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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

30 novembre 2003

 

 

 

 

 

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Ricordate Don Gibson di I can't stop loving you?
Fuori continua a piovere e i ricordi bagnati hanno uno strano profumo.

Scommetto che pochi dei miei lettori conoscono Don Gibson, un cantante pop-country che andava al massimo alla fine degli anni Cinquanta e che nel 1958 aveva piazzato un "45" micidiale. Credo di avervene già parlato molte bollicine fa, ma "repetita iuvant" e poi oggi è quasi un dovere parlare di Don Gibson perché le agenzie di stampa hanno "battuto" la sua scomparsa, avvenuta a Nashwille il 18 novembre scorso. Aveva 75 anni. Il fatto è che questi personaggi della nostra adolescenza non dovrebbero morire mai e invece… Dunque torniamo al "45" micidiale (Rca, 45N 0673), che recava sul "lato A" una ballatina country dal titolo "Oh lonesome me!" (Everybody’s going out and having fun… ricordate?) mentre sul "lato B" c’era una bomba inesplosa, quella "I can’t stop loving you" che poi avrebbe fatto sfracelli e che, come dicono le agenzie, fu cantata da ben settecento artisti. Però. Io per la verità ne ricordo pochissime Paul Anka, Frank Sinatra (accompagnato da Count Basie, una roba da fuori di testa, credetemi) e in italiano la lanciò John Foster (pseudonimo di Paolo Occhipinti, oggi giornalista, direttore di "Oggi") col titolo "Se devo vivere". Poi, si capisce, ho presente quella di Ray Charles. Però la versione dongibsoniana, con l’accompagnamento dei Jordaniers (quelli che accompagnavano anche Elvis Presley) è una spanna sopra tutte. Sarà per affezione, ma per me è così.

Don Gibson! Faceva parte di quella combriccola di cantanti d’oltreoceano che più che artisti sembravano vecchi "zii", come Perry Como, Bill Haley, Frankie Laine (Sinatra no, quello non ce l’aveva proprio l’aria dello zio, e nemmeno Dean Martin, se proprio lo volete sapere).

I suoi "45" avevano copertine allegre disegnate da tal "Ferro 9" e rappresentavano un "cow boy" in mezzo a un deserto dove l’unica parvenza di vita era data da un cactus. In quella di "Oh lonesome me" il cactus era piccolissimo e accanto ad esso c’era il solito teschio di bufalo spolpato dagli avvoltoi. "Sweet sweet girl" (che aveva come lato B "To soon to know" e il numero di catalogo 45N 0796) aveva invece la copertina rossa e il cow boy cantava di fronte a un cactus sul quale aveva piantato il ritratto di una ragazza.

Le foto ufficiali ritraevano Don Gibson a mezzo busto con i capelli corti, alla Pat Boone per intenderci, il nastrino al collo e la chitarra, pure lei a mezzo busto, nel senso che sporgeva solamente per sei tasti. Dico questo perché sono andato a rispolverare un "45" del vecchio Don Gibson, per respirare la sana aria del ricordo che si mescola alle brume dell’autunno. E poi sul retro delle copertine si leggeva sempre un po’ di biografia, costruita all’americana si capisce, e infatti di Don Gibson si diceva che aveva lavorato nelle fabbriche di cotone tant’è che il suo primo complesso si chiamava "The King Cotton Kinfolks". Il cotone richiamava in genere i poveri negri di "Via col vento" che si spaccavano la schiena nelle piantagioni e invece il nuovo volto dell’America ti sbatteva questo bravo zio che dalla fabbrica di cotone era riuscito invece ad avere successo e dunque l’America era proprio un grande paese, oh sì, l’America era proprio il nostro sogno e noi eravamo tutti dei "Nando Moriconi" che sognavamo mostarda, yogurth e grattacieli. E invece una sera del 1963 (era proprio il 22 novembre, giorno del mio mezzo compleanno) ti trovi davanti al televisore che interrompe all’improvviso i suoi programmi e poi arriva la voce dello speaker, rotta dalla commozione, che annuncia l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Stati Uniti, e in quella tristissima sera di novembre corre un brivido sulla schiena dei nostri vent’anni, un anticipo dell’inverno della vita e un terribile sigillo sugli anni della gioia e della spensieratezza. Per la verità quella era la seconda scoppola perché ai primi di giugno avevamo pianto la morte di papa Giovanni e ci eravamo illusi che il mare delle vacanze avesse sciacquato per sempre il dolore che a vent’anni è pungente e intenso, ma grazie a Dio circoscritto in spazi ristretti per dare respiro alla vita che avanza e che rivendica i propri spazi. Sono passati quarant’anni e pare ieri, come si usa dire in questi frangenti. Fuori piove a dirotto e la pioggia lava i manifesti con il volto di Kennedy. La pioggia sembra pianto. Lo cantava anche Modugno, "è pioggia o pianto, dimmi cos’è?". Era un Festival di San Remo di tantissimi anni fa. Avevo nel naso l’odore delle matite temperate. E in tasca i sogni scontornati dei sedici anni. Fuori continua a piovere e i ricordi bagnati hanno un triste profumo.

Franco Gàbici

"Nando Moriconi" è il personaggio interpretato da Alberto Sordi in "Un americano a Roma" (1954) di Steno.

 


Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 


 

 

 

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