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Avete mai letto
«Der schwarze
Obelisk»
(tradotto alla lettera in italiano col titolo L’obelisco nero) di Erich Maria Remarque? Se non lo avete mai fatto, fatelo, se non altro per
quell’incipit scritto nel 1956 che sembra essere fatto apposta per i tristissimi
tempi che stiamo vivendo oggi. Sentite cosa scriveva
Remarque:
«Non biasimatemi se parlo, questa volta, di tempi passati. Il mondo è di nuovo percorso dalla luce livida
dell’Apocalisse; l’odore di sangue e la polvere dell’ultima catastrofe non sono
ancora svaniti, e già laboratori e fabbriche sono all’opera per conservare la
pace mediante la creazione di armi capaci di far saltare in aria l’intero globo
terrestre.
La pace del mondo! Mai come nel nostro tempo se n’è parlato tanto e mai s’è fatto tanto poco per essa; mai vi
sono stati tanti falsi profeti, mai sono state dette tante menzogne, mai vi è
stata tanta morte, tanta distruzione, tanta sofferenza quanto nel nostro secolo,
il ventesimo, il secolo del progresso, della tecnica, della civilizzazione,
della cultura di massa e degli stermini di massa.
Dunque non biasimatemi se, questa volta, ritorno agli anni leggendari in cui la speranza sventolava ancora
sopra di noi come una bandiera, e noi credevamo ancora in quelle cose sospette
che si chiamano umanità, giustizia, tolleranza e pensavamo che una guerra
mondiale potesse essere, per una generazione, un insegnamento
bastante».
E invece aveva ragione Hegel quando diceva che "la storia insegna che dalla storia non si impara proprio
nulla", segno evidente che l’homo sapiens è anche homo insipiens e lo sta
dimostrando da quando è apparso sulla Terra.
Ma questo
«Obelisco nero»
è soprattutto sorprendente per certe considerazioni intorno ai concetti della
fisica quantistica e, cosa strana (ma poi, a pensarci bene, strana mica tanto),
certe considerazioni Remarque le fa quando il suo protagonista è dentro al
manicomio e parla con la sua amica schizofrenica e sdoppiata e da questo
cervello fuori squadra escono espressioni apparentemente senza senso ma che
invece appartengono all’alta filosofia, del tipo: "Rinuncia a cercare, Rolf. Non
si trova mai nulla".
E quando il sano disquisisce
con la matta sulle tonalità delle campane che suonano all’impazzata e dice che
una è in "maggiore" ma potrebbe anche essere "minore", la pazza gli chiede:
«Non può essere l’uno e l’altro a un tempo?» e lui gli risponde «no». Ma un
fisico quantistico avrebbe risposto in un’altra maniera e avrebbe cominciato a
parlare del "principio di sovrapposizione degli stati", che a ben guardarci è
per davvero una cosa pazza (almeno dal punto di vista della fisica
classica).
E dentro a questo manicomio dove il protagonista va a suonare tutte le domeniche per la Messa, continuano i
discorsi sorprendenti. Sentite questo dialogo:
«Che cosa c’è, allora, se l’erba non c’è?»
«Nulla. Solo quando la si guarda c’è. Se ti volti molto in fretta puoi addirittura
sorprenderla».
Son discorsi da “matta” questi?
Ma allora confrontatelo con questo inizio della biografia di Albert Einstein,
che matto non doveva esserlo affatto. Dunque Abraham Pais racconta che intorno
al 1950 stava passeggiando col "grande vecchio" sulla strada che dall’Institute
for Advanced Study conduceva alla sua abitazione. In cielo brillava la Luna e a
un certo punto Einstein chiese a Pais: «Veramente è convinto che la Luna esista
solo se la si guarda?». Se questa frase fosse stata pronunciata nell’ambito di
un manicomio sarebbe stata scambiata per una mattata e invece pronunciata sotto
la Luna a Princeton acquista tutto un altro significato, perché quella domanda
senza senso sottende la grande problematica della "meccanica quantistica" e il
dibattito intorno ai concetti di "esistere” o di “misura".
Il senso dei discorsi, dunque, è dato dal contesto. Sarebbe come dire che non possiamo giudicare un quadro bello
o brutto se prima non gli mettiamo attorno una cornice. Anche su questo
bisognerebbe riflettere.
Franco Gàbici
Le citazioni di Remarque sono tratte da una edizione Oscar Mondadori dell'Obelisco
nero (1971).
Le riflessioni einsteiniane sono invece tratte dalla biografia di A.Pais
Sottile è il Signore…La vita e la
scienza di Albert Einstein (Boringhieri, 1986).
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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