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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

28 Aprile 2002

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Pieve Cesato è una località vicino a Faenza (la ben nota capitale della ceramica) dove il primo di maggio si organizza una curiosa manifestazione, la corsa dei somari. I somari, o asini che dir si voglia! Alcuni anni fa ricordo che qualcuno fece girare la notizia che in Italia i somari stavano calando sensibilmente e la notizia sarebbe stata confortante se per asino si fosse inteso il ben noto eufemismo. Il dato, invece, faceva riferimento al somaro in carne, ossa e pelo e pertanto la notizia andava letta come un impoverimento del nostro patrimonio zoologico. Dispiace che i somarelli siano in fase calante, perché l’asino è figura assai popolare. Lo si impara a conoscere fin dai primi anni di scuola e subito l'immagine che se ne ricava non è delle più edificanti, tant’è che lo scolaro che non riusciva bene negli studi veniva immediatamente catalogato come "asino".
Comunque, anche gli asini hanno combinato qualcosa di buono e in effetti l’iconografia tradizionale lo rappresenta nella grotta di Betlemme a fare il paio con il bue, ma in questo caso non viene chiamato né asino né somaro bensì "asinello", come se il vezzeggiativo avesse la proprietà di stemperare le sue scarse qualità di intelligenza e di comprendonio.
L'asino, inoltre, nel caso di Don Chisciotte, diventa lo status symbol dell'inferiorità. Don Chisciotte, infatti, cavalca Ronzinante, un equino un po' scalcinato ma pur sempre un equino, mentre il servo Sancho Panza deve accontentarsi del somaro.
Eppure anche i somari hanno avuto i loro personaggi famosi. A cominciare dall’asino di Talete, sul quale Diogene Laerzio raccontò questo gustoso episodio che in qualche modo rivaluta tutta la stirpe asinaria. Talete, dunque, possedeva un asino del quale si serviva per trasportare certi carichi di sale. Un giorno, durante un guado, la bestiola mise uno zoccolo in fallo e cadde in ammollo. L'acqua sciolse buona parte del carico e la bestiola, una volta rialzatasi sulle quattro zampe, constatò che la soma era diventata più leggera. E fu così che in occasione di un altro guado la bestiola, che aveva capito il meccanismo, cadde di nuovo e così via. E intanto Talete masticava amaro e meditava la vendetta nei confronti della sua bestia. La volta successiva Talete preparò all'asino un micidiale scherzo e anziché riempire la soma di sale, la riempì di spugne e di stracci e così quando al primo guado la bestia finse di cadere, si trovò subito nei pasticci perché la soma era diventata pesantissima. E così l'asino fu punito perché ebbe la presunzione di saperne più di un filosofo.
Anche Buridano ebbe l'onore di un asino che ormai è diventato famoso altrettanto quanto il suo padrone. L'asino di Buridano fu in realtà una sorta di Amleto che anziché disquisire intorno all'essere e al non essere, non riusciva a decidersi sulla scelta della colazione. Gli erano stati posti di fronte due sacchi imbanditi allo stesso modo e la povera bestia morì di fame perché non riuscì a decidersi quale sacco mangiare.
L'asino è anche entrato in letteratura e diversi hanno raccontato clamorose asinificazioni. Il primo è stato Apuleio nelle sue Metamorfosi, da non confondersi con quelle di Ovidio, tant'è che l'avventura di Apuleio è forse più nota con il titolo «L'asino d’oro». In questo racconto, probabilmente il primo vero romanzo di tutti i tempi, il protagonista Lucio a causa di uno scambio di unguenti magici viene erroneamente trasformato dalla sua amante in asino, ma dopo parecchie vicissitudini ritornerà ad assumere le umane sembianze dopo che si fece una scorpacciata di rose. Guarda te cosa ti combinano gli asini, che fin dai tempi del liceo li conoscevamo come ghiotti di cardo secondo l'immagine carducciana che in "Davanti a San Guido" ci presentava la bestia insensibile al progresso che avanzava a suon di sbuffi di una vaporiera: «ma un asin bigio, rosicchiando un cardo/rosso e turchino non si scomodò»!
Diamo per scontata l'asinificazione di Pinocchio che tutti abbiamo imparato a conoscere fin dall’infanzia leggendo Collodi.
Gli asini, dunque, sono per davvero delle celebrità e pertanto è giusto che ci si preoccupi della conservazione della loro specie. Certo, a volte avanzano delle pretese un po' così, come quella di voler scardinare le stelle coi loro ragli, ma dopo tutto restano delle bestiole simpatiche. E poi, ricordiamolo, gli asini sono mansueti e utili. Il latte d'asina, infine, è molto digeribile e possiede straordinarie proprietà. Poppea, consorte di Nerone, era solita immergersi nel latte d'asina come cura di bellezza.
Evviva gli asini, dunque, e speriamo per davvero che non abbiano mai ad estinguersi. Ma siamo fiduciosi. Finché al mondo ci saranno gli uomini, la specie degli asini non correrà mai il rischio dell'estinzione. Gli asini, come gli esami della commedia di Eduardo De Filippo, non finiscono mai!

Franco Gàbici

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

 

 

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