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Oggi mi
va di parlare di Tazio Nuvolari perché il 2003 è l’anno in cui cadono i
cinquant’anni della sua morte. L’anniversario, per la verità, cadrà nel
prossimo agosto, ma a volte gli anniversari si bruciano e poi questa è la
stagione in cui una volta si correvano le Mille Miglia, delle quali
Tazio fu uno dei più spericolati protagonisti.
Cinquant’anni fa, dunque, moriva
Tazio Nuvolari, il mitico “Nivola” che fece sognare gli appassionati di corse
in auto in tempi in cui andare a cento all’ora era come andare su un jet. Vi
dico la verità, l’automobilismo moderno non mi piace né mi riesce di seguire
alla televisione i gran premi di Formula Uno, ma sono legato con un robusto
filo al ricordo delle mitiche Mille Miglia che fino al 1956 sfrecciavano sulle
strade della nostra cara Italietta. Certo, anche le Mille Miglia altro
non erano se non automobili che ti sfrecciavano davanti al naso, ma c’era più
poesia e poi questo ricordo è legato soprattutto alla circostanza che dalle
mie parti (Romagna) le Mille Miglia passavano nel cuore della notte (ricordate
Amarcord di Fellini?) e tutto questo ne accresceva notevolmente il
fascino.
Le prime auto, le Isotta Fraschini, avanzavano caracollando
sulla lunghissima via di Roma che era il corso principale della città a
partire proprio dalla mezzanotte, l’ora dei fantasmi ma anche dei sogni,
lasciandosi dietro una scia di olio bruciato che si mescolava agli odori
tiepidi della primavera. Io abitavo proprio in quella via di Roma sicché le
Mille Miglia mi passavano proprio sui piedi anche se non era facile
strappare ai genitori il permesso di stare sulla strada a quell’ora, ma alla
fine la battaglia era vinta e potevo restare a veder l’alba in quelle lontane
primavere delle quale ricordo un intensissimo odore di tiglio e di glicine,
tigli e glicini erano (e lo sono ancora perbacco) i miei proustiani
biancospini e quella via di Roma, con il suo Resegone di case che si perdeva
fino all’orizzonte, era la mia Combray dentro la quale vivevo felice i miei
paffutelli sogni dell’infanzia, quando ancora le ali della fantasia potevano
remeggiare senza timore di urtare contro le aspre pareti della vita e ogni
auto che passava era una emozione intensa, quasi un dolore che ti prendeva
l’anima perché avrei voluto essere accanto al pilota e rotolare nella notte
incontro alla vita che mi si squadernava davanti con meravigliose aspettative.
La mia maestra aveva scritto sul mio diario "ti sia facile la
vita come ti è stata facile la scuola". La vecchia maestra! Si chiamava Fernanda
Ricci Olivieri ed era per noi la classica seconda madre, con quel suo sguardo
dolce che solamente le maestre possono avere, use da sempre a convivere buona
parte della loro giornata con quella parte più buona dell’umanità che sono i
bambini e ricordo che il giorno dopo a scuola compicciavo i miei pensierini sul
quaderno a righe ricordando le Mille Miglia in fondo ai quali la maestra
metteva il sigillo del bel voto che portavo a casa come un trofeo, cari miei la
vita sarebbe stata proprio un bicchier d’acqua fresca da bere, tutto questo
pensavo mentre osservavo le Mille Miglia in attesa che passasse il mitico
Tazio, quel Tazio del quale mio padre appassionato sportivo mi raccontava le sue
gesta durante le sere tristi delle malattie dell’infanzia, Nuvolari mi faceva
compagnia e la sua macchina rombante pareva quasi la bicicletta di Cena che
appare nel finale del Prete bello di Goffredo Parise, simbolo di una fuga
dall’infanzia per andare incontro al grande carnevale vita.
Nuvolari è stato un mito e le sue gesta spericolate hanno fatto
epoca. Fu l’eroe delle strade polverose e del fango, un angelo con la faccia
sporca. Ma soprattutto fu uno spericolato e uno che sfidava la vita e i suoi
insulti. Aveva perso due figli per malattia quando ancora non avevano vent’anni
e allora si capisce come dentro di lui crescesse questo forte sentimento di
sfida alla vita, per gridarle in faccia tutto il suo dolore di padre trafitto da
due pugnalate così pungenti. E Tazio continuò a correre, forse anche per loro,
anziché piegare le spalle e gettare la spugna. Fu eroe anche per questo. Ma io
allora non lo sapevo. Avevo dieci anni e Nuvolari era Nuvolari e basta. Ricordo
che mia zia Lina mi disse che gli avevano fatto un funerale speciale e che la
sua bara era a forma di automobile. E con quella automobile io immaginavo, con
la mia fantasia di bimbo, che fosse volato in cielo, sede naturale degli eroi.
Non sapevo che aveva perso i figli e che forse era volato in cielo con dentro al
cuore la felice certezza che li avrebbe finalmente incontrati.
Franco Gàbici
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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