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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale


 

27 aprile 2003

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Gli anniversari mi stanno dando una mano a compicciare la mia settimanale “Bollicina” e questa volta tocca a Ettore Schmitz, che però si fece chiamare Italo Svevo perché ebbe compassione di quella povera vocale “i”, schiacciata da tutte quelle orribili consonanti come una fettina di mortadella fra due ganasce di pane (provate a scrivere il cognome in maiuscolo: SCHMiTZ. La desolazione della povera “i” assume i connotati della tragedia).

Dunque, Svevo. Calendario alla mano, fanno settantacinque anni dalla morte, avvenuta nel 1928 per incidente stradale e tanto per dare più sapore alla ricorrenza va anche ricordato che “La coscienza di Zeno”, che è il suo libro, usciva nel 1922, giusto una ottantina di anni fa. 75, 80… rispondono ai nostri canoni di eleganza e di simmetria anche se, per la verità, esistono numeri altrettanto eleganti che però nessuna ardisce usare come parametri per misurare le ricorrenze.

Pensate, ad esempio, a π (il famoso, o la famosa, “pi greco”, o “pi greca”: non ho mai osato spingere lo sguardo fra le sue gambette per dirimere una volta per tutte la questione relativa al suo sesso) o e (il meno famoso, per il popolaccio intendo dire, “numero di Nepero”). Tutti sanno, infatti, che "pi greco" vale 3.14 (e mi fermo solo alle prime due cifre decimali) mentre pochi sanno che e vale 2.71 (e anche qui mi fermo ai due decimali per una sorta di “par condicio”). Quello che voglio dire, insomma, è che a nessuno verrebbe in mente di iniziare un articolo in questa maniera: 25.47π anni fa usciva “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo eccetera eccetera… Nessuno lo scriverà mai, d’accordo, però quando andranno al potere i matematici potrebbe diventare una sfiziosa consuetudine.

Svevo era un profeta. I grandi uomini, per la verità, sono tutti profeti. Il fatto è che nessuno presta loro fede. Basta leggere la parte finale del romanzo. L’apocalisse finale devo averla già citata in una precedente “Bollicina” e pertanto non sto a ripetermi, ma questa citazione credo sia nuova (per le “Bollicine”, si capisce): “La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinato l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V’è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza…nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensiero soffoco!”.

Svevo aveva davanti agli occhi il globo di vetro del futuro e vi leggeva già l’inquinamento dell’aria e dello spazio, anticipando i tempi calamitosi che sarebbero venuti, dominati dalle follie del “triste e attivo animale”. E intanto tentava di disinquinare se stesso col proposito di smettere di fumare.

Nella “Coscienza di Zeno” compare il proposito “U.S.” che sta per “Ultima Sigaretta” e al “fumo” è dedicato niente meno che un capitolo intero. Ma quella “U.S.”, che per la verità si trova nel capitolo “Morte del padre”, richiama alla memoria anche le iniziali di Umberto Saba, triestino pure lui come il Nostro, che cita il suo concittadino in un suo aforisma dedicato ai vizi: “Bacco, Tabacco e Venere, ed altri stupefacenti, riducono l’uomo in cenere solo se egli ne usa senza innocenza; combattuto fra la convinzione che essi gli sono nocivi e il rimorso di non potersene astenere. È, un poco, la storia dell’ultima sigaretta di Svevo…”.

Un altro aforisma è intitolato “La bistecca di Svevo” dove Saba racconta che Svevo a sua volta raccontasse divertito “di non aver mai mangiato con tanto gusto una bistecca come verso la fine dell’altra guerra, quand’egli era (o credeva di essere) il solo della città a potersela permettere” e poi Saba continua e conclude facendo l’esegesi di questo aneddoto attribuendo alla bistecca sveviana incredibili risvolti economici: “Ma, senza saperlo, egli [Svevo] toccava […] il vero problema dell’economia mondiale […] La bistecca di Svevo insegna che l’uomo è troppo bambino per godere di un bene senza mettere l’accento sul fatto che altri ne sono privi, che quel bene è il suo privilegio (di figlio unico o preferito). Se così non fosse, non esisterebbero oggi, con tanti mezzi di produzione e di trasporto, la miseria e la fame. Basterebbe così poco a trovare una via d’accomodamento! Ma so bene che quel ‘poco’ è una mera apparenza, appena un modo di dire; che prima che l’uomo impari a leggere, a compitare, una sillaba in più in questa direzione, deve cascargli ancora, e più di una volta, la vòlta del cielo  sulla testa”.

Da Svevo a Saba. Oggi mi è andata così. E vi passo, a mo’ di conclusione, un’altra “scorciatoia” di Saba, la numero 35: “Il Novecento pare abbia un solo desiderio: arrivare prima possibile al Duemila”. È una di quelle frasi che dice tutto e non dice nulla, ma è una di quelle frasi che quando la leggi ti senti dentro l’impressione che prima o poi finirà dentro a un libro. I libri, infatti, sono pieni di frasi che sembrano dire tutto e invece non dicono proprio un bel niente. E tutte queste frasi, messe una dietro l’altra, formerebbero una lunghissima catena di insulsaggini se a qualcuno non fosse venuto in mente di chiamarle invece “letteratura”. Beh, anche questa potrebbe finire dentro a un libro. Cosa ne dite?

Franco Gàbici

La citazione di Svevo si trova alla fine de “La coscienza di Zeno”.
Le citazioni di Umberto Saba sono tratte da “Scorciatoie” (la n.63 è intitolata “Bacco Tabacco e Venere”, la n.22 “La bistecca di Svevo”).

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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