n. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36
37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66
67 68 69 70 71 72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
89
90
91 92
«Per esempio, Marte al
telescopio si rivela un pianeta più perplesso di quanto non sembri a occhio
nudo: pare abbia tante cose da comunicare di cui si riesce a mettere a fuoco
solo una piccola parte, come in un discorso farfugliato e tossicchiante. Un
alone scarlatto sorge intorno all’orlo; si può cercare di rincalzarlo
regolando la vite, per far risaltare la crostina di ghiaccio del polo
inferiore; macchie affiorano e sfioriscono alla superficie come nuvole o
squarci tra le nuvole; una si stabilizza in forma e posizione d’Australia, e
il signor Palomar si convince che più distinta vede quell’Australia più
l’obiettivo è a fuoco, ma nello stesso tempo si accorge che sta perdendo altre
ombre di cose che gli sembrava di vedere o che si sentiva tenuto a vedere.
Insomma gli pare che se Marte è quel pianeta sul quale da Schiaparelli in poi se ne sono dette
tante causando alternative d’illusioni e delusioni, ciò coincida con la
difficoltà di stabilire un rapporto con lui, come con una persona dal
carattere difficile…»
Questa lunga citazione “calviniana” cade proprio a fagiolo in questo periodo in cui attorno a Marte,
il ”pianeta rosso”, se ne sono dette veramente di tutti i colori. Marte ha
tenuto banco ed è stato una buona alternativa alle solite notizie che
impidocchiavano i giornali e la tivù, insomma ci ha costretti, volenti o
nolenti, a guardare il cielo perché lassù c’era lui, un pianeta che mai, da
sessantamila anni a questa parte, si era fatto vedere così vicino e dunque ci
ha regalato una grandissima emozione anche se penso che la gente sia rimasta
delusa e mentre lo osservava, ad occhio nudo o attraverso le lenti e gli
specchi di qualche telescopio, non si sia trattenuta dall’esclamare “beh,
tanto strepito per nulla”.
Dunque, tutto qui?
Ebbene sì, miei signori, tutto qui. Ma cosa si pretendeva, di vedere Marte grande come una ruota di
bicicletta?
Pensiamo, invece, che siamo stati i testimoni di un momento veramente eccezionale e che Marte, da
quando è stato inventato il cannocchiale, non era mai apparso così agli occhi
di nessuno. Sì, posso convenire che lo spettacolo di Marte non sia stato
commensurabile con gli spettacoli ai quali siamo abituati, ma dobbiamo anche
imparare a leggere certi spettacoli per coglierne gli alti significati.
Il successo, comunque, c’è stato eccome, se è vero che migliaia e migliaia di persone hanno avvertito
il richiamo del cielo e si sono ritagliate nel grande Barnun dell’estate uno
spicchio di tempo per fare una pausa e per guardare là dove apparentemente
sembra che non ci sia nulla e invece ci sono oggetti che ci parlano
continuamente.
Marte continua ad essere osservabile anche se notte dopo notte perderà in luminosità. Ma intanto
ce lo siamo fatto amico e in qualche modo è entrato nei nostri discorsi e
nella nostra vita. E magari ci ha fatto riflettere un pochino sui grandi temi
dell’esistenza. Ci ha fornito l’occasione per una riflessione sul concetto di
distanza e di misura e dunque in qualche modo ci ha dato una mano a guarire le
nostre miopie che ci costringono a non vedere tutto quello che sta oltre a una
spanna dal nostro naso.
Marte, infine, come tutti i fenomeni un po’ al di fuori dalla righe, ci ha aiutato a ricontemplare
il cielo. Il cielo sopra di noi purtroppo è spettacolo abitudinario. Sappiamo
che lassù ci sono le stelle, ma tutto questo non ci induce particolari
emozioni perché “l’abitudine toglie allo spettacolo ogni grandezza”. Così
scriveva Seneca e aveva ragione da vendere. Purtroppo siamo costrutti così,
“che le cose quotidiane – continua Seneca – anche se sono degne di
ammirazione, ci passano inosservate, mentre ci risulta gradevole la vista di
fenomeni anche secondari, purché si manifestino in modo insolito. Così questa
corte di stelle, di cui si adorna la bellezza del cosmo sconfinato, non
richiama la folla; ma quando qualcosa si muta rispetto all’ordinario, ogni
sguardo è puntato verso il cielo”.
Seneca scriveva queste cose duemila anni fa.
Amici, meditate anche su questo.
Franco Gàbici
La citazione iniziale
è tratta da I.Calvino, Palomar, Milano, Mondadori, 1994, p. 40.
Le considerazioni di Seneca si trovano in Seneca, Ricerche sulla natura. A cura di
Piergiorgio Parroni, Milano, Mondadori (Fondazione Lorenzo Valla), 2002, p.
417.
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
© Copyright by
Simonelli Editore
Vietato copiare o linkare senza autorizzazione
Any copy or link is forbidden without permission.
|