A fine settembre nascono I Libri dell'Istrice - Cultura, Attualità & Molto Altro -
Preziosi volumi a tiratura limitata che saranno poi "ristampabili" soltanto in formato eBook oppure "on demand"
Primo titolo:
Franco Gàbici «Gadda - Il dolore della cognizione»
Una lettura scientifica dell'opera gaddiana - Isbn 88-86792-40-9

Chi ordina per e-mail il volume contrassegno non rischierà di trovarlo già esaurito e lo riceverà comodamente a casa al prezzo di copertina di 15,00 Euro. Le spese di spedizione sono un cortese omaggio della casa editrice.
Non perdete il prezioso n. 1 de I Libri dell'Istrice

 

 

 



di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

30 settembre 2002

n. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36
37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47

 

L eopardi continua ancora a far parlare di sé tant¹è che proprio in questi giorni si apre a Genova una mostra dal leopardianissimo titolo «Vaghe stelle dell¹Orsa...gli infiniti di Giacomo Leopardi» curata da Giuseppe Marcenaro e Piero Boragina e mentre leggevo la lunghissima presentazione su Tuttolibri l'occhio ha frenato bruscamente sul nome di Filippo De Pisis che, così leggo, «scioglie il privato debito verso Leopardi fin dal titolo di un libro sconosciuto o quasi: Vaghe stelle dell'Orsa, là dove annuncia: "E ora andrò a girare alla luce di luna fino a tardi. Che tortura non poter aver nessuno con cui si stia volentieri. La notte la tortura e il canto largo che resta sepolto nel petto"».
Mi ha attirato De Pisis perché anch'io avrei da citare un qualcosa di pressoché sconosciuto e precisamente questa «Ravenna» scritta il 24 settembre del 1920 e dedicata a un tale di nome Donato Zaccarini: «A Ravenna, dal finestrino di un treno ho visto la luna scialba su certi massicci casoni grigi: cantieri, magazzini. Sul tetto di un carro merci fermo, spuntavano alberi di vecchie navi con le corde nere. Si vedeva anche un finestrone polveroso con grosse ferriate proteso verso la verginità della sera... Ma perché tanta dolcezza accorata mi prese». Il tutto firmato F. De Pisis. Mica male.
Ma subito dopo la citazione del libro di De Pisis, la presentazione della Mostra considera il soggiorno bolognese del cantore dell'i>Infinito e a questo proposito non posso non sottolineare il fatto che in quasi tutte le biografie di Leopardi si parla esclusivamente di questo soggiorno presso le due torri, senza citare che in quel periodo, e più precisamente fra il 2 e il 13 agosto del 1826, Giacomo fece una capatina a Ravenna dove restò per più di una settimana, ospite del marchese Antonio Cavalli che lo aveva invitato presso di sé.
Ci sono alcune lettere del suo epistolario che testimoniano il suo soggiorno ravennate, ma più che di un soggiorno si trattò di una tortura. «Carissimo Signor Padre - scrive Giacomo da Ravenna in data 9 agosto 1826 - sono qui da alcuni giorni in casa di un mio amico che mi ha voluto seco per forza, a vedere le antichità di Ravenna». Giacomo patisce moltissimo il caldo, che nella bassa Romagna d¹estate non scherza e poi a quei tempi non è che ci fosse la maledizione dell¹aria condizionata a dar refrigerio e malanni. Ma la cosa più curiosa è che Leopardi, volente o nolente, era interessato soprattutto a cercare un buon partito per il fratello Carlo, evidentemente indottovi dal padre Monaldo.
Povero Giacomo! Su questa sua avventura ravennate ho pure scritto un libretto (è brutto autocitarsi, ma semel in bollicina!) e sono anche andato a vedere le situazioni lunari di quel periodo e ho trovato che Giacomo non ebbe nemmeno il conforto della presenza della sua bella luna piena, ma poté consolarsi, in compenso, ammirando il fenomeno delle stelle cadenti che proprio in quel periodo, ieri come oggi, davano spettacolo di sé. E forse acchiappando con lo sguardo questi grappoli di stelle che graffiavano la scura tela del cielo senza luna, Giacomo andava pensando, magari un po¹ ingrugnato, alla dote per il fratello.
