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G iugno. Curzio Malaparte definì
questo mese “un mese profondo, il più profondo dei mesi”. Gli scrittori e i
poeti hanