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Proprio oggi, domenica 16
marzo, a pochi passi dall’evento della Primavera, è stata celebrata in
tutta Italia la Giornata nazionale dei planetari, organizzata
dalla Associazione Amici dei Planetari (AAP). La giornata ha come scopo
aprire al pubblico queste cupole col cielo artificiale per tentare di
recuperare nella gente la memoria del cielo stellato, una realtà che
ormai non si vede più, nascosta com’è dalla arrogante illuminazione
notturna e soprattutto dall’inquinamento dell’atmosfera che si va
facendo sempre più pesante e insopportabile. Purtroppo i Planetari, che
mostrano la volta celeste stellata limpida e pulita, sono destinati a
diventare i musei del cielo, gli unici luoghi dove la gente potrà avere
un’idea di come fosse “fatto” il cielo stellato. E nonostante il cielo
stellato sia artificiale, la magia e il fascino sono assicurati e
pertanto aveva ragione Ardengo Soffici quando scrisse che “nessuno ha
ancora inventato un Planetario che faccia apparire vecchio il cielo”.
Sotto alle cupole dei Planetari, infatti, si rinnova la meraviglia della
notte dentro alla quale ci si immerge in un bagno di stelle che ha
dell’incredibile e si stringe in un colpo d’occhio solo la magia del
cielo in una stanza.
Da sempre l’uomo ha tentato di costruire meccanismi per riprodurre il cielo stellato, a
cominciare dal famoso Globo Farnese conservato a Napoli (II secolo prima
di Cristo), ma ancor prima ci aveva pensato il grande Archimede a
costruire un grande globo di vetro sul quale aveva disegnato le stelle e
le costellazioni simulando il cielo stellato. Essendo di vetro, la sfera
di Archimede è andata irrimediabilmente distrutta, ma per fortuna
abbiamo conservato alcune descrizioni di questo gioiello di ingegneria e
si trattava veramente di un gioiello perché il globo era supportato da
una impalcatura di legno che lo faceva ruotare simulando in questo modo
il movimento apparente della volta celeste.
Lo ricorda Ovidio nei “Fasti”: “Per l’arte di Archimede così sta sospesa una palla
in chiuso spazio, breve immagine del mondo”. Ma anche Claudiano ne
scrisse, dedicando a questa sfera di Archimede un epigramma dal titolo
“In sphaeram Archimedi” dove il poeta esprime niente meno che l’invidia
di Giove di fronte a questa meraviglia costruita da un uomo:
“Vedendo Giove l’universo racchiuso in una piccola sfera di vetro, sorrise e, voltosi
agli altri Dei, così disse: ‘A tanto è arrivato il potere degli uomini!
Tutta la mia fatica ormai si rappresenta in una fragile sfera, ed un
vecchio Siracusano vi ha saputo riprodurre con l’arte sua i principi e
l’armonia dell’Universo, le leggi divine. E v’è rinchiuso uno spirito
che regola il vario moto degli astri, e agita quell’opera viva con
movimenti prestabiliti. V’è perfino un finto Zodiaco che fa il suo giro,
una finta Diana (la Luna, n.d.r.) che torna ogni mese. L’audace ingegno
gode a muover questo suo mondo, a regolar gli astri con legge umana. C’è
più da meravigliarsi che la povera Salmonea abbia imitato il tuono? Una
piccola mano può emulare la stessa natura’”.
Perfino Leonardo da Vinci costruì un Planetario per Ludovico il Moro e lo chiamò
“Paradiso”.
Il cielo, dunque, è sempre stato rappresentato, ma purtroppo col passar del tempo
l’uomo ha perduto il riferimento alla volta celeste, alla quale un tempo
faceva invece costante riferimento per il calcolo dell’ora, della
stagione e anche per trovare la strada di casa. Il cielo una volta
faceva veramente parte della vita di tutti i giorni ed era un
riferimento indispensabile per il vivere quotidiano. E se non ci credete
andate a leggervi “Le Georgiche” di Virgilio o “Le opere e i giorni” di
Esiodo. C’è ancora molto da imparare osservando il cielo, che ci respira
sul capo con le sue migliaia di stelle fra l’indifferenza generale.
Riprendiamoci il cielo e le sue magie. Ecco il messaggio lanciato da
questa Giornata nazionale dei planetari, che ha la pretesa di fare
avvicinare sempre più l’uomo al cielo, perché l’osservazione del cielo
fa capire profondamente il nostro ruolo nell’universo e sicuramente ci
renderà più buoni.
Franco Gàbici
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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