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Primo titolo:
Franco Gàbici «Gadda - Il dolore della cognizione»
Una lettura scientifica dell'opera gaddiana - Isbn 88-86792-40-9

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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale
 

20 dicembre 2002

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Silvio Pellico è noto per aver scritto Le mie prigioni e diverse tragedie (Laudamia e Francesca da Rimini, per esempio) e per aver collaborato al Conciliatore, quel foglio politico letterario che uscì negli anni del Risorgimento e che nessuno ovviamente ha mai letto.
Mica è detto che sia un peccato grave, però a volte andando a tartufare fra le polverose pagine di questo antico foglio si trovano delle cosette interessanti, come questa considerazione scritta dal Pellico il 13 settembre del 1818, pochissimi giorni dopo la data di nascita del giornale (3 settembre 1818), chiamato il "foglio azzurro" dal colore della carta sulla quale veniva stampato. Il pezzo di Pellico si intitola Del risparmio e della perdita del tempo e tanto per fare onore al titolo, di tempo se ne perde veramente poco, estendendosi per pochissime righe. Pellico, dunque, non era solamente il cospiratore che tentava di cacciare dall’Italia gli Austriaci, ma era anche un uomo pratico che si poneva alcuni interessanti quesiti e uno di questi è una considerazione a base di numeri sulla abitudine dello svegliarsi al mattino. Scrive Pellico che se uno per quarant’anni si alza alle 6 anziché alle 8, quelle due ore di differenza ammontano complessivamente a 29.200 che, tradotte in soldoni, stanno per 3 anni, 121 giorni e 16 ore.
E fin qui nulla dire.
Poi, però, si mette a baloccare coi numeri e va in delirio. Scrive infatti che quelle 29.200 ore fanno 8 ore al giorno per 10 anni [alla conclusione è giunto dividendo 29.200 per 8 = 3.650 e dividendo ancora per 365 ottenendo 10] e pertanto chi per 40 anni si alza alle 6 anziché alle 8 «può dire d’avere nel corso della sua vita una decina d’anni, nei quali gli sono aggiunte 8 ore di vita al giorno». Mah! Se, infatti, avesse diviso 29.200 per 4, avrebbe ottenuto 7.300, che diviso ancora per 20 avrebbe dato come risultato 365 per cui uno si sarebbe trovato ad avere un aumento di quattro ore in vent’anni!
Quindi conclude il suo ragionamento matematico con queste riflessioni: «Ma per lo stesso motivo che raccomandiamo l’alzarsi di buon’ora a quegli uomini che possono giovare colla mente o col cuore alla società, desideriamo che poltriscano lungamente nelle piume tutti coloro che la natura o l’educazione o l’ignoranza hanno reso malefici».
Le ore del mattino, dunque, hanno veramente l’oro in bocca, come recitava l’antico adagio. E lo si può dimostrare come ha tentato di fare Silvio Pellico.
Mentre sto "bollicinando" piove e piove e questo gocciolare dell’acqua dà l’idea del gocciolar del tempo, quel tempo che Pellico voleva utilizzare pienamente per non perderne nemmeno una stilla. Il tempo. Troppo banale cavar fuori dalla memoria le considerazioni di Sant’Agostino («Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so, se qualcuno me lo chiede non lo so») perché quelle fanno ormai parte dell’aneddotica temporale. E lasciamo stare anche Proust che al tempo perduto ha dedicato tutta la sua esistenza, scrivendo come un forsennato chiuso dentro a una stanzetta tappezzata di sughero perché non sopportava i rumori del mondo. Troppo complicato Kant che considera il tempo una forma a priori dell’intuizione sensibile. Ho un ricordo allucinante della kantiana Critica della ragion pura (Kritik der reinen Vernunft), un libretto chiosato da Gustavo Bontadini che costituiva la "lettura" di filosofia dell’ultimo anno del liceo. E allora andiamo a pescare da Thomas Mann: «Che cosa è il tempo? Un mistero…irreale e onnipotente. Una condizione del mondo fenomenico, un movimento unito e mescolato all’esistenza dei corpi nello spazio e al loro moto. Ma non ci sarebbe tempo se non ci fosse moto? Né moto se non ci fosse tempo? Interroga pure! È il tempo una funzione dello spazio? O viceversa? O sono entrambi identici?». Beh, forse identici lo sono proprio, tant’è che Einstein, quando li mescolò insieme in quella salamaoia che chiamò spaziotempo, decise di "appiccicare" al tempo il numero immaginario "i" per distinguerlo dallo spazio. Ve lo ricordate "i"? È uno strano numero che elevato al quadrato fa "-1". Cose che accadono nel difficile universo della matematica.

Franco Gàbici

Sereno Natale e Felice 2003 a tutti

 

Le considerazioni di Thomas Mann sono tratte da La montagna incantata, Milano, Corbaccio, 1992XIV, p. 321.

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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