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Gli astrofili vogliono vederci chiaro
e per questo chiedono il buio
Sembra un controsenso e invece non lo è, perché
il buio è il linguaggio del cielo e attraverso di esso parlano le stelle che
ormai poverine costituiscono un gregge sempre più sparuto.
Io non so dove sia questo monte Mucrone e probabilmente
non sarò il solo a non saperlo, ma non ha importanza la sua ubicazione,
perché questo monte è salito sulla ribalta della cronaca per il fatto
che è stato illuminato a giorno e la cosa ha fatto arrabbiare parecchio
gli astrofili (nella fattispecie il “Gruppo astrofili W.Herschel” di
Torino e la sezione “Cielo profondo” dell’Unione astrofili italiani) che
hanno scritto una lettera a un giornale per mettere in evidenza il
problema. In questi ultimi tempi, infatti, si è chiacchierato molto di
leggi contro l’inquinamento luminoso e anch’io, nel mio piccolo, sono
stato contattato da un politico che chiedeva lumi, è proprio il caso di
dirlo, sulla luminosità del cielo notturno perché se ne stava a Roma a
dibattere per l’appunto su questa legge e poi discuti e discuti e alla
fine salta fuori che ti illuminano il monte Mucrone. Gli astrofili,
dunque, vogliono vederci chiaro e per questo chiedono buio. Sembra un
controsenso e invece non lo è, perché il buio è il linguaggio del cielo
e attraverso di esso parlano le stelle che ormai poverine costituiscono
un gregge sempre più sparuto.
A volte tento di immaginare le paure dei
nostri progenitori di fronte al mistero del buio, doveva essere
veramente una cosa tragica e terrificante, con silenzi di piombo e paure
che attanagliavano l’anima e nemmeno le caldaie delle stelle a tutto
vapore riuscivano, nelle notti senza luna, a confortare i timori del
buio, questa nebbia scura che avvolgeva tutto quanto in una pece e
probabilmente fu un ricordo come questo che suggerì a Hegel quella sua
famosa definizione di Assoluto, una lunghissima notte in cui anche le
vacche bianche sono nere e su questa storia delle vacche si scontrò con
Schelling e credo che proprio sulla distinzione delle vacche crollò la
loro amicizia, i filosofi son fatti così, a volte può bastare una vacca
per mettere in crisi un rapporto e certo che le vacche non avrebbero mai
immaginato di finire nei testi di filosofia come del resto non avrebbero
mai immaginato di andare a pascolare dentro ai testi di matematica
perché più di duemila anni fa Archimede sfidò gli intelligenti con un
famoso problema dove non c’erano vacche e buoi, e lui disse, amico, se
partecipi alla sapienza calcola il numero dei buoi del Sole che
pascolavano nelle assolate pianure della Sicilia divisi in quattro
gruppi ciascuno dei quali caratterizzato da colori diversi, il bianco,
il nero, il fulvo e lo “screziato” e per facilitare, diciamo così la
soluzione, passò anche sette indicazioni la prima delle quali suonava
così: il numero dei tori bianchi deve essere uguale ai tori fulvi più
1/2 + 1/3 dei tori neri e gli altri sei ve li risparmio. Alla fine
dell’enunciato il grande matematico concludeva: Amico, se mi dirai il
numero esatto dei buoi e delle vacche nessuno dirà che sei ignorante, se
invece non me lo dirai beh allora dovrai accontentarti di guardare alla
televisioni i programmi con Pappalardo. Il fatto è che questo problema
si risolve con un sistema formato da sette equazioni con otto incognite
e un sistema come questo ammette infinite soluzioni e la soluzione
minima ammette come risultato più di cinquanta milioni di vacche. Il
problema, però, non è per niente facile e questo spiega perché alla
televisione ci sia Pappalardo. Come dovevasi dimostrare.
Le vie del pensiero sono veramente infinite se dal buio
siamo arrivati alle vacche, ma ho voluto raccontarvi queste cose per
portare alla ribalta questa storia dell’inquinamento luminoso che sta
rubando la poesia della notte, coi suoi silenzi e i suoi odori che sono
più forti e soavi e poi dobbiamo batterci perché rivogliamo ancora una
volta ammirare le stelle che non saranno numerose come le vacche di
Archimede ma sono pur sempre una bella combriccola, un occhio normale ne
può vedere al massimo tre mila, un niente al confronto di tutte le
stelle della galassia che sono almeno cento miliardi (ma secondo altre
stime potrebbero essere anche di più e se non ci credete andate a
contarle) e sul numero delle stelle ho sentito recentemente un errore
abbastanza grave inserito in un dialogo tratto dal film “Beautiful mind”,
una cosa grave se si considera che il film racconta la vita di un
matematico e dunque, se non ricordo male, a un certo punto il film
presenta una scena notturna e uno dei protagonisti alza gli occhi al
cielo e dice di aver contato sette mila stelle. A questo punto i casi
sono due: o aveva contato le stelle due volte oppure era sbronzo e ci
vedeva doppio. Fate voi. Ma se illumineranno il monte Mucrone di stelle
se ne vedranno molto meno. E un cielo povero di stelle impoverisce
l’anima. Il cielo è come il mare, ispira grandi sentimenti e ci fa
serntire più buoni. Ma se illumineranno il monte Mucrone le stelle
saranno sempre meno e noi ci ritroveremo cattivi. Ecco perché dobbiamo
augurarci che nel cielo tornino a pascolare le stelle.
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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