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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

21 dicembre  2003

 

 

 

 

 

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A cremazione avvenuta, vi comunico
di essere morto il 12.XII.2003 - ore 17,30
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Manlio Guberti Helfrich

Molte "bollicine" fa vi parlai di Manlio Guberti Helfrich, poeta, pittore e anima bella e un gentile lettore di Treviso riuscì a mettersi in contatto con me per saperne di più perché lui in casa aveva un dipinto di Manlio e io gli passai tutte le coordinate necessarie per parlargli anche se Manlio ormai era stanco tant'è che in una sua poesia aveva scritto "anche l'ombra mi ha lasciato". Vi racconto questo perché ora Manlio ha lasciato noi. Il cantore del deserto dell'Arizona (aveva dipinto quadri sul deserto come mai nessuno era riuscito a fare e per questo lo nominarono "sindaco onorario" di Tombstone), l'autore del manuale Hoepli sulla "vela" (era un appassionato di questo genere) non è più. Me lo ha comunicato alcuni giorni fa l'amico di sempre Giuseppe Maestri, finissimo incisore e titolare a Ravenna di una "Bottega" nella quale sono passati e continuano a passare i più bei nomi dell'arte e della critica (Raphael Alberti, Renato Guttuso, Edoardo Sanguineti, Tonino Guerra tanto per fare qualche nome) e noi "amici della Bottega" abbiamo fatto pubblicare un necrologio sul giornale per ricordare l'amico Manlio, ma la cosa che mi ha colpito è stata la lettera che ho ricevuto proprio ieri, una lettera di Manlio ed era una lettera di ringraziamento per tutti i pensieri degli amici nei suoi confronti e dentro alla lettera c'era un bigliettino con su scritto "A cremazione avvenuta, vi comunico di essere morto il 12.XII.2003 - ore 17.30 c.". Segue la sua inconfondibile firma.

Manlio ha voluto essere vivo anche nel momento doloroso della morte e ha voluto essere ancora una volta presente ai suoi amici che ora si interrogano sul mistero della morte che però Manlio ha reso meno pesante da sopportare perché Manlio si è ribellato al protocollo dei riti funebri e io penso al momento in cui avrà scritto quel bigliettino dove aveva lasciato il posto perché qualcuno vi apponesse la data, lo avrà scritto immerso nella pace della sua campagna della quale conosceva i silenzi e il respiro, in quel silenzio che lo ispirava e che gli faceva uscire dal cuore parole cariche di poesia e di suggestione che poi regalava agli amici…

Fuori il freddo è riscaldato tenuemente dalle luminarie un po' chiassose ed arroganti di Natale che ci dondolano sulla testa consapevoli di non riuscire nell'intento di illuminare il buio che è dentro di noi, le sere sono però illuminate da Venere, bellissima "stella" della sera, vera luminaria del Natale insieme a Sirio e a Orione e a tutta la tremolante combriccola di stelle che fanno da corona all'inverno che sta per iniziare col suo inevitabile bagaglio di nebbie, di nevicate e dei soliti servizi giornalistici che ci informano del freddo e del gelo come se si trattasse di eventi fuori del comune quando da che mondo è mondo in questa stagione fa freddo eppure l'inverno ha anche il suo lato positivo perché dal "solstizio invernale" il Sole comincia piano ad alzarsi sull'orizzonte e ciò significa che le giornate prendono ad allungarsi.

Penso anche all'anno che sta per finire e agli avvenimenti culturali che non sono stati celebrati con sufficiente attenzione a cominciare dal centenario di Fernandel che ormai si è infilato dentro la tonaca di don Camillo e parla con la voce del pretone della bassa prestatagli da Carlo Romano (lo stesso che doppiava Jerry Lewis, tanto per capirci) e mi sembra che non si sia fatto granché nemmeno per i 250 anni della nascita di Ippolito Pindemonte che nel 1822 tradusse l'Odissea e che rispose ai "Sepolcri" di Foscolo con un'altra composizione intitolata ancora "Sepolcri" dimostrando per la verità non molta fantasia nel titolo e non si è ricordato nemmeno il terzo centenario della morte di Charles Perrault che ci ha deliziato tutti con "Cappuccetto rosso", "Cenerentola", "La bella addormentata", "Il gatto con gli stivali" e "Pollicino", ma forse non è più tempo di favole, le favole sono nuvole bianche che si dileguano quando fa buio perché ormai non c'è più nessuno che le racconta.

Oggi il mare era bellissimo, come sempre, e mentre ritornavo a casa avvolto dall'abbraccio della sera ho guardato lontano e mi è parso di vedere la vela di Manlio attorcigliata attorno all'albero maestro della vita, come un ombrellone chiuso per sempre in faccia al sole, e ho pensato con dolore a quanti hanno già sparso sulla grande spiaggia dell'eternità la sabbia delle loro clessidre e mi sono ricordato dell'eterno e delle morte stagioni, ma questo per la verità lo aveva già pensato il grande Giacomo, il poeta della Luna e della notte. La notte. Scrive Alphonse Daudet "Chi ha passato una notte all'aperto sa che in quelle ore nelle quali siamo soliti dormire, un mondo misterioso si desta nella solitudine e nel silenzio. Allora i ruscelli cantano con voce più chiara, gli stagni s'illuminano di tante fiammelle; tutti gli spiriti della montagna vanno e vengono liberamente, e vi sono nell'aria dei fruscii, dei rumori impercettibili, come se si sentissero crescere i rami degli alberi e l'erba spuntare. Il giorno è la vita degli esseri, la notte è la vita delle cose". Anche la notte, dunque, è vita. Per questo il Bambino Gesù ha scelto di nascere di notte. Buon Natale, amici.

Franco Gàbici

La citazione di Alphonse Daudet è tratta da "Lettres de mon moulin" (1869) e precisamente nel capitolo "Stelle".


Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 


 

 

 

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