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"Ti scrivo da questa terra ricca di storia e che la
povertà degli uomini ha reso infelice"
Vi passo questa poesia di Cesare Angelini che si intitola "Novembre", il
mese che sta ormai per terminare:
e lento alla campagna ora passeggia;
sottoboschi e tappeti immaginosi
l'accolgon come re nella sua reggia.
Eco di soli ultimi, lumeggia
il platano tra salici pietosi;
nell'inerzia del giorno che vaneggia
una timida estate par che osi.
Ma un inutile lusso è la tua estate,
San Martino. Novembre pensa ai morti,
e l'inverno vien dietro a gran giornate.
Così, tra nebbia e sogno, il mesto mese
su stanchi rami di alberi assorti
muore, entro un vago scampanio di chiese.
Ci siamo lasciati dietro le spalle il 2 del mese, dedicato a chi non c’è più.
Questo giorno è sempre stato ricamato di retorica, mentre Carlo Dossi ha scritto
cose giuste, ancorché forse un po’ troppo maschiliste:
al due novembre tal giorno, e, a dirla schietta, ne è l’usanza utilissima;
volentieri si piange quando si può essere visti, e il pianto fa sì carine le
donne! Le vedove principalmente, che con le palme alla faccia, ma le dita
allargate, dal tumulo del loro primo adocchiano in giro per l’altro.
Nel resto invece dell’anno, visite rade…".
Mi vengono queste considerazioni pensando ai recentissimi giorni tragici e al
vezzo insopportabile di trasformare perfino la morte in spettacolo, in talk
show, in chiacchiericcio. I cronisti allestiscono la faccia da circostanza,
emaciata e triste e magari con gli occhi rossi. Mi fanno venire in mente il
personaggio dell’Obelisco nero di Remarque, quello che aveva l’impresa delle
pompe funebri e che andava dai parenti dei defunti con le cipolle in tasca per
arrossarsi gli occhi e darsi quindi la giusta dignità della morte.
La nostra tivù ci sguazza e manda in onda la morte. E fa servizi zoppi. Una
giornalista ha citato la frase che un carabiniere aveva da poco scritto alla
moglie "Ti scrivo da questa terra ricca di storia…". La frase sembra banale e
forse lo sarà anche, ma la giornalista aveva il dovere di riportarla per intero.
La frase, infatti, suonava così "Ti scrivo da questa terra ricca di storia e che
la povertà degli uomini ha reso infelice".
Penso al carabiniere che ha scritto questa bellissima frase e mi vergogno per
tutte le barzellette e i lazzi che hanno come protagonisti i carabinieri e che,
seguendo uno stupido luogo comune, purtroppo sono sempre all’ordine del giorno.
Quella frase è stupenda e rivela sensibilità e profondità di sentimento. Non
bisognerebbe dire altro, ma avvolgere quei militari con il lenzuolo della pietà
e del silenzio. Invece si chiacchiera. Poi fra una lacrima e l’altra arriva il
siparietto pubblicitario, magari con quella tipa che affannosamente tenta di
scardinare la cerniera lampo del pantalone di un manichino per poi trovarsi di
fronte un bel paio di mutande di leopardo (che sia un modo elegante
della nostra tivù per informare i suoi abbonati che i programmi elargiti
possono essere chiamati come l’oggetto che sta celato oltre le braghe di
leopardo?). Ma allora tanto vale guardare in faccia la morte e riderle sul
grugno, come faceva Luciano Bianciardi, che si divertiva a immaginare il suo
funerale, che voleva "laico, ma tradizionale". Diceva che non voleva i preti, ma
gli ex preti sì, "quelli che hanno buttato la tonaca alle ortiche e si sono
fatti comunisti, pur restando preti nell’animo". E poi si dilunga nel
dettaglio "Ne voglio quattro, di questi preti spretati e togliattizzati, e
poi voglio due cavalli neri col pennacchio in capo, due critici letterari a
cassetta, ai quattro cordoni del carro ci voglio nell’ordine uno storico, un
critico d’arte, un funzionario di casa editrice ed un redattore di terza pagina.
Deve essere un bel funerale. Dietro venga chi voglia, tranne le segretariette
secche. Loro no. Poi si scordino pure di me…".
Fuori è novembre e la pece della notte impasta ogni cosa. Nemmeno quest’anno
vedremo le Leonidi, vale a dire le stelle cadenti di novembre. Le "stelle",
infatti, non cadono solo d’estate, in agosto, ma danno spettacoli anche in altri
mesi. E quelle di novembre non sarebbero niente male se a guastare ogni cosa non
ci si mettesse il tempo. Questo grigio tempo d’autunno, con "quella mestizia
dolce che si respira come un aroma appassito, ed è poi il riflesso della
sofferenza in cui entrano le cose nel declinante anno colori che s’avvivano a
forza di patire, come le gote d’un malato ormai visitato dalla morte; foglie che
tentano di inseguire l’estremo volo dei passeri, staccandosi dal ramo stupefatto
da cui si son già staccate le ali. E la natura geme, carica di millenarie
tristezze…".
Franco Gàbici La poesia di Cesare Angelini si trova in Zodiaco.
La citazione di Carlo Dossi in Vita di Alberto Pisani, cap. 10.
Il funerale di Bianciardi si trova, ovviamente, ne La vita agra, Milano,
Bompiani, 2002, pp.151-152.
Anche la citazione finale è di Cesare Angelini (Autunno e altre stagioni,
Padova, Rebellato, 1959).
Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della
cognizione di
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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