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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

10 Febbraio 2002

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Nella regione Emilia-Romagna esiste un “servizio fitosanitario”, ma non è questa la notizia che vi voglio passare, perché non è per nulla interessante venire a conoscenza se in una regione esistano o no questi servizi. La notizia è che questo servizio ha disposto il divieto temporaneo di piantare i biancospini e tutte le piante appartenenti al genere Crataegus. Il provvedimento si è reso necessario per limitare la diffusione di una malattia che si chiama "colpo di fuoco batterico" e che attacca le piante e compagnia bella.
E mentre leggevo questa notizia ho subito pensato a Marcel Proust, che associava questi biancospini niente meno che al mistero aleggiante dentro una chiesa: «Fu nel Mese di Maria [il mese di maggio, caso mai qualcuno non lo sapesse!, n.d.r.] ch'io ricordo d'aver preso ad amare i biancospini. Non soltanto erano presenti nella chiesa, così santa, ma dove pure ci era concesso d'entrare, ma eran posti sull'altare stesso, inseparabili dai misteri alla cui celebrazione prendevano parte...».
Proust e i suoi sette volumi della Recerche! Furono oggetto di contesa fra "Lui" e "Lei" in Anonimo veneziano do Giuseppe Berto a causa della loro non divisibilità per due: «LUI: La ricerca del tempo perduto. Con questa nebbia. Ci costerà un bel po' di reumatismi. Ricordi i sette volumi di Proust? Quanto abbiamo litigato perché li volevi tu e li volevo io. Erano il dono di nozze d'un amico comune. Ci sarebbe voluto Salomone per trovare un giudizio equo. LEI: Non c'è stato bisogno di Salomone. Li hai tenuti tu».
Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera...inizia così la «Recerche» nella traduzione di Natalia Ginzburg, che è quella che preferisco, forse perché è stato il mio primo approccio a questo monumento della letteratura e, si sa, la prima traduzione, come il primo amore, non si scorda mai. Trovo quell'incipit molto musicale, un dolce cullare che ti fa scivolare dentro alla dimensione di un tempo che scorre via inesorabile e che ha fatto scrivere a Marcel pagine e pagine, chiuso nella sua stanza con le pareti rivestite di sughero perché mal sopportava i rumori e allora mi vien fatto di pensare come avrebbe resistito il vecchio Marcel nella nostra stramaledetta era del rumore, con i rumori si moltiplicano a dismisura facendo arrabbiare il gaddiano ingegner Baronfo che ce l'ha su con tutte le sorgenti di rumore, compresi i cani che abbaiano. La rabbia del «grande lombardo», però, si scaglia soprattutto contro i padroni delle bestie e immagina feroci contrappassi, differenziati si capisce, che consistono nel versare burro fritto dentro alle orecchie dei cani, mentre lo stesso burro arroventato dovrà essere accuratamente versato (probabilmente con un imbuto) sull'«umbilico» dei colpevoli padroni. E non sopportava nemmeno la musica, se così commentava l'invenzione dell'amplificazione per pianoforti, «applicabile senza difficoltà a qualunque pianoforte e [che] si presta in tutti quei casi nei quali il pianista desidera far pervenire sue notizie al maggior numero possibile di ascoltatori e di vicini di casa».
Ma torniamo ai biancospini e al loro divieto di essere piantati. Mi chiedo, stasera, come sarebbe cambiata la letteratura senza i biancospini o le siepi in genere. Se Proust fosse nato in un momento in cui si voetava la piantagione dei biancospini probabilmente non ci avrebbe regalo la Recerche e se Leopardi non avesse avuto a disposizione la sua brava siepe che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude addio a Infinito e a tutta la sua poesia. D'accordo, con i se e con i ma dicono non si faccia la storia, ma con queste due "congiunzioni" si possono fare in compenso tante belle chiacchiere. Attorno a "ciò che potrebbe essere" i filosofi hanno costruito la categoria della possibilità, una specie di limbo fra il reale e l'irreale. Andate a leggere Wittgenstein o se preferite qualcosa di più facile leggete la pagina di Musil nell'Uomo senza qualità che ci presenta il matematico Ulrich, tutto orgoglioso della sua frase con la quale rischiò pure di essere espulso dalla scuola, l'aristocratica "Accademia Teresiana": «probabilmente anche Dio preferisce parlare del mondo da lui creato servendosi del congiuntivo potenziale (hic dixerit quispiam...) perché Dio fa il mondo e intanto pensa che potrebbe benissimo farlo diverso».
Anche questa volta sono arrivato alla fine della seconda cartella e devo chiudere per non far scoppiare la bollicina. È tardi, ma io non sono Proust perché di sera non vado mai a coricarmi presto e me ne sto a ficcare le dita sulla tastiera accanto alla mia finestra che guarda sui tetti. Oltre i vetri la notte è un misterioso gatto nero che mi guarda con gli occhi gialli di poche finestre illuminate. E io penso a Proust e ai suoi biancospini, a Leopardi, a Musil...

Franco Gàbici

 

  Le citazioni proustiane sono tratte «da La strada di Swann», Milano, Mondadori, 1970, p.111-112.
«Il grande lombardo» è Carlo Emilio Gadda e con questo titolo Giulio Cattaneo scrisse nel 1973 per Garzanti un simpatico saggio. L'ingegner Baronfo è personaggio gaddiano della Madonna dei filosofi, mentre le considerazioni sul pianoforte sono tratte da C.E.Gadda, «Azoto e altri scritti di diverse scienze», Milano, Scheiwiller, 1986, p.95.
La diatriba fra Lui e Lei si trova in G.Berto, «Anonimo veneziano», Milano, Rizzoli, 1971, p.46.
La frase di cui va orgoglioso Ulrich è nel musiliano «L'uomo senza qualità», Torino, Einaudi, 1972, pp.14-15.

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

 

 

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