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Primo titolo:
Franco Gàbici «Gadda - Il dolore della cognizione»
Una lettura scientifica dell'opera gaddiana - Isbn 88-86792-40-9

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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

22 settembre 2002

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È in arrivo lo spauracchio delle "targhe alterne" per mettere un freno all'inquinamento delle nostre città e chi è penalizzato dai numeri pari o dispari è costretto ad andare a piedi o a rispolverare la vecchia e sana bicicletta, il fedele cavallo d'acciaio al quale proprio cento anno fa il letterato, nonché appassionato cicloturista Alfredo Oriani, dedicò un romanzo "che resta il più bel libro italiano - almeno per la prima e per l'ultima delle tre parti in cui si articola - sulla bicicletta e sul ciclismo tra '800 e '900, nel periodo eroico della loro storia" e che appartiene a tutti gli effetti alla letteratura "se è vero che figura non marginalmente nel più prestigioso - a scala mondiale - Dizionario letterario delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature". Anche Benedetto Croce si sbilanciò definendo La bicicletta uno dei libri più notevoli di Oriani.
Se ricordate, lo avevo annunciato qualche Bollicina fa, e oggi finalmente è uscito, con una elegante prefazione di Ennio Dirani, che non a caso è il presidente della Cicloturistica Oriani.
La bicicletta! Come tutte le novità questo nuovo mezzo fu osteggiato, perché in qualche modo andava a turbare la tranquillità della vita inserendo subdolamente il tarlo della velocità, tant'è che subito i soloni di turno lanciarono l'allarme contro questo mezzo, considerato pericoloso per l'incolumità dei pedoni, indiscutibili padroni della strada. Il sindaco di Faenza aveva emesso un'ordinanza secondo la quale i "cavalli di ferro" potevano entrare in città solo se condotti a mano.
Ma siamo nella Romagna delle teste calde e il 23 giugno 1894, come racconta Dirani, Alfredo Oriani si mette alla guida di una manifestazione di velocipedisti che provocatoriamente entrano in Faenza a cavalcioni delle proprie "macchine". La folla, però, "assediò gli invasori nell'albergo Corona e ci volle uno squadrone di cavalleria con tanto di lance per rimettere le cose a posto e consentire ai ciclisti di uscire a piedi, alle undici di notte, tra due file di popolo urlante e minacciante".
La bicicletta di Oriani, per la verità, non è stato il primo romanzo su questo argomento, perché gà pochi anni prima, nel 1898, era uscito in Francia un romanzo sul ciclismo dal titolo Voici des ailes!, che da quanto mi risulta non è mai stato tradotto in italiano. Autore Maurice Leblanc e che si trattasse di un romanzo rivoluzionario lo si capiva subito dalla copertina del volume sulla quale era raffigurata una donna a petto nudo coi capelli al vento che pedalava su di una bicicletta con le ali, a dimostrazione che quella "macchina" non era da considerare un mezzo di locomozione qualsiasi, perché in realtà sottindeva qualcosa di molto più profondo, vale a dire una vera e propria liberazione sessuale, sociale e spaziale. E pare sia proprio così.
Il filosofo Pascal (che ovviamente non è il Pascal dei "Pensieri") confessa all'amico Guillaume che niente riesce ad evocare l'idea della velocità più del ronzio dei raggi di una bicicletta e la liberazione sessuale provocata da questo nuovo mezzo meccanico ha inizio quando la moglie del filosofo si sbottona coram populo la blusa per bagnarsi il collo e le spalle in una fontana pubblica.
Ricordando certe pagine di Oriani (in particolare il racconto Sul pedale) il critico Renato Serra, pure lui appassionato della bicicletta tant'è che dalla natia Cesena era solito farsi una bella pedalata fino a Bologna, affida alla pagina il significato della vera liberazione spaziale provocata dal nuovo mezzo meccanico: «pare di sentire una finestra spalancata bruscamente alla grand'aria e alla polvere vera. Nel respiro vasto della libertà l'uomo si mostra schietto, quasi lavato e stinto da tanta fuliggine vile del tavolino e della camera chiusa; il suo orgoglio solitario, la sua riflessione a scatti, la sua ironia chiaroveggente sopra gli altri e sopra sé, il senso acuto del vero compongono di lui una espressione superiore».
Infatuato dalla sua bicicletta, Oriani affidò alla storia alcuni provocatori epifonemi, del titpo: "Una bicicletta può ben valere una biblioteca" oppure: "Passano più idee per una strada in un giorno che non ne escano da una università in un secolo: cento libri non vi daranno di un popolo quella conoscenza, che vi otterrete consultandolo a viva voce in unÊ mese". Siamo all'inizio del Novecento e già Oriani, senza saperlo, stava inventando la letteratura on the road!
E poi ci sono anche delle storie curiose intorno alla bicicletta. Mentre Oriani stava lavorando al suo romanzo sulle due ruote, un professore romagnolo di nome Luigi Graziani, forse uno degli ultimi rappresentanti di quella scuola classica romagnola che ebbe in Vincenzo Monti il suo celeberrimo apripista, scriveva nel 1899 un poemetto in latino dedicato alla bicicletta, Bicyclula, che venne anche premiato ad Amsterdam nei famosi Certamina poetica Hoefftiana che vedevano sempre Giovanni Pascoli (che dedicò alla bici una famosa poesia con l'omatopeico dlin...dlin...) indiscusso mattatore. Alcuni anni dopo presentò al certame olandese In re cyclistica Satan ovvero Il diavolo nel ciclismo e anche in quell'occasione dovette accontentarsi della medaglia d'argento.
Oriani scrisse il romanzo su suggerimento di Adolfo Mergari, il suo Chirone, che morì in giovane età: «Egli - ricorda Oriani in una lettera - amava la propria bicicletta assai più di una fanciulla, a letto dove giace infermo da tre mesi ne ricorda palpitando la libera poesia con un desiderio senza rimorsi». E come non associare queste righe alla conclusione de Il prete bello di Goffredo Parise?
Ricordate il piccolo Cena che era fuggito dal riformatorio e per guadagnare la libertà era finito sotto a un tram? Ma nel delirio dei suoi ultimi istanti gli apparve in visione la bicicletta, una Legnano da corsa nuova fiammante: «guardava e pregava anche per avere una vita migliore in questo mondo e in mezzo agli uomini più grandi e più fortunati di lui e proprio mentre stava passando in rassegna tutte queste cose sulla sua nuova bicicletta, questa si alzò, e Cena, rifiuto di riformatorio, ladro e miserabile a dodici anni, abbandonò con essa le strade di questa terra».

Franco Gàbici

 

Le citazioni iniziali sono tratte dalla Prefazione di Ennio Dirani al romanzo A.Oriani, La bicicletta, Ravenna, Longo Editore, 2002, p.10, p.11.
Il riferimento al romanzo Voici des ailes! è tratto dal capitolo La velocità, in S.Kern, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 143.

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

 

 

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