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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale


 

2 marzo 2003

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Come si fa a non parlare di Alberto Sordi adesso che non è più? Ricordo che il primo film che vidi interpretato da Sordi fu "Un americano a Roma", e lo vidi alcuni anni dopo la prima uscita, in un cinema di periferia attrezzato per le "ennesime" visioni, con "n" sicuramente maggiore di 3, e dunque commensurabili con le nostre povere tasche e ricordo che a trascinarmi al cinema fu mio cugino Gigi, di un anno più "grande" di me.
Il film mi piacque perché quel Nando Moriconi rappresentava un po' tutti noi ragazzotti che già non vestivamo più "alla marinara" ma cominciavamo a indossare i primi "mongomery" di iuta con gli alamari di legno che parevano i legnetti per il gioco della lippa, e che si acquistavano nei negozi che qui da noi chiamavamo "american-straz" e che contenevano tutte le cianfrusaglie targate Usa, ivi compresi i primi blue-jeans che si indossavano con il classico risvolto e che quando te li toglievi non occorreva nemmeno l'attaccapanni tanto quelli restavano in piedi da soli tanto erano rigidi. E poi in questi empori trovavi guantoni di base ball usati, mazze, tute e tutto un ciarpame che tuttavia aveva il marchio, l'odore e il fascino dell'America, proprio quell’America che sognava Albertone. America come il paese dei balocchi per ragazzi adulti che però dovevano continuare a vivere nel clima stretto del dopoguerra.
Caro vecchio e simpatico Albertone!
Col tuo sorriso solare e con quella tua semplicità che aveva fatto breccia nel cuore della gente! La tua gente, che ti amava e ti capiva perché tu le sbattevi sotto al naso difetti, infingardaggini e piccinerie tipiche della nostra tanto amata Italietta.
Dal "vitellone" allo "sceicco bianco", dal giornalista impegnato di sinistra ("Una vita difficile") al medico arrivista e senza scrupoli ("Il dottor Guido Tersilli..."), dal soldato sbandato di "Tutti a casa" al "magliaro", al bighellone di "Accadde al penitenziario"...
Sto passando in rassegna alcuni dei suoi film (quasi tutti in bianco e nero), le sue gag, le sue battute, tutto il suo mondo multicolore nel quale ha trovato posto anche il riscatto come accade nel finale de "La grande guerra" di Monicelli, che aveva unito nello schermo la straordinaria coppia Sordi-Gassman. E, a proposito di Gassman, indiscusso mattatore del cinema italiano, ricordo di aver letto da qualche parte che in un primo momento Dino Risi aveva pensato per il suo straordinario "Il sorpasso", di affidare la parte di protagonista proprio a Sordi e sicuramente ne sarebbe uscito un film totalmente diverso.
Sordi è morto, ma gli attori non muoiono mai e anche se a questa affermazione non può essere di certo attribuito l'Oscar dell'originalità va pur detto che è vero, perché le emulsioni delle pellicole impediscono agli attori di invecchiare, ma te li ingessano dentro a una nicchia spaziotemporale e rimangono giovani e pimpanti per sempre. Difficile pertanto pensare che Albertone sia morto sul serio e magari mi è venuto fatto di pensare che pure quel funerale fosse un film, una fiction, una delle sue solite trovate...
Ieri sera, allora, ho telefonato a mio cugino Gigi che abita a Roma e ci siamo idealmente abbracciati nel nome e nel ricordo di Sordi. Vedemmo assieme "Un americano a Roma" una cinquantina di anni fa e se non facesse troppa impressione potrei anche dire "mezzo secolo fa", brrr che brividi al pensiero del tempo che fugge e che macina tutto, ma è sufficiente cavar fuori dalla nastroteca "Un americano a Roma" per ritornare a quei tempi e riassaporare un clima irripetibile che sapeva dei primi pruriti al naso delle bollicine di Coca Cola e del fastidio sulle gambe dei blue jeans americani che quando te li toglievi stavano in piedi da soli e l'Albertone ci aveva talmente influenzati con la sua americanofilia che pure noi ci mettemmo a giocare al base ball utilizzando come mazze i mattarelli della nonna portati di nascosto a far tornire da un falegname. Poi col nostro matterello ci si piazzava davanti al catcher con di fronte il lanciatore che stava alto su un cumulo di macerie. Alzava la gamba e lanciava la palla e tu con la tua mazza-mattarello la colpivi immaginandoti Joe di maggio. Andava a finire però che il mattarello, poco uso a sopportare certe sollecitazioni (il colpo inferto alla palla da base ball fa parte, infatti, delle cosiddette "forze impulsive" che si esprimono con la formula I = F.dt), si spezzava e così addio sogni di gloria. Poi a casa succedeva il resto, con un pesantissimo "terzo grado" teso alla ricerca del mattarello perduto. Tutto questo, con la tenerezza del ricordo, mi fa venire in mente "Un americano a Roma", un film che vidi mezzo secolo fa con mio cugino Gigi e che oggi mi restituisce la triste misura del tempo che trascorre inesorabile.

Franco Gàbici

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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