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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

3 Febbraio 2002

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I poeti, quelli veri, esistono per davvero. Ed io ho la fortuna di conoscerne uno. Si chiama Manlio Guberti Helfrich (1917), è poeta ma anche pittore ed abita a Monte d'Arca, sulle colline etrusche a un tiro di sasso da Roma. Vive da solo in una bellissima casa dove manca, udite udite, la televisione. Si accontenta solamente della radio, dalla quale ascolta i titoli di testa dei radiogiornali.
Ma per fortuna ha una rete di amicizie che si dipana attraverso i fili del telefono e che lo tiene in contatto con il mondo esterno.
Manlio è un personaggio eccezionale anche se stranamente non è conosciuto dal grande pubblico e allora mi vado sempre più convincendo che la grancassa e il clamore non sono i parametri giusti coi quali misurare la grandezza di un uomo. All'inizio degli anni Cinquanta trascorse un periodo negli Stati Uniti, nel mitico Far West, e sapete da chi fu ospitato? Da Katherine Hepburn, che dei quadri di Manlio è sempre stata una appassionata collezionista, insieme all'amico e compagno Spencer Tracy. Là, nell'Arizona, terra di chimere e di non mi ricordo quale altra cosa, fu ospitato anche da George Cukor che, se non lo sapete, è stato un regista che si è preso perfino l'Oscar, mica brustolini.
Ecco chi è Manlio. Uno che va negli Usa e che si fa ospitare dalla Hepburn e da Cukor. Da lasciarti secco, come direbbe Holden Caulfield!
Oltre oceano interpretò così magistralmente la magia del deserto che il critico del quotidiano Arizona Daily Star scrisse: «Manlio Guberti ha realizzato in pochi mesi di lavoro nel West quanto nessun altro artista aveva mai compiuto; cioè ha sentito e dipinto veramente il fascino del deserto».
Manlio Guberti Helfrich è un uomo coltissimo ed è curioso di tutto. Quando mi telefona mi chiede sempre come va l'universo e se gli astronomi abbiano o no ancora scoperto la cosiddetta "materia oscura". E l'universo entra dentro alle sue poesie, che sono veramente di grande respiro. Ecco un'altra cosa che invidio ai poeti, che per me sono persone speciali. Il pittore, infatti, usa i colori, lo scultore usa il marmo, ma il poeta usa come materia grezza le parole, sì accidenti, quelle parole che noi adoperiamo tutti i santi giorni ma che solamente i poeti sanno metterle in fila cavandone fuori musica ed emozioni. Ecco cosa sono i poeti: gente che è capace di cavare il "sangue" della poesia dalla "rapa" delle parole!
Oltre a libri di poesie ha pubblicato anche un epistolario, con lettere di una suggestione e di una forza eccezionali. Sentite cosa scrive: «La luna non è ancora sorta, l'aria è tanto calma che le stelle non scintillano: stanno fisse, a guardare a lungo questo cielo sembra di vedere dall'alto un prato fiorito. In una notte come questa và dove non ci siano altre luci che le stelle, sdràiati tenendo le palme delle mani aperte verso il cielo, rovesciate come se dovessi sostenere un soffitto, e scrivimi che effetto ti fa». Sono parole che fanno il verso a quelle di Italo Calvino di «Palomar». Ma vedo altre tangenze con il grande scrittore. Il signor Palomar, ad esempio, studia le onde: «Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un'onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un'onda e la guarda». Anche Manlio contempla un'onda, intuendo l'ordine nell'apparente disordine e leggendo armonie "frattali": «In questi giorni ho fatto diversi studî di onde, specialmente vedendole dall'alto capisco perché gli antichi aggiogarono al carro di Poséidon i cavalli, che sono forse gli animali più belli della terra. Nei marosi si scopre una simmetria regolare, come nel mare di certi bassorilievi arcaici...».
Manlio ha anche scritto il primo manuale di "serigrafia" per artisti e nella prestigiosa collana dei Manuali Hoepli ha pubblicato «La Vela», un vero classico del genere. Il poeta e pittore, infatti, è anche un appassionato di vela e come tale ha progettato e costruito delle particolari attrezzature veliche che ancora oggi sono alla base di questo sport. Le sue invenzioni, però, non hanno mai conosciuto l'albo dei brevetti perché i poeti sono candidi e non pensano a queste cose. Lui guarda il mondo coi suoi occhi poeta e di tanto in tanto gratifica gli amici con un volume di versi.
Manlio è veramente grande e noi tutti gli vogliamo bene. È un romagnolo lontano ancora attaccato alla sua terra d'origine, la terra cantata da Pascoli, e dal momento che sono caduto sul poeta di San Mauro voglio farvi notare come Manlio interpreta il pascoliano "meridiano ozio dell'aie": «Questa [le 12, n.d.r.] è un'ora divina, c'è qualcosa di sacro come se il sole fecondi la terra con torrenti di luce. La dura, dolce terra si apre e ride in modo così terribile che comprendo perché gli uomini debbano tacere nell'ora di Pan».
Ma gli uomini dovrebbero tacere di più e lasciarsi dietro le spalle i rumori del mondo. Come fa Manlio, che ammira le stelle e non guarda mai la televisione.

Franco Gàbici

 

Tutte le opere di Manlio Guberti Helfrich sono edite da "Il Monogramma", Via Baccarini 14/a ­ 48100 Ravenna.
L'epistolario si intitola «Lettere da Monte Orcius» (1986), contiene 17 riproduzioni di Manlio ed ha in appendice una nota di Carlo Levi.
I riferimenti calviniani sono tratti da I.Calvino, «Palomar», Milano, Mondadori, 1994, p.5.
"il meridiano ozio dell'aie" è il verso 16 della poesia di Pascoli "Romagna", dalla raccolta «Myricae».

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

 

 

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