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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale


 

13 aprile 2003

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La sera del 28 giugno 1992 Los Angeles rimase completamente al buio a causa di un black out dovuto a un terremoto che aveva sconquassato la città, ma il fatto eccezionale è che i losangelesi telefonarono allarmati a tutti i centralini della polizia per chiedere informazioni su tutte quelle misteriose luci che stavano sospese in cielo e che sembravano minacciosi ufo alla conquista della città, come accadeva nei romanzi di Wells e in particolare nella “Guerra dei mondi”.

Le “misteriose luci” in realtà erano le stelle, che evidentemente i losangelesi mai avevano visto a causa del fortissimo inquinamento luminoso che ha letteralmente trasformato la poesia delle nostre notti. Ragazzi, che tristezza! Sembra impossibile, ma l’inquinamento ha veramente guastato tutto e finalmente sembra che in questi giorni sia stato presentato un progetto di legge italiano per cercare di mettere un freno a questi inquinamenti che ci nascondono i più suggestivi e fantastici fenomeni naturali.

Ve lo immaginate oggi un Giacomo Leopardi che se ne sta a scrutare il cielo da Los Angeles? Chissà che porcherie di poesie sarebbero venute fuori! Per fortuna, invece, il vecchio Giacomo poetava dal suo “natio borgo selvaggio” tutto immerso nel buio delle notti, che a quei tempi erano veramente notti. I poeti hanno sempre osservato il cielo e qui non posso non ricordare il mio (nel senso della romagnolità) Giovanni Pascoli che fin da bambino osservava il grande scenario della natura traendone suggestioni e ispirazioni. E tutto questo lo doveva a sua madre: “Io sento che a lei devo la mia abitudine contemplativa, cioè, qual ch’ella sia, la mia attitudine poetica. Non posso dimenticare certe sue silenziose meditazioni in qualche serata, dopo un giorno lungo di faccende, avanti i prati della Torre. Ella stava seduta sul greppo: io appoggiava la testa sulle sue ginocchia. E così stavamo a sentir cantare i grilli e a veder soffiare i lampi di caldo all’orizzonte. Io non so più a che cosa pensassi allora: essa piangeva. Pianse poco più di un anno, e poi morì”.

Pascoli, più sopra, lamentava lo scempio della Natura ad opera della “crudele stupidità degli uomini”, che aveva cancellato dal “bel cielo d’Italia” molte specie di uccelletti. Fosse vissuto adesso, povero Pascoli!

 

E noi, uomini del terzo Millennio, grassi e sazi di tutte le inutilità del progresso, chiusi nelle nostre solitudini manco ci accorgiamo del cielo che ci sovrasta, di questa realtà che è scritta dentro di noi e che Kant volle incidere perfino sulla sua pietra tombale quasi a voler suggellare questa figliolanza stretta, questa nostra dipendenza dal cielo, che con la sua bellezza ha sempre stordito gli uomini, oggi smarriti nella salamoia della luce artificiale che ha trasformato le nostre notti in eterni crepuscoli. Abbiamo paura del buio come fossimo bambini smarriti e lontani dalle calde mani delle madri. Abbiamo paura del buio e dei suoi fantasmi che picchiano sui vetri ad ogni calar di sera. Volti, sorrisi, parole, ricordi…emergono dal buio e si mescolano alle stelle. Non dobbiamo temere il buio, perché solo nel buio si possono ammirare le stelle e immaginare viaggi fantastici sul mai domo Ippogrifo della fantasia.

Riavremo, dunque, il cielo stellato per decreto legislativo. E tutto questo ci dimostra quanto siamo lontani da un vivere in sintonia con la natura. Ritroveremo le stelle nelle nostre notti. Auguriamoci soltanto di non provare la stessa paura che terrorizzò gli abitanti di Los Angeles.  

Franco Gàbici

Le riflessioni di Giovanni Pascoli si possono leggere nella Prefazione ai Canti di Castelvecchio che dedicò alla madre Caterina Alloccatelli Vincenzi.

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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