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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale


 

23 marzo 2003

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Avete mai letto «Der schwarze Obelisk» (tradotto alla lettera in italiano col titolo L’obelisco nero) di Erich Maria Remarque? Se non lo avete mai fatto, fatelo, se non altro per quell’incipit scritto nel 1956 che sembra essere fatto apposta per i tristissimi tempi che stiamo vivendo oggi. Sentite cosa scriveva Remarque:

«Non biasimatemi se parlo, questa volta, di tempi passati. Il mondo è di nuovo percorso dalla luce livida dell’Apocalisse; l’odore di sangue e la polvere dell’ultima catastrofe non sono ancora svaniti, e già laboratori e fabbriche sono all’opera per conservare la pace mediante la creazione di armi capaci di far saltare in aria l’intero globo terrestre.
La pace del mondo! Mai come nel nostro tempo se n’è parlato tanto e mai s’è fatto tanto poco per essa; mai vi sono stati tanti falsi profeti, mai sono state dette tante menzogne, mai vi è stata tanta morte, tanta distruzione, tanta sofferenza quanto nel nostro secolo, il ventesimo, il secolo del progresso, della tecnica, della civilizzazione, della cultura di massa e degli stermini di massa.
Dunque non biasimatemi se, questa volta, ritorno agli anni leggendari in cui la speranza sventolava ancora sopra di noi come una bandiera, e noi credevamo ancora in quelle cose sospette che si chiamano umanità, giustizia, tolleranza e pensavamo che una guerra mondiale potesse essere, per una generazione, un insegnamento bastante».

E invece aveva ragione Hegel quando diceva che "la storia insegna che dalla storia non si impara proprio nulla", segno evidente che l’homo sapiens è anche homo insipiens e lo sta dimostrando da quando è apparso sulla Terra.
Ma questo
«Obelisco nero» è soprattutto sorprendente per certe considerazioni intorno ai concetti della fisica quantistica e, cosa strana (ma poi, a pensarci bene, strana mica tanto), certe considerazioni Remarque le fa quando il suo protagonista è dentro al manicomio e parla con la sua amica schizofrenica e sdoppiata e da questo cervello fuori squadra escono espressioni apparentemente senza senso ma che invece appartengono all’alta filosofia, del tipo: "Rinuncia a cercare, Rolf. Non si trova mai nulla".
E quando il sano disquisisce con la matta sulle tonalità delle campane che suonano all’impazzata e dice che una è in "maggiore" ma potrebbe anche essere "minore", la pazza gli chiede: «Non può essere l’uno e l’altro a un tempo?» e lui gli risponde «no». Ma un fisico quantistico avrebbe risposto in un’altra maniera e avrebbe cominciato a parlare del "principio di sovrapposizione degli stati", che a ben guardarci è per davvero una cosa pazza (almeno dal punto di vista della fisica classica).
E dentro a questo manicomio dove il protagonista va a suonare tutte le domeniche per la Messa, continuano i discorsi sorprendenti. Sentite questo dialogo:

«Che cosa c’è, allora, se l’erba non c’è?»
«Nulla. Solo quando la si guarda c’è. Se ti volti molto in fretta puoi addirittura sorprenderla».

Son discorsi da “matta” questi?
Ma allora confrontatelo con questo inizio della biografia di Albert Einstein, che matto non doveva esserlo affatto. Dunque Abraham Pais racconta che intorno al 1950 stava passeggiando col "grande vecchio" sulla strada che dall’Institute for Advanced Study conduceva alla sua abitazione. In cielo brillava la Luna e a un certo punto Einstein chiese a Pais: «Veramente è convinto che la Luna esista solo se la si guarda?». Se questa frase fosse stata pronunciata nell’ambito di un manicomio sarebbe stata scambiata per una mattata e invece pronunciata sotto la Luna a Princeton acquista tutto un altro significato, perché quella domanda senza senso sottende la grande problematica della "meccanica quantistica" e il dibattito intorno ai concetti di "esistere” o di “misura".
Il senso dei discorsi, dunque, è dato dal contesto. Sarebbe come dire che non possiamo giudicare un quadro bello o brutto se prima non gli mettiamo attorno una cornice. Anche su questo bisognerebbe riflettere.

Franco Gàbici

Le citazioni di Remarque sono tratte da una edizione Oscar Mondadori dell'Obelisco nero (1971).
Le riflessioni einsteiniane sono invece tratte dalla biografia di A.Pais  Sottile è il Signore…La vita e la scienza di Albert Einstein  (Boringhieri, 1986).

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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