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Come si fa a non parlare di
Alberto Sordi adesso che non è più? Ricordo che il primo film che vidi
interpretato da Sordi fu "Un americano a Roma", e lo vidi alcuni anni
dopo la prima uscita, in un cinema di periferia attrezzato per le
"ennesime" visioni, con "n" sicuramente maggiore di 3, e dunque
commensurabili con le nostre povere tasche e ricordo che a trascinarmi
al cinema fu mio cugino Gigi, di un anno più "grande" di me.
Il film mi piacque perché quel Nando Moriconi rappresentava un po' tutti
noi ragazzotti che già non vestivamo più "alla marinara" ma cominciavamo
a indossare i primi "mongomery" di iuta con gli alamari di legno che
parevano i legnetti per il gioco della lippa, e che si acquistavano nei
negozi che qui da noi chiamavamo "american-straz" e che contenevano
tutte le cianfrusaglie targate Usa, ivi compresi i primi blue-jeans che
si indossavano con il classico risvolto e che quando te li toglievi non
occorreva nemmeno l'attaccapanni tanto quelli restavano in piedi da soli
tanto erano rigidi. E poi in questi empori trovavi guantoni di base ball
usati, mazze, tute e tutto un ciarpame che tuttavia aveva il marchio,
l'odore e il fascino dell'America, proprio quell’America che sognava
Albertone. America come il paese dei balocchi per ragazzi adulti che
però dovevano continuare a vivere nel clima stretto del dopoguerra.
Caro vecchio e simpatico Albertone!
Col tuo sorriso solare e con quella tua semplicità che aveva fatto
breccia nel cuore della gente! La tua gente, che ti amava e ti capiva
perché tu le sbattevi sotto al naso difetti, infingardaggini e
piccinerie tipiche della nostra tanto amata Italietta.
Dal "vitellone" allo "sceicco bianco", dal giornalista impegnato di
sinistra ("Una vita difficile") al medico arrivista e senza scrupoli
("Il dottor Guido Tersilli..."), dal soldato sbandato di "Tutti a casa"
al "magliaro", al bighellone di "Accadde al penitenziario"...
Sto passando in rassegna alcuni dei suoi film (quasi tutti in bianco e
nero), le sue gag, le sue battute, tutto il suo mondo multicolore nel
quale ha trovato posto anche il riscatto come accade nel finale de "La
grande guerra" di Monicelli, che aveva unito nello schermo la
straordinaria coppia Sordi-Gassman. E, a proposito di Gassman,
indiscusso mattatore del cinema italiano, ricordo di aver letto da
qualche parte che in un primo momento Dino Risi aveva pensato per il suo
straordinario "Il sorpasso", di affidare la parte di protagonista
proprio a Sordi e sicuramente ne sarebbe uscito un film totalmente
diverso.
Sordi è morto, ma gli attori non muoiono mai e anche se a questa
affermazione non può essere di certo attribuito l'Oscar dell'originalità
va pur detto che è vero, perché le emulsioni delle pellicole impediscono
agli attori di invecchiare, ma te li ingessano dentro a una nicchia
spaziotemporale e rimangono giovani e pimpanti per sempre. Difficile
pertanto pensare che Albertone sia morto sul serio e magari mi è venuto
fatto di pensare che pure quel funerale fosse un film, una fiction, una
delle sue solite trovate...
Ieri sera, allora, ho telefonato a mio cugino Gigi che abita a Roma e ci
siamo idealmente abbracciati nel nome e nel ricordo di Sordi. Vedemmo
assieme "Un americano a Roma" una cinquantina di anni fa e se non
facesse troppa impressione potrei anche dire "mezzo secolo fa", brrr che
brividi al pensiero del tempo che fugge e che macina tutto, ma è
sufficiente cavar fuori dalla nastroteca "Un americano a Roma" per
ritornare a quei tempi e riassaporare un clima irripetibile che sapeva
dei primi pruriti al naso delle bollicine di Coca Cola e del fastidio
sulle gambe dei blue jeans americani che quando te li toglievi stavano
in piedi da soli e l'Albertone ci aveva talmente influenzati con la sua
americanofilia che pure noi ci mettemmo a giocare al base ball
utilizzando come mazze i mattarelli della nonna portati di nascosto a
far tornire da un falegname. Poi col nostro matterello ci si piazzava
davanti al catcher con di fronte il lanciatore che stava alto su un
cumulo di macerie. Alzava la gamba e lanciava la palla e tu con la tua
mazza-mattarello la colpivi immaginandoti Joe di maggio. Andava a finire
però che il mattarello, poco uso a sopportare certe sollecitazioni (il
colpo inferto alla palla da base ball fa parte, infatti, delle
cosiddette "forze impulsive" che si esprimono con la formula I = F.dt),
si spezzava e così addio sogni di gloria. Poi a casa succedeva il resto,
con un pesantissimo "terzo grado" teso alla ricerca del mattarello
perduto. Tutto questo, con la tenerezza del ricordo, mi fa venire in
mente "Un americano a Roma", un film che vidi mezzo secolo fa con mio
cugino Gigi e che oggi mi restituisce la triste misura del tempo che
trascorre inesorabile.
Franco Gàbici
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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