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Primo titolo:
Franco Gàbici «Gadda - Il dolore della cognizione»
Una lettura scientifica dell'opera gaddiana - Isbn 88-86792-40-9

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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

26 gennaio 2003

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Lo sapevate che quel cane a sei zampe che sputa fuoco e che è diventato il "logo" ufficiale dell’Eni è stato disegnato da un letterato? E chi poteva ideare un disegno così se non quel geniaccio di Leo Longanesi, che nella sua vita si è interessato persino di grafica pubblicitaria (Leo fu anche un finissimo caricaturista e il suo nome figura anche nella enciclopedia della grafica di Zanichelli), come si legge nell’incipit di questo suo articolo: "La pubblicità è un’arte consumata per conquistare la Fama, usata da tutti i popoli dell’antichità e in particolare dai romani che non guardarono a spese pur di affermare la potenza del loro impero".
In queste sue considerazioni sulla pubblicità e i suoi mezzi dà particolare rilievo ad un grafico italiano il cui nome, per la verità, è del tutto (o quasi) sconosciuto ai più, mentre alcuni suoi manifesti sono ben stampati nella memoria della gente, come il "Bitter Campari" con l’uomo che ha in mano la bottiglia del Bitter e che sembra ballare l’hula-hoop con la buccia d’arancio che gli si avvolge attorno come una spirale (quasi fosse il dantesco Minosse) o il Thermogéne, con quell’uomo calvo che pare un alieno che avanza a grandi falcate sulle punte dei piedi e che pure lui, come il cane della Eni, sputa fuoco e fiamme. Si tratta di Leonetto Cappiello, nato a Livorno nel 1875 e morto a Cannes una sessantina di anni fa, nel 1942, e che aveva iniziato la sua carriera di grafico a Parigi introdottovi nientemeno che da Giacomo Puccini. Collaborò anche con la casa editrice musicale Ricordi e siccome in tempi recenti anche Guido Crepax si interessò del bitter Campari e della casa Ricordi, vien quasi fatto di pensare che Cappiello ebbe in lui un illustre epigono al quale, fra l’altro, si deve il disegno di quella serie di copertine dei "45" di Peppino di Capri con un mezzo occhiale del cantante. Ricordate?
Ma torniamo a Cappiello.
Che il vecchio Leo si sia ispirato alla Thermogéne di questo Cappiello per disegnare il suo cane a sei zampe?
Mah, nessuno può dirlo, però la faccenda intriga.
Secondo Longanesi fu Cappiello "a infrangere i canoni del floreale che governavano ormai il manifesto" e fu lui a riportare "in onore il disegno e la fantasia e il buon colore, animò le vie della città con figure carnevalesche danzanti su sfondi neri, di felice fattura e disinvolto risveglio; e grazie alla sua accorta maestria l’Europa si liberò dal dominio della grafica tedesca del ‘Jugend’, e della flora marina dei Viennesi. Per la prima volta – continua Longanesi – i prodotti commerciali costituirono, nei cartelli di Cappiello, un motivo decorativo, senza conservare il pedantesco carattere di una riproduzione artistica. Uomini costruiti con bottiglie, scatole viventi, scorze di arancio che ballano, barattoli folli, lenzuoli volanti alla Tiepolo ed ogni altra sorta di fantasticheria animarono i cartelli di Cappiello, il primo italiano che si sia ricordato delle figure volanti di Tintoretto e a quelle si sia ispirato nel comporre avvisi a colori. Come fuochi d’artifizio i suoi pagliacci saltano all’aria contro un cielo di china, animato da lettere gialle, e il suo segno è morbido, grasso e semplice, e i suoi colori squillanti, e le sue composizioni equilibrate".
Altre considerazioni interessanti di Longanesi coinvolgono il cubismo, il cui linguaggio sarebbe stato preso da alcuni "piccoli dilettanti" sciupando quanto era stato fatto "da artisti di valore e di coltura, come il Picasso, Brague, Soffici e De Chirico". E così, commenta Leo, "il cubismo, portato sui manifesti, è ridotto a un arabesco misero e stridente, simile a quello floreale". Questo articolo del Longanesi, dunque, poteva essere una curiosità interessante, tant’è che tempo fa avevo vagheggiato una sua pubblicazione sognando perfino una prefazione scritta da Indro Montanelli, che di Leo era stato amico ed estimatore, ma poi andò a finire che Indro morì e con lui morì anche il sogno, uno dei tanti che nascono qua, nella provincia dimenticata.

Franco Gàbici

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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