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I ntanto devo dirvi che non amo
guardare i programmi televisivi che vanno per la maggiore. I “grandi fratelli”,
tanto per capirci (mi vanto di non aver visto nemmeno un secondo di quella
acculturatissima trasmissione), le varie domeniche “in…” (cosa vorrà dire “in”?
forse “in”-sulsa?), “c’è posta per te”, talk show e altra mercanzia
equipollente. Devo però confessarvi una debolezza. Una sera ho visto “carramba
che sorpresa”. Sì. Prima, però, mi ero fatto legare saldamente alla poltrona
perché qualcosa mi avvertiva che, fossi stato libero, non sarei sicuramente
arrivato alla fine. Legato alla poltrona ho dovuto sorbirmi tutto il programma
e, credetemi, mi sentivo un po’ come Ulisse che passava lo stretto legato come
un salame al pennone della sua nave per evitare gli ammaliamenti dei canti delle
malefiche sirene.
Io, per la verità, dovevo far fronte soltanto a Raffaella Carrà ma, credetemi, non è stato uno
scherzo. Mi son sorbito una bella scorpacciata di lacrime altrui, una erogazione
di secreti lacrimali registrata anche dal barometro, che in quella situazione
torceva il suo budello e faceva uscire dalla nicchia la donnetta con
l’ombrellino (ricordate quei barometri da fiera sulla cui funzionalità non era
igienico scommettere?), e mentre la donnina ombrellata faceva bella mostra di sé
io avevo la sensazione di toccare con mano l’insulsaggine di un programma che
ancora una volta dimostrava la stupidità endemica del popolo italiano. Non sono
un genio, d’accordo, ma credo di essere dotato di quel minimo di intelligenza
che mi induce a pensare in questi termini: se in casa mia arriva la telefonata
della tivù che mi invita a partecipare al programma della Raffaella Carrà, non è
che mi venga il sospetto che la Raffa abbia preparato per me un incontro con una
persona che non vedo da trenta o quarant’anni? Anche un deficiente lo capirebbe.
Milioni di italiani no. Mah.
“Sant’Addolorata! Non
sono dei begli idioti gli uomini?”, esclama miss Douce proprio nel capitolo
dell’Ulisse dedicato alle “sirene”, quello che inizia con tutti quei
mozziconi di frasi messi uno sotto l’altro a partire dal capostipite “Bronzo
accanto a oro udirono i ferrei zoccoli, acciaiosonanti” e il bronzo è miss Douce
perché ha i capelli color bronzo, e fa il paio con l’oro, che è miss Kennedy
che invece è bionda ed entrambe sarebbero le sirene, le sirene di Joyce, quelle
sirene che “si accoccolarono dietro alla scogliera del banco…”, ma anche
Claudio Baglioni usò quel termine, ricordate?, accoccolati ad ascoltare il
mare, la canzone si chiamava E tu… ed era del 1974, certo questa è
materia per dotti filologi e chissà se Baglioni stava pensando davvero a Joyce
mentre componeva E tu…, magari no, anzi no quasi senz’altro, e dunque si
tratta di una semplice coincidenza e poi “accoccolare” è pur sempre una
traduzione e chissà cosa avrà scritto Joyce in originale, ma qui ci stiamo
allontanando troppo dall’argomento iniziale e stiamo smarrendo la stella polare
e l’orientamento perché quello che volevo dirvi era semplicemente che i
programmi televisivi sono quello che sono, ma finalmente la nostra mamma tivù
era riuscita a programmare una trasmissione straordinaria, che mi aveva pure
messo dentro una grande frenesia. L’idea era straordinaria e mi riferisco
all’Isola dei famosi. Quando ne sono venuto al corrente avrei voluto scrivere al
direttore generale della Rai per esprimergli tutta la mia riconoscenza, perché
un programma così sottendeva un’idea geniale. Carrambissima che idea, mi sono
detto! Pensate un po’, riunire in un’isola deserta tutti i divi e le dive della
nostra tivù! Roba da Einstein, da premio Nobel! Poi, purtroppo, vengo a sapere
che tutti i divi ad uno ad uno ritornano dall’isola… pensate, invece, quanto
sarebbe stato bello e soprattutto quanto ci avrebbe guadagnato la tivù se tutti
quei divi fossero rimasti là, in quella stramaledetta isola. Ce ne saremmo
liberati per sempre! Poi la tivù, forte di questa esperienza, chissà, avrebbe
potuto programmare anche l’isola dei politici, con tutti i nostri parrucconi
relegati in un’isola e poi abbandonati a se stessi. Ah, che bello! E invece
niente. Credevo per davvero che gli italiani fossero un popolo di geni e invece
ne ho ricavato una delusione cocentissima. Ci meritiamo proprio l’isola dei
famosi, anzi, meritiamo un arcipelago.
“Sant’Addolorata! Non sono dei begli idioti gli uomini?”.
Joyce mise in bocca queste parole a una sua sirena. Parole sante.
Franco Gàbici
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Gadda - Il dolore della
cognizione di
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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