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Primo titolo:
Franco Gàbici «Gadda - Il dolore della cognizione»
Una lettura scientifica dell'opera gaddiana - Isbn 88-86792-40-9

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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

15 settembre 2002

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È proprio vero che sotto il sole non c'è mai niente di nuovo e considerando la lunghissima storia dell'uomo si trovano in effetti situazioni che si ripetono pari pari. Mi vengono in mente queste considerazioni paragonando due "situazioni" che si sono verificate a distanze temporali enormi l'una dall'altra, diciamo duemila anni, mica uno scherzo.
Alla fine dell'Ottocento qualcuno avrebbe volentieri appeso sul portone del grande edificio della fisica il cartello "chiuso", per significare che ormai era stato scoperto tutto quello che c'era da scoprire e la fisica poteva vivere beatamente di ricordi. Poi il vento delle mie curiosità ha fatto svolazzare le pagine del grande libro della storia e mi ha portato indietro, molto indietro direi, all'epoca dei classici, quando il "vecchio" Plinio, anzi Plinio il Vecchio, era convinto che in ogni campo del sapere si fosse raggiunto il top (lui parlava di "culmen") e che pertanto non ci sarebbe stato più niente da scoprire.
E invece Seneca, il grandissimo Seneca, era di parere tutto contrario. Per lui, infatti, la scienza era un grande libro aperto sul quale le generazioni future avrebbero sorriso delle ingenuità del passato. Ecco cosa dice Seneca facendo riferimento agli studi dei fenomeni celesti: «Verrà un giorno in cui il passare del tempo e l'esplorazione assidua di lunghi secoli porterà alla luce ciò che ora ci sfugge. Una sola generazione non basta all'indagine di fenomeni così complessi, anche se si dedicasse esclusivamente al cielo: che dire poi del fatto che questi così pochi anni non li ripartiamo in modo equo fra lo studio e i vizi? Perciò questi fenomeni saranno spiegati attraverso un lungo succedersi di generazioni. Verrà il giorno in cui i nostri posteri si meraviglieranno che noi ignorassimo cose tanto evidenti»
. Io non so se qualcuno è abituato a leggere queste mie righe, ma caso mai ci fosse lo inviterei, se non lo avesse mai fatto, a leggere un po' di Seneca e in particolare quelle Lettere a Lucilio che sono un vero distillato di sapienza e di saggezza. Sembrano scritte ieri, non scherzo.
Il mondo dei classici è veramente una ricchissima miniera. E i classici, come diceva Italo Calvino (che ormai è diventato pure lui un classico), sono quegli autori che si "rileggono": «Il prefisso iterativo davanti al verbo "leggere" può essere una piccola ipocrisia da parte di quanti si vergognano d'ammettere di non aver letto un libro famoso. Per rassicurarli basterà osservare che per vaste che possano essere le letture "di formazione" d'un individuo, resta sempre un numero enorme d'opere fondamentali che uno non ha letto».
O forse le origini della "rilettura" vanno cercate nelle esperienze liceali, quando l'approccio coi classici era inevitabilmente forzato e coatto e soprattutto concentrato sulla traduzione e sul conseguente giudizio del professore (il temutissimo "voto") che faceva passare in seconda linea tutto il resto. Traducendo Seneca, o Virgilio o Cicerone o Lucrezio si restava rigorosamente attaccati al testo e ci si preoccupava solamente di raggiungere il solito "sei", l'aurea sufficienza. Ecco perché, credo, i classici vadano veramente riletti. E anche se tutti buttano la croce addosso alla scuola (Leo Longanesi diceva che tutto quello che non sapeva lo aveva imparato a scuola!) non possiamo non negarle di averci consentito un incontro con questi giganti del passato.
Ma torniamo a Seneca. Ricordate il saggio di Benjamin Farrington Lavoro intellettuale e lavoro manuale nella antica Grecia? Beh, qualcosa del genere aveva pensato anche Seneca il quale affermava che il compito dei "sapientes" non era la costruzione degli strumenti da lavoro, perché la "sapienza", in realtà, «guida le anime, non le mani». La scienza, dunque, è intesa come guida dell'anima e dunque come un qualcosa che, insieme alla filosofia, eleva l'uomo.
Seneca è proprio un grande!
Nelle Lettere a Lucilio si trova veramente di tutto. Anche ai suoi tempi c'era gente che perdeva tempo nelle palestre per avere un corpo bello e muscoloso, ma Seneca si rivolge a Lucilio ammonendolo: «Sarebbe, o mio Lucilio, stolto e sconveniente per un intellettuale occuparsi solo ad esercitare i muscoli, a ingrossare il collo e a rinforzare i fianchi: quand'anche questa cura avesse buon esito e ti si sviluppassero bene i muscoli, non riuscirai certo ad eguagliare la forza e il peso di un bue. Aggiungi poi che, aggravato da un corpo più pesante, l'animo perde di agilità. Perciò limita - conclude Lucio Anneo - per quanto ti è possibile, la tua cura per il corpo, e riserva più tempo per le attività dello spirito»
. Poi, però, mi viene in mente che Seneca, forse più che come filosofo e pensatore, è famoso per essere stato il precettore di Nerone, che ha combinato quello che ha combinato. Ma non possiamo certo giudicare il valore dei maestri dalle azioni dei loro discepoli.

Franco Gàbici

 

Le citazioni di Seneca sono tratte da: Seneca, Ricerche sulla natura a cura di Piergiorgio Parroni, Milano, Mondadori, 2002 (Fondazione Lorenzo Valla): Libro VII, 25 4-5 e Lettere a Lucilio, Lettera 15.
Il passo di Calvino è tratto da I.Calvino, Perché leggere i classici, Milano, Mondadori, 1995, p.5.

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996).

 

 

 

 

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