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Ricordate Don Gibson di I can't stop loving you? Fuori continua a piovere e i ricordi bagnati hanno uno
strano profumo.
Scommetto che pochi dei miei lettori conoscono Don Gibson, un cantante
pop-country che andava al massimo alla fine degli anni Cinquanta e che nel 1958
aveva piazzato un "45" micidiale. Credo di avervene già parlato molte bollicine
fa, ma "repetita iuvant" e poi oggi è quasi un dovere parlare di Don Gibson
perché le agenzie di stampa hanno "battuto" la sua scomparsa, avvenuta a
Nashwille il 18 novembre scorso. Aveva 75 anni. Il fatto è che questi personaggi
della nostra adolescenza non dovrebbero morire mai e invece… Dunque torniamo al
"45" micidiale (Rca, 45N 0673), che recava sul "lato A" una ballatina country
dal titolo "Oh lonesome me!" (Everybody’s going out and having fun… ricordate?)
mentre sul "lato B" c’era una bomba inesplosa, quella "I can’t stop loving you"
che poi avrebbe fatto sfracelli e che, come dicono le agenzie, fu cantata da ben
settecento artisti. Però. Io per la verità ne ricordo pochissime Paul Anka,
Frank Sinatra (accompagnato da Count Basie, una roba da fuori di testa,
credetemi) e in italiano la lanciò John Foster (pseudonimo di Paolo Occhipinti,
oggi giornalista, direttore di "Oggi") col titolo "Se devo vivere". Poi, si
capisce, ho presente quella di Ray Charles. Però la versione dongibsoniana, con
l’accompagnamento dei Jordaniers (quelli che accompagnavano anche Elvis Presley)
è una spanna sopra tutte. Sarà per affezione, ma per me è così.Don Gibson! Faceva parte di quella combriccola di cantanti
d’oltreoceano che più che artisti sembravano vecchi "zii", come Perry Como, Bill
Haley, Frankie Laine (Sinatra no, quello non ce l’aveva proprio l’aria dello
zio, e nemmeno Dean Martin, se proprio lo volete sapere).
I suoi "45" avevano copertine allegre disegnate da tal "Ferro
9" e rappresentavano un "cow boy" in mezzo a un deserto dove l’unica parvenza di
vita era data da un cactus. In quella di "Oh lonesome me" il cactus era
piccolissimo e accanto ad esso c’era il solito teschio di bufalo spolpato dagli
avvoltoi. "Sweet sweet girl" (che aveva come lato B "To soon to know" e il
numero di catalogo 45N 0796) aveva invece la copertina rossa e il cow boy
cantava di fronte a un cactus sul quale aveva piantato il ritratto di una
ragazza.
Le foto ufficiali ritraevano Don Gibson a mezzo busto con i
capelli corti, alla Pat Boone per intenderci, il nastrino al collo e la
chitarra, pure lei a mezzo busto, nel senso che sporgeva solamente per sei
tasti. Dico questo perché sono andato a rispolverare un "45" del vecchio Don
Gibson, per respirare la sana aria del ricordo che si mescola alle brume
dell’autunno. E poi sul retro delle copertine si leggeva sempre un po’ di
biografia, costruita all’americana si capisce, e infatti di Don Gibson si diceva
che aveva lavorato nelle fabbriche di cotone tant’è che il suo primo complesso
si chiamava "The King Cotton Kinfolks". Il cotone richiamava in genere i poveri
negri di "Via col vento" che si spaccavano la schiena nelle piantagioni e invece
il nuovo volto dell’America ti sbatteva questo bravo zio che dalla fabbrica di
cotone era riuscito invece ad avere successo e dunque l’America era proprio un
grande paese, oh sì, l’America era proprio il nostro sogno e noi eravamo tutti
dei "Nando Moriconi" che sognavamo mostarda, yogurth e grattacieli. E invece una
sera del 1963 (era proprio il 22 novembre, giorno del mio mezzo compleanno) ti
trovi davanti al televisore che interrompe all’improvviso i suoi programmi e poi
arriva la voce dello speaker, rotta dalla commozione, che annuncia l’assassinio
di John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Stati Uniti, e in quella
tristissima sera di novembre corre un brivido sulla schiena dei nostri vent’anni,
un anticipo dell’inverno della vita e un terribile sigillo sugli anni della
gioia e della spensieratezza. Per la verità quella era la seconda scoppola
perché ai primi di giugno avevamo pianto la morte di papa Giovanni e ci eravamo
illusi che il mare delle vacanze avesse sciacquato per sempre il dolore che a
vent’anni è pungente e intenso, ma grazie a Dio circoscritto in spazi ristretti
per dare respiro alla vita che avanza e che rivendica i propri spazi. Sono
passati quarant’anni e pare ieri, come si usa dire in questi frangenti. Fuori
piove a dirotto e la pioggia lava i manifesti con il volto di Kennedy. La
pioggia sembra pianto. Lo cantava anche Modugno, "è pioggia o pianto, dimmi
cos’è?". Era un Festival di San Remo di tantissimi anni fa. Avevo nel naso
l’odore delle matite temperate. E in tasca i sogni scontornati dei sedici anni.
Fuori continua a piovere e i ricordi bagnati hanno un triste profumo.
Franco Gàbici"Nando Moriconi" è il personaggio
interpretato da Alberto Sordi in "Un americano a Roma" (1954) di Steno.
Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della
cognizione di
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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