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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

23 novembre 2003

 

 

 

 

 

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"Ti scrivo da questa terra ricca di storia
e che la povertà degli uomini ha reso infelice"

Vi passo questa poesia di Cesare Angelini che si intitola "Novembre", il mese che sta ormai per terminare:

e lento alla campagna ora passeggia;
sottoboschi e tappeti immaginosi
l'accolgon come re nella sua reggia.
Eco di soli ultimi, lumeggia
il platano tra salici pietosi;
nell'inerzia del giorno che vaneggia
una timida estate par che osi.
Ma un inutile lusso è la tua estate,
San Martino. Novembre pensa ai morti,
e l'inverno vien dietro a gran giornate.
Così, tra nebbia e sogno, il mesto mese
su stanchi rami di alberi assorti
muore, entro un vago scampanio di chiese.

Ci siamo lasciati dietro le spalle il 2 del mese, dedicato a chi non c’è più. Questo giorno è sempre stato ricamato di retorica, mentre Carlo Dossi ha scritto cose giuste, ancorché forse un po’ troppo maschiliste:

al due novembre tal giorno, e, a dirla schietta, ne è l’usanza utilissima;
volentieri si piange quando si può essere visti, e il pianto fa sì carine le
donne! Le vedove principalmente, che con le palme alla faccia, ma le dita
allargate, dal tumulo del loro primo adocchiano in giro per l’altro.
Nel resto invece dell’anno, visite rade…".

Mi vengono queste considerazioni pensando ai recentissimi giorni tragici e al vezzo insopportabile di trasformare perfino la morte in spettacolo, in talk show, in chiacchiericcio. I cronisti allestiscono la faccia da circostanza, emaciata e triste e magari con gli occhi rossi. Mi fanno venire in mente il personaggio dell’Obelisco nero di Remarque, quello che aveva l’impresa delle pompe funebri e che andava dai parenti dei defunti con le cipolle in tasca per arrossarsi gli occhi e darsi quindi la giusta dignità della morte.
La nostra tivù ci sguazza e manda in onda la morte. E fa servizi zoppi. Una giornalista ha citato la frase che un carabiniere aveva da poco scritto alla moglie "Ti scrivo da questa terra ricca di storia…". La frase sembra banale e forse lo sarà anche, ma la giornalista aveva il dovere di riportarla per intero. La frase, infatti, suonava così "Ti scrivo da questa terra ricca di storia e che la povertà degli uomini ha reso infelice".
Penso al carabiniere che ha scritto questa bellissima frase e mi vergogno per tutte le barzellette e i lazzi che hanno come protagonisti i carabinieri e che, seguendo uno stupido luogo comune, purtroppo sono sempre all’ordine del giorno. Quella frase è stupenda e rivela sensibilità e profondità di sentimento. Non bisognerebbe dire altro, ma avvolgere quei militari con il lenzuolo della pietà e del silenzio. Invece si chiacchiera. Poi fra una lacrima e l’altra arriva il siparietto pubblicitario, magari con quella tipa che affannosamente tenta di scardinare la cerniera lampo del pantalone di un manichino per poi trovarsi di fronte un bel paio di mutande di leopardo (che sia un modo elegante
della nostra tivù per informare i suoi abbonati che i programmi elargiti possono essere chiamati come l’oggetto che sta celato oltre le braghe di leopardo?). Ma allora tanto vale guardare in faccia la morte e riderle sul grugno, come faceva Luciano Bianciardi, che si divertiva a immaginare il suo funerale, che voleva "laico, ma tradizionale". Diceva che non voleva i preti, ma gli ex preti sì, "quelli che hanno buttato la tonaca alle ortiche e si sono fatti comunisti, pur restando preti nell’animo". E poi si dilunga nel
dettaglio "Ne voglio quattro, di questi preti spretati e togliattizzati, e poi voglio due cavalli neri col pennacchio in capo, due critici letterari a cassetta, ai quattro cordoni del carro ci voglio nell’ordine uno storico, un critico d’arte, un funzionario di casa editrice ed un redattore di terza pagina. Deve essere un bel funerale. Dietro venga chi voglia, tranne le segretariette secche. Loro no. Poi si scordino pure di me…".
Fuori è novembre e la pece della notte impasta ogni cosa. Nemmeno quest’anno vedremo le Leonidi, vale a dire le stelle cadenti di novembre. Le "stelle", infatti, non cadono solo d’estate, in agosto, ma danno spettacoli anche in altri mesi. E quelle di novembre non sarebbero niente male se a guastare ogni cosa non ci si mettesse il tempo. Questo grigio tempo d’autunno, con "quella mestizia dolce che si respira come un aroma appassito, ed è poi il riflesso della sofferenza in cui entrano le cose nel declinante anno colori che s’avvivano a forza di patire, come le gote d’un malato ormai visitato dalla morte; foglie che tentano di inseguire l’estremo volo dei passeri, staccandosi dal ramo stupefatto da cui si son già staccate le ali. E la natura geme, carica di millenarie tristezze…".

Franco Gàbici

 

La poesia di Cesare Angelini si trova in Zodiaco.
La citazione di Carlo Dossi in Vita di Alberto Pisani, cap. 10.
Il funerale di Bianciardi si trova, ovviamente, ne La vita agra, Milano, Bompiani, 2002, pp.151-152.
Anche la citazione finale è di Cesare Angelini (Autunno e altre stagioni, Padova, Rebellato, 1959).

 


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Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 


 

 

 

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