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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

14 dicembre  2003

 

 

 

 

 

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Nel 2007, a Shangai, il grattacielo più alto del mondo...

A Giovanbattista Guglielmini, astronomo di Bologna, avrebbe fatto piacere la notizia che l'ingener Lee Polisano sta preparandosi per costruire a Shanghai il grattacielo più alto del mondo. Sentite perché.
Isaac Newton, nel Settecento, aveva proposto un esperimento per dimostrare che la terra girava su se stessa e l'esperimento doveva essere condotto più o meno in questa maniera: occorreva procurarsi un edificio molto alto, far cadere dalla sua sommità degli oggetti e verificare che questi non cadevano proprio seguendo la verticale, ma venivano deviati verso est.
Questa bella storia l'ho studiata in tempi beati, quelli dell'università (primi anni Sessanta), sul mitico "Elementi di meccanica razionale" di Dario Graffi, che nel capitolo dedicato al "Moto relativo ed elementi di meccanica celeste" raccontava, a suon di derivate e di integrali (sono procedimenti che si studiano nel calcolo differenziale), che la deviazione verso oriente era data dalla formula che aveva al numeratore "?.g.sin?", al denominatore il "3" e il tutto doveva essere moltiplicato per t3 [dove ? è la velocità angolare della Terra, g la accelerazione di gravità, ? è la colatitudine e t è il "tempo"]. Vedete che razza di robe ci facevano studiare per dire che un corpo cadeva un po' spostato verso oriente?
Ma torniamo al nostro discorso.
All'epoca, Guglielmini lavorava alla Specola di Bologna, dove era una torre alta una trentina di metri (la torre c'è ancora, Guglielmini ovviamente no) e il nostro Guglielmini fece praticare un buco su un pianerottolo della torre per ottenere una caduta libera di una trentina di metri. Newton aveva previsto che da quell'altezza lo "scarto" rispetto alla verticale avrebbe dovuto essere di mm. 3.9 e Guglielmini col suo esperimento ottenne mm. 4.5. Non male comunque. Non pago della torre della specola, passò alla torre degli Asinelli, che è alta 78 metri, e i risultati gli dettero ancora ragione. Fece l'esperimento di notte per evitare che le vibrazioni del traffico dei carri e delle carrozze potessero disturbare le misure e aveva provveduto a sistemare negli interstizi della torre tante candeline accese, non per trasformare la torre in un gigantesco albero natalizio, ma al fine di scegliere il momento giusto per effettuare l'esperimento. Non doveva esserci vento e la sua assenza sarebbe stata verificata dal non agitarsi delle lingue di fuoco delle candele.
Penso, allora, alla gioia che avrebbe potuto provare Guglielmini nel 2007 quando, a detta di questo ingegnere, dovrebbe essere terminato il suo capolavoro di torre, una sberla alta più di mezzo chilometro. Ma questo mondo non ti lascia nemmeno il tempo di sbalordirti perché già dietro l'angolo c'è già il progetto di una torre alta 800 metri da costruire nel Bali. E poi, dico io, ne costruiranno un'altra e un'altra ancora. Stai a vedere che andando avanti di questo passo andremo sulla Luna in ascensore.
Queste torri, però, mi fanno venire alla mente la torre di Babele e mi danno pure tristezza perché rappresentano pur sempre una sfida impossibile fra la terra e il cielo. O forse esprimono il desiderio della verticalità che è ben radicato nell'uomo. Che è desiderio di bucare questa coltre di nebbia che oggi mi è caduta addosso dopo una giornata di sole che mi ha messo in bocca il sapore dell'estate. Ma l'autunno è fatto così, cielo grigio su e foglie gialle giù, come cantavano negli anni Sessanta i Dick Dick nella versione italiana di "California dreaming" ovvero "Sognando la California", l'essenza di questa stagione è, come scrive Cesare Angelini (un autore che adesso mi frulla nella testa), "quella mestizia dolce che si respira come un aroma appassito, ed è poi il riflesso della sofferenza in cui entrano le cose nel declinante anno colori che s'avvivano a forza di patire, come le gote di un malato ormai visitato dalla morte; foglie che tentano di inseguire l'estremo volo dei passeri, staccandosi dal ramo stupefatto da cui si son già staccate le ali. E la natura geme, carica di millenarie tristezze. E' il tempo della obliquità dei raggi che fa le nostre ombre lunghe, e noi quasi uomini strani come alberi che camminano.
Il disco del sole, al tramonto, si fa piccolo da starci sul palmo d'una mano. E non mi meraviglia più il desiderio di Emily Dickinson 'Portatemi il tramonto in una tazza'". E ancora "Con la primavera, con l'estate, muore una stagione. Con l'autunno, muore l'anno, e la sua morte si chiama inverno; quando la terra, lontanissima dal sole, sopravvive come in una regione iperborea". Non è vero, però, che in inverno la Terra sia più lontana dal Sole, anzi è tutto il contrario. Ma i poeti hanno un loro universo, con leggi tutte speciali. Non roviniamoglielo con cifre e misure precise. Lasciamoli liberi di bersi il tramonto in una tazza.

Franco Gàbici

 


Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 


 

 

 

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