Da 105 settimane insieme!!!

L'Istrice | Internet&CoNewsDigest | eBookNewsDigest | Il Catalogo
Dialettando.com | Diario del '900 | The Web Park Speaker's Corner
Simonelli Bookstore | i SeBook | Vuoi fare pubblicità? | Home Page

 



di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

7 dicembre  2003

 

 

 

 

 

n. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38
39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51  52  53  54  55  56  57  58  59  60  61  62  63  64  65  66 67 68 69 70 
71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97
98 99 100 101 102 103
104
105

Con "Il male oscuro" aveva vinto il Viareggio e il Campiello
ma nessuno si è ricordato di Giuseppe Berto a 25 anni dalla morte...

Nel novembre di venticinque anni fa moriva Giuseppe Berto e nessuno dell’Italia letteraria che conta sembra si sia ricordato di questo scrittore che, nonostante il grande successo del suo "Male oscuro", non è mai entrato nelle grazie della critica. Eppure il "Male oscuro", con quella copertina gialla e le ondulazioni nere, aveva vinto nel 1964 il "Campiello" e lo "Viareggio", caso singolarissimo e credo unico nella nostra letteratura, ma evidentemente tutto questo non è bastato.
Certo, i motivi ci sono e sono soprattutto politici (politica in senso stretto, ma anche politica nel senso di appartenenze a clan). Ma a me non va di parlare di certe cose anche perché non ne avrei l’autorità e allora mi va di ricordare questo Berto perché nel lontanissimo 1969 ebbi con lui un piacevole scambio epistolare.
Allora ero giovane e mi ero messo in testa di scrivere un saggio su di lui e, anziché attendere che mi passasse questa idea balzana, mi ci buttai a capofitto con tutta l’ingenuità e l’inesperienza dei miei pochissimi anni (ne avevo ventisei allora, davvero pochi, né sapevo come fosse combinato il mondo, specie quello delle lettere). Gli mandai persino il primo capitolo del mio capolavoro e lui, molto gentilmente, mi rispose e mi consigliò di riscriverlo e di leggere il corposo saggio di David su letteratura e psicanalisi, volume che acquistai subito ma che non mi è riuscito di leggere fino in fondo perché i libri troppo grossi mi spaventano e mi stufano a meno che non siano veramente dei capolavori come potrebbe essere l’Ulisse di Joyce, che mi gira e rigira sempre per le mani ma che ancora non sono riuscito a finirlo anche se leggiucchio qualcosa qui e là perché una sera, parlando con Vittorio Marchis del Politecnico di Torino, mi disse che l’Ulisse poteva anche leggersi così, apri una pagina a caso e poi attacchi a leggere e non c’è assolutamente bisogno di avere il conforto di sapere quanto sia accaduto prima di quella pagina.
Un po’ come accadeva una volta quando si andava al cinema senza aspettare proprio l’inizio della proiezione e così le sale cinematografiche erano per davvero un porto di mare, con la gente che entrava e usciva di continuo e dal momento che l’abitudine era inveterata esisteva pure una "maschera" dotata di torcia elettrica che conduceva lo spettatore attraverso la salamoia del buio alla ricerca di un posto. Dunque, io questo David non son riuscito mai a leggere per intero e così addio saggio su Berto e forse è stato meglio così, ve lo assicuro. Ma siccome la mania dello scrivere non riuscì mai ad abbandonarmi ripiegai su un articoletto: difficile guarire del male della carta e della penna.
Evidentemente, da che mondo è mondo, tutti hanno scritto o, peggio, si sono sentiti grandi scrittori e, a riprova di queste affermazioni, Giovenale, che mandava in orbita le sue Satire al tempo di Traiano e di Adriano e dunque poco meno di duemila anni fa, scriveva che tutti i poeti dicevano più o meno le stesse cose e che "da tutte le parti inciampi in poeti". Era uscito da poco il film "Anonimo veneziano", che andai a vedere sottoponendo le mie glandole lacrimali a secreti straordinari, e il film, diretto da Enrico Maria Salerno, era stato tratto dall’omonimo volume di Berto che io lessi tutto d’un fiato e poi mi venne di fare una recensione su un giornaletto locale dove trattavo questo libretto come se fosse stato un capolavoro e piacque anche a Berto che mi ringraziò dichiarandosi soddisfatto che io fossi riuscito a trovare in quel libretto delle intenzioni profonde.
Ora non ricordo più le stupidaggini che scrissi, ma ricordo vagamente che alla fine chiusi la mia recensione-capolavoro con un richiamo a Kierkegaard e poi seguirono altre lettere, cinque o sei per la verità, e ricordo che in una di queste mi raccontava il significato simbolico de "Il cielo è rosso" e che adesso non ricordo più dove l’ho cacciata, ma sicuramente riposerà in qualche cassetto perché io sono molto disordinato e il mio studio sembra la dimostrazione dell’esattezza del teorema dell’entropia, che cioè l’universo evolve verso stati sempre più disordinati e se uno avesse qualche dubbio sull’universo (che dopo tutto sembra una struttura ordinata) venga a trovarmi e si ricrederà subito. Così la legge dell’entropia sarà salva.
E poi chi ha detto che il disordine sia un male? Ma che cos’è il disordine?
È un modo diverso di essere ordinati. Ecco cos’è il disordine.
Ci sono pure nuovissime teorie del caos e in tempi non sospetti Erich Maria Remarque sentite cosa scriveva: "Dov’è il limite tra caos e ordine? Chi può varcarlo e tornare indietro? (…) L’ordine non cancella forse il ricordo del caos, e il caos il ricordo dell’ordine?".
Fuori il giorno è bello e non sembra nemmeno autunno inoltrato. Dire che il cielo è azzurro è una banalità e per questo motivo rubo ancora queste parole a Remarque "La giornata è fulgida d’azzurro, il cielo si gonfia sopra la città come un’enorme tenda di seta". Ed è proprio così. Andrò a correre verso il mare prima che diventi del colore della pelle dei topi. Anch’io mi chiederò dove andranno i gabbiani a fare il loro nido e mi vien fatto di pensare che la letteratura è proprio una faccenda strana. Cardarelli si chiede dove vadano i gabbiani a fare il nido e ti corre un brivido sulla pelle. Il giovane Holden, invece, si chiede dove andranno a finire le anatre del Central Park quando il laghetto è gelato e ti vien da ridere. Vai tu a capire la letteratura!

Franco Gàbici

La satira di Giovenale è la prima.
Le citazioni di Remarque sono tratte da "L’obelisco nero" (Oscar Mondadori, 358) alle pagine 105 e 112.
Holden, ovviamente, è il protagonista de "Il giovane Holden" di Salinger.


Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
Basta una e-mail a ed@simonel.com per riceverlo comodamente a casa contrassegno

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 


 

 

 

© Copyright by Simonelli Editore
Vietato copiare o linkare senza autorizzazione
Any copy or link is forbidden without permission.