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Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

4 Novembre 2001

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Samuel Butler, autore di Erewhon, ce l'aveva proprio con le macchine e un po' aveva ragione. Lui scriveva nell'Ottocento, quando da poco la locomotiva andava macchiando con la sua nera presenza i biondi prati del grano. Sicuramente erano da preferire i grandi silenzi al ronzio dei telai e al fischio delle vaporiere. Ma così si annunciò l'incivile civiltà.
Le macchine. Butler scriveva che ogni uomo cui stia a cuore la felicità della sua specie dovrebbe distruggere ogni macchina, di qualunque genere! Senza alcuna eccezione! Senza quartiere! E poi lanciava il suo proclama: Torniamo alle condizioni primitive della nostra razza. E se si obietta che ciò non è possibile date le condizioni attuali delle cose umane, questa stessa obiezione è la prova patente che il male è già avvenuto, che la nostra servitù è veramente cominciata...
Ed è proprio vero, perché siamo diventati schiavi delle macchine. Il fatto è che, nonostante la demonizzazione cui le macchine vengono quotidianamente sottoposte, nessuno imita Ned Ludd (che per protesta nel 1779 distrusse un telaio meccanico) o gli abitanti di Erewohn. Anzi. Provate a fare un graffio in una carrozzeria nuova e vedrete il proprietario uscire dai gangheri e inscenare reazioni spropositate perché qualcuno ha osato graffiare la sua creatura.
Ricordate Bruno Cortona (Vittorio Gassman) de Il sorpasso (1962) quando confida all'amico Roberto Mariani (Jean-Louis Trintignant) che la sua ex moglie era gelosa della sua macchina ("aveva una ripresa!", sospira Gassman. La macchina, si capisce, non la moglie)?
La vera sconfitta delle macchine si registra a Crisopoli, nell'allucinante scenario di Dissipatio H.G.(andatevelo a leggere, questo libro di Guido Morselli, non è mai troppo tardi per leggere qualcosa di buono), dove il protagonista annota la morte della macchina per colpa della assenza di vita. Il genere umano, infatti (quell'H.G. sta per humani generis ), si è volatilizzato e al mondo è rimasto soltanto il protagonista, che così commenta la "caduta" di una macchina:'"Prima", erano gli incidenti d'auto che toglievano la vita: in quel momento, fu il togliersi della vita (il suo sottrarsi, svanire) a produrre l'incidente. La vittima è la macchina, solo essa.
Ma poi succede che andiamo in automobile alle "marce ecologiche", scriviamo articoli contro la società delle macchine usando il computer... insomma senza macchine non possiamo proprio vivere. Siamo pieni di contraddizioni. Predichiamo bene e razzoliamo male. Pensiamo una cosa e facciamo il contrario. Tutto a rovescio, dunque. Del resto leggendo a rovescio Erewhon vien fuori un qualcosa che richiama nowhere, vale a dire in nessun posto. Probabilmente lo stesso Butler sotto sotto era convinto che il paese dove si condannavano le macchine non si trovasse da nessuna parte.

Franco Gàbici

 

N.B. I corsivi sono tratti da:
S.Butler, Darwin e le macchine

G.Morselli, Dissipatio H.G.

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

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