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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

9 Giugno 2002

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Settecentocinquanta anni fa, nel giugno del 1252, saliva al trono di Spagna il famoso Alfonso X di Castiglia (1223-1284), un monarca illuminato - fra l'altro era detto "Il Dotto" - che qui mi piace ricordare soprattutto come un benemerito della astronomia. Queste cose vanno sottolineate perché pochissimi le mettono in evidenza, come se parlare di monarchi desse licenza di inquadrarli solamente dal punto di vista storico e politico. Ne ho fatto esperienza recentemente anche per un illustre arcivescovo della mia città (Ravenna), tal cardinale Pietro Maffi, conosciuto qui da noi per le vicende legate strettamente al suo episcopato mentre invece, a ben guardare dentro alla sua vita, mi si è spalancato davanti un mondo affascinante.
Pietro Maffi, che dopo la brevissima parentesi ravennate passò a reggere la diocesi di Pisa, fu stimato uomo di scienza, e ha goduto della considerazione dei più importanti astronomi del suo tempo. Giovanni Virginio Schiaparelli, ad esempio, che annualmente redigeva i programmi annuali dell'osservazione delle stelle cadenti, chiamò Maffi a sostituirlo. Il cardinale, tra l'altro, ideò uno strumento per determinare il "radiante" delle stelle cadenti, dove con il termine "radiante" si intende quel punto della volta celeste dal quale, per un effetto di prospettiva, sembrano pioverci sulla testa tutte quelle piccolissime meteore che noi poeticamente chiamiamo "stelle cadenti". Questo Maffi, poi, è stato anche l'ultimo presidente della Specola Vaticana e all'inizio del Novecento fondò la "Rivista di fisica, matematica e scienze naturali" che lui stesso diresse fino al 1912.
Tutto questo per dire che non bisogna mai fermarsi alla corteccia dei personaggi. Per la verità il caso di Alfonso d'Este non può essere catalogato una sorpresa, perché quello che ha fatto per l'astronomia è abbastanza noto, però non si sa mai, a qualcuno potrebbe essere sfuggito questo particolare. Il suo nome, infatti, è legato al primo tentativo di sistemare la scienza astronomica e frutto del lavoro di astronomi arabi, ebrei e cristiani ai quali il re aveva affidato il compito di rivedere tutte le teorie astronomiche per riorganizzarle in uno schema coerente. Da questo enorme sforzo intellettuale nacquero le cosiddette "Tavole Alfonsine" o più precisamente le "Alphonsi regis auspiciis tabulae astronomicae".
A quei tempi era indiscussa l'autorità astronomica di Tolomeo, titolare di uno dei sistemi più complessi che la storia ricordi (il famoso sistema "geocentrico" che considerava la Terra al centro dell'universo), e gli astronomi convocati da Alfonso anziché semplificare, complicarono ulteriormente le cose, complicazione resa necessaria per "salvare i fenomeni". La troppa artificiosità, però, non sfuggì ovviamente ai dotti del tempo e lo stesso Alfonso rimase non poco sorpreso tant'è che di fronte a quanto avevano elaborato gli astronomi da lui assoldati consegnò alla storia dell'aneddotica questa lapidaria frase: «Se il Padre Eterno, prima di creare il mondo, mi avesse interpellato, sicuramente gli avrei consigliato di farlo molto più semplice!». Ma qui entriamo nella categoria della possibilità, tanto cara a Robert Musil, che parecchi secoli dopo avrebbe fatto il verso alle considerazioni di Alfonso ricordando che Ulrich, l'uomo senza qualità, in un suo componimento sull'amor di patria aveva ritenuto di inserire questa spiegazione: «probabilmente anche Dio preferisce parlare del mondo da lui creato servendosi del congiuntivo potenziale (hic dixertit quispiam...) perché Dio fa il mondo e intanto pensa che potrebbe benissimo farlo diverso».
Resta il fatti che Alfonso X è passato alla storia per questa sua battuta, anche se in realtà non fu l'unico ad aver rivendicato la pretesa di dare dei suggerimenti a Nostro Signore. Anche Albert Einstein, con le sue complicate teorie, sotto sotto cercava di dare suggerimenti al Padreterno anche se lo scienziato, in tutta la sua umiltà, non lo avrebbe mai pensato. Fu un suo amico matematico che a un bel momento sbottò con questa frase: «Insomma, Albert, piantala di dire a Dio come si deve comportare!». Ma Albert, nella sua umiltà, mai lo pensò e contrariamente ad Alfonso d'Este cercò sempre di vedere un mondo semplice al di là delle apparenze. E per dimostrare tutto il suo scetticismo nei confronti della meccanica quantistica Einstein coniò quella famosa battuta che si può sintetizzare in questo modo: «Dio non gioca a dadi». Abraham Pais, biografo di Einstein, ribadisce che in effetti Einstein ricorreva spesso ad espressioni come queste e cita, come esempio, questa variante: «Sembra difficile guardare le carte di Dio, ma neanche per un attimo posso credere che Egli giochi a dadi e faccia uso di mezzi "telepatici" (come la teoria quantistica corrente pretende invece che faccia)».
Un'altra perla dell'aneddotica einsteiniana fa riferimento alla verifica "sperimentale" della deviazione dei raggi di luce provenienti dalle stelle da parte del Sole confermata dalla eclissi totale di sole del 29 maggio 1919. Einstein non nutrì mai dubbi al proposito e quando qualcuno gli domandò cosa avrebbe provato se la sua previsione non fosse stata confermata, Einstein candidamente rispose: «Mi sarebbe dispiaciuto per il buon Dio...!».

Franco Gàbici

 

La riflessione di Musil è tratta, ovviamente, da L 'Uomo senza qualità, Torino, Einaudi, 1972, pp. 14-15, vol.1.
La citazione einsteiniana è tratta da A.Pais, "Sottile è il Signore..." La vita e la scienza di Albert Einstein, Torino, Boringhieri, 1986, p.468.

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

 

 

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