (Pallavicini-C.A.Rossi), che Mina portò al successo agli inizi degli anni Sessanta (del secolo scorso. Che strano avere ricordi che già risalgono al secolo scorso, non vi pare?).

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

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