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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale


 

13 luglio 2003

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Ci stiamo inzuccherando da due secoli e precisamente dal 1803, da quando a un tale venne l’idea geniale di cavar fuori lo zucchero dalla barbabietola inferendo un duro colpo a quanti invece lo estraevano dalla canna. Più esattamente fu il chimico Andreas Sigmund Maggraf (1709-1782) a comunicare all’Accademia di Berlino il suo metodo di cavar zucchero dalla barbabietola, mentre poco dopo Franz Karl Achard (1753-1821) dette il via alla produzione industriale dello zucchero. Della canna da zucchero, lo diciamo per inciso, parla anche il "Conciliatore" "veduta per la prima volta da’ commilitoni di Goffredo verso la metà del duodecimo secolo la coltura di essa era già comune nella Sicilia".
Ma torniamo alla nostra guerra dello zucchero, che ha una molecola abbastanza complessa, formata da undici atomi di Carbonio, ventidue di Idrogeno e undici di Ossigeno. Ci furono avversioni e osteggiamenti feroci, ma alla fine trionfò la barbabietola (che la fece proprio in barba...) e forse per questo motivo chi è povero viene definito povero "in canna" (da zucchero, ovviamente). Non prendetela, però, come oro colato, perché potrebbe essere semplicemente una sciocchezza. Per quanti si interessando di etimologie vale infatti la buona regola espressa da Santino Muratori (1874-1943), dotto direttore della Biblioteca Classense di Ravenna, che era solito dire "La prima etimologia che vi viene in mente scartatela subito. Sarà senz’altro una sciocchezza".
I "cannisti" fecero subito guerra contro la bietola e una dotta commissione dell’Istituto nazionale francese concludeva che dal commercio dello zucchero da barbabietola la Francia non avrebbe tratto alcun beneficio. I soliti esagerati proposero addirittura di distruggere quelle poche fabbriche che nel frattempo erano sorte. Nessuno, però, andò a distruggerle, che sarebbe stato troppo, ma si fece di peggio, perché si operò in modo da farle fallire. Insomma per questo povero zucchero da barbabietola l’inizio fu davvero amaro.
Per fortuna della bietola, però, il blocco navale inglese fece sì che lo zucchero da canna si rendesse introvabile e quanti lo avevano assaporato non vollero di certo rinunciare al suo piacere e così si andò a rispolverare la vecchia bietola. E lo zucchero da canna crollò. Ci furono anche questioni di copyright. A nessuno, infatti, era mai venuto in mente di brevettare la parola "zucchero" e così Achard batte tutti sul tempo e brevetta il nome, che diventa un marchio privato e così le povere canne dovettero inventarsi un altro nome da dare al loro estratto.
Pensate che lo zucchero era una faccenda per signori ed era venduto solamente in farmacia. Poi piano piano divenne di uso comune e cominciò a comparire anche fra gli scaffali degli speziali. Il grande Giacomo ricorda lo zucchero quando nello "Zibaldone" disquisisce intorno ai sapori. Lui, però, usa l’articolo "il", sul quale un secolo dopo sarebbe calata la mannaia della matita blu. Ma allora chi badava a queste cose?
Ecco, comunque, la definizione leopardiana "intendo per sapori e odori elementari i naturali, o le qualità specifiche del sapore, come la dolcezza nel zucchero, benché il zucchero non sia sostanza semplice". Lo zucchero, secondo alcuni, avrebbe determinato una grande rivoluzione. Lo zucchero, insomma, non è quell’alimento che fa cariare i denti, ma è un elemento importantissimo, pensato un po’, per il nostro cervello. Chi lo avrebbe mai detto! Era notorio che dentro alle zucche dovesse esserci sale in abbondanza e invece per far funzionar bene la macchina occorre zucchero. Un cervello senza zucchero è dunque un cavallo zoppo. Per questo motivo guardo con sospetto tutti quelli che bevono il caffè amaro.
In queste sere che la Luna va lentamente gonfiandosi di luce, il nostro satellite sembra proprio una caramella di zucchero. Nel 1958 Pat Boone cantava "Sugar moon" (Wolfe). Il disco, un "45" giri della London, aveva l’etichetta tutta nera. L’ho ascoltato mille volte, nelle belle sere di primavera di fine anni Cinquanta, col giradischi accanto alla finestra. Oh sugar moon... e la Luna intanto si arrampicava in cielo, nel silenzio di quelle notti. Oh sugar moon...

Franco Gàbici

"Il Conciliatore" parla della canna da zucchero nella "Storia delle crociate".
La citazione dello "Zibaldone" è in data 18 ottobre 1821.
Secondo altre fonti il primo zuccherificio fu impiantato nel 1802. Ad ogni buon conto possiamo sempre celebrare i 250 anni della nascita di Achard.

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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