Trovandosi a Ravenna non poteva esimersi dall'andare a fare una visita alla tomba di Dante, ma di fronte al tempietto neoclassico non provò alcuna emozione quando invece aveva pianto di commozione a Roma davanti alla tomba di Torquato Tasso. E se non ci credete sentite cosa scrive nello Zibaldone: «Ma io, che ho pianto sopra quello del Tasso, non ho sentito alcun moto di tenerezza a quello di Dante: e così credo che avvenga generalmente. E nondimeno non mancava in me, né manca negli altri, un'altissima stima, anzi ammirazione, verso Dante; maggiore forse (e ragionevolmente) che verso l'altro». Come si giustifica allora questo comportamento di Leopardi davanti alla tomba del poeta più grande del mondo? é ancora Leopardi a spiegarcelo: «Di più, le sventure di quello furono senza dubbio reali e grandi; di questo appena siamo certi che non fossero, almeno in gran parte, immaginarie [...] Ma noi veggiamo in Dante un uomo d¹animo forte, d¹animo bastante a reggere e sostenere la mala fortuna; oltracciò un uomo che contrasta e combatte con essa, colla necessità, col fato. Tanto più ammirabile certo, ma tanto meno amabile e commiserabile. Nel Tasso veggiamo uno che è vinto dalla sua miseria, soccombente, atterrato, che ha ceduto all'avversità, che soffre continuamente e patisce oltre modo. Sieno ancora immaginarie e vane del tutto le sue calamità, la infelicità sua certamente è reale. Anzi senza fallo, se ben sia meno sfortunato di Dante, egli è molto più infelice».
Un altra seccatura cui dovette sottostare Giacomo, sempre oppresso dal caldo ravennate, fu lo scrivere una lettera di raccomandazione per il marchese Cavalli, che aveva pensato bene di sfruttare la notorietà dell'illustre ospite per pubblicare presso l'editore Stella di Milano una sua traduzione di Tibullo. Giacomo, poveretto, scrive la lettera mentre l'amico marchese, come dire, gli sta soffiando sul collo, ma non appena ha un momento di privacy, prende carta e penna e scrive all'amico editore in questi termini: «La lettera, che probabilmente a quest'ora ella avrà già ricevuta, fu scritta sotto gli occhi medesimi dell'amico. Da ciò giudicherà facilmente del conto che deve farne, anche relativamente alla mia opinione su quel manoscritto».
Racconto queste cose perché il soggiorno di Leopardi a Ravenna non è mai stato preso abbastanza in considerazione, quando invece la città dei mosaici deve essere considerata città leopardiana a tutti gli effetti, se non altro per quel preziosissimo codice di Aristofane conservato nella sua biblioteca principale (la Classense) che Giacomo volle consultare. E tutto questo non per il solito campanilismo, ma più semplicemente per il fatto che nell'arco della brevissima vita di Leopardi anche la più piccola esperienza può contribuire a metterne a fuoco la figura.

Franco Gàbici

 

Il mio libello sul soggiorno ravennate di Leopardi si intitola Giacomo Leopardi turista per caso ed è stato edito a Ravenna da Danilo Montanari Editore nel 1998, anno del bicentenario della nascita di Giacomo.
I passi dello Zibaldone fanno riferimento al 14 marzo 1827 alla pagina 4254.

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989), è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996) e del saggio Gadda - Il dolore della cognizione (Simonelli Editore, 2002).

 

 

 

 

© Copyright by Simonelli Editore
Vietato copiare o linkare senza autorizzazione
Any copy or link is forbidden without permission.