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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale


 

16 marzo 2003

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Proprio oggi, domenica 16 marzo, a pochi passi dall’evento della Primavera, è stata celebrata in tutta Italia la Giornata nazionale dei planetari, organizzata dalla Associazione Amici dei Planetari (AAP). La giornata ha come scopo aprire al pubblico queste cupole col cielo artificiale per tentare di recuperare nella gente la memoria del cielo stellato, una realtà che ormai non si vede più, nascosta com’è dalla arrogante illuminazione notturna e soprattutto dall’inquinamento dell’atmosfera che si va facendo sempre più pesante e insopportabile. Purtroppo i Planetari, che mostrano la volta celeste stellata limpida e pulita, sono destinati a diventare i musei del cielo, gli unici luoghi dove la gente potrà avere un’idea di come fosse “fatto” il cielo stellato. E nonostante il cielo stellato sia artificiale, la magia e il fascino sono assicurati e pertanto aveva ragione Ardengo Soffici quando scrisse che “nessuno ha ancora inventato un Planetario che faccia apparire vecchio il cielo”. Sotto alle cupole dei Planetari, infatti, si rinnova la meraviglia della notte dentro alla quale ci si immerge in un bagno di stelle che ha dell’incredibile e si stringe in un colpo d’occhio solo la magia del cielo in una stanza.
Da sempre l’uomo ha tentato di costruire meccanismi per riprodurre il cielo stellato, a cominciare dal famoso Globo Farnese conservato a Napoli (II secolo prima di Cristo), ma ancor prima ci aveva pensato il grande Archimede a costruire un grande globo di vetro sul quale aveva disegnato le stelle e le costellazioni simulando il cielo stellato. Essendo di vetro, la sfera di Archimede è andata irrimediabilmente distrutta, ma per fortuna abbiamo conservato alcune descrizioni di questo gioiello di ingegneria e si trattava veramente di un gioiello perché il globo era supportato da una impalcatura di legno che lo faceva ruotare simulando in questo modo il movimento apparente della volta celeste.
Lo ricorda Ovidio nei “Fasti”: “Per l’arte di Archimede così sta sospesa una palla in chiuso spazio, breve immagine del mondo”. Ma anche Claudiano ne scrisse, dedicando a questa sfera di Archimede un epigramma dal titolo “In sphaeram Archimedi” dove il poeta esprime niente meno che l’invidia di Giove di fronte a questa meraviglia costruita da un uomo:
“Vedendo Giove l’universo racchiuso in una piccola sfera di vetro, sorrise e, voltosi agli altri Dei, così disse: ‘A tanto è arrivato il potere degli uomini! Tutta la mia fatica ormai si rappresenta in una fragile sfera, ed un vecchio Siracusano vi ha saputo riprodurre con l’arte sua i principi e l’armonia dell’Universo, le leggi divine. E v’è rinchiuso uno spirito che regola il vario moto degli astri, e agita quell’opera viva con movimenti prestabiliti. V’è perfino un finto Zodiaco che fa il suo giro, una finta Diana (la Luna, n.d.r.) che torna ogni mese. L’audace ingegno gode a muover questo suo mondo, a regolar gli astri con legge umana. C’è più da meravigliarsi che la povera Salmonea abbia imitato il tuono? Una piccola mano può emulare la stessa natura’”.
Perfino Leonardo da Vinci costruì un Planetario per Ludovico il Moro e lo chiamò “Paradiso”.
Il cielo, dunque, è sempre stato rappresentato, ma purtroppo col passar del tempo l’uomo ha perduto il riferimento alla volta celeste, alla quale un tempo faceva invece costante riferimento per il calcolo dell’ora, della stagione e anche per trovare la strada di casa. Il cielo una volta faceva veramente parte della vita di tutti i giorni ed era un riferimento indispensabile per il vivere quotidiano. E se non ci credete andate a leggervi “Le Georgiche” di Virgilio o “Le opere e i giorni” di Esiodo. C’è ancora molto da imparare osservando il cielo, che ci respira sul capo con le sue migliaia di stelle fra l’indifferenza generale. Riprendiamoci il cielo e le sue magie. Ecco il messaggio lanciato da questa Giornata nazionale dei planetari, che ha la pretesa di fare avvicinare sempre più l’uomo al cielo, perché l’osservazione del cielo fa capire profondamente il nostro ruolo nell’universo e sicuramente ci renderà più buoni.

Franco Gàbici

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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