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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

30 Dicembre 2001

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Alcune scene del cinema sono già state consegnate alla storia. Ne cito qualcuna a caso: la carrozzina che rotola lungo la scalinata nella Corazzata Potëmkin, la gonna di Marylin sollevata dal soffione di vapore del treno in A qualcuno piace caldo, le gocce di sangue che piovono dentro al bicchiere di birra sul tavolo del saloon in Un dollaro d''onore. Si potrebbe continuare all'infinito, ma in questa rassegna non può mancare la favolosa corsa delle bighe in Ben Hur, il kolossal della Metro uscito nel 1959. Da togliere il fiato!
Mi chiederete a questo punto come mai abbia voluto ficcare dentro a una "bollicina" quella mitica corsa delle bighe e il motivo ve lo spiego subito. Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente l'uomo che ha scelto con cura i cavalli bianchi e neri e che li ha addestrati per quella straordinaria corsa, avvenimento memorabile nella storia del cinema. Si chiamava Pietro Marra (è morto due anni fa, nel dicembre 1999, a ottantacinque anni d'età) e dopo aver partecipato alla realizzazione di tutti i più grandi kolossal americani, le vicende della vita lo portarono a Ravenna, la mia città, dove visse gli ultimi anni della sua vita.
Pietro Marra appartiene a quella categoria di persone che ha sempre lavorato in silenzio e del resto questa discrezione del lavoro era rispecchiata anche nei cosiddetti "titoli di testa" dei film, dove lo spettatore leggeva pochissimi nomi. Oggi, in piena epoca di protagonismo, la sequenza dei "titoli di testa" a volte è più lunga del film stesso. Una noia mortale.
Marra era una persona buona e mite che dava del tu agli animali. Sapeva capirli e addestrarli e a Cinecittà la sua fama fece il giro fra gli addetti ai lavori. E fu così, mi raccontava lui stesso, che un bel giorno quelli di Ben Hur lo andarono a trovare sul set dove stava lavorando. La solita americanata. Pareva proprio un film. Scende da uno di quei macchinoni lunghi da qui fin là un tipo con un cappellaccio in testa e con fra le labbra un sigaro che pareva un dirigibile. Senza tanti giri di parole l’omone col sigaro andò dritto al cuore del problema. Gli americani, con i dollari, compravano tutto e mister sigaro chiese al buon Marra quanto fosse il suo salario. Occhei, mister Marra, noi ti daremo tre volte tanto. Questo sì che vuol dire fare i contratti.
E Marra, su licenza della Metro che gli aveva messo a disposizione dollari e personale, si mise a girare per tutta Europa alla ricerca di cavalli che facessero al caso suo. Il primo cavallo che compare in Ben Hur, mi disse, era un bellissimo animale che tirava la carrozzella a Catania. Fu subito feeling fra Marra e la bestia. Abile arruolata.
I magnifici cavalli bianchi e neri venivano invece dalla Jugoslavia e fu una avventura farli arrivare fino a Roma.
Pietro Marra ha anche una piccola particina nel film. Non parla, ma è il tipo che guida il cocchio dei quattro cavalli bianchi e che si prende la sgridata dallo sceicco.
I cavalli furono addestrati per diversi mesi e alla fine, mi disse, «ero riuscito ad addestrali così bene che chiunque avrebbe potuto guidarli». Marra scelse anche gli "auriga", molti dei quali erano suoi parenti stretti.
Mi raccontava tutti i trucchi della corsa. «Ricorda - mi diceva sorridendo - la scena in cui Charlton Heston cade dalla biga e subito vi rimonta sopra? In realtà abbiamo girato a rovescio la scena della caduta!»
E via su questo registro. Ma quello che affascinava nei suoi racconti era il riferimento a tutti i grandi attori di Hollywood che lui aveva conosciuto personalmente. Charlton Heston, alla fine di Ben Hur, avrebbe voluto che Marra lo seguisse in America. Audrey Hepburn si sentiva a proprio agio in groppa a un cavallo solamente se Pietro Marra la sorvegliava a distanza. John Wayne era un vero signore. Durante la lavorazione di Timbuctu il grande John gli chiedeva spesso le sigarette e lui gliele dava volentieri perché era John Wayne, per Diana! Ma l'ultimo giorno della lavorazione, l'altoparlante del campo si mise a gridare: «Mister Marra è desiderato nella tenda di mister Wayne!».
«Io vado - racconta Marra - con un po' di emozione e una volta entrato Wayne mi indica un baule pieno di sigarette e di ogni ben di Dio». Era il risarcimento per tutte le sigarette che gli aveva dato!
E mentre raccontava queste cose mi mostrava centinaia di foto che lo ritraevano insieme ai più grandi divi dello schermo. Lavorò anche con molti attori italiani che, secondo lui, non avevano però la signorilità dei divi americani. Il più grande di tutti, secondo Marra, era Totò. Un vero signore.
Poco prima della assegnazione degli Oscar a Titanic, Marra ebbe qualche momento di ansia. Non gli garbava che Titanic avesse superato in Oscar le undici statuette del suo Ben Hur. E per fortuna anche Titanic si fermò a quota undici e il record di Ben Hur non fu superato. E Pietro Marra ne fu felice, perché dentro ad una delle statuette è racchiusa sicuramente l'indimenticabile corsa delle bighe.

Franco Gàbici

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

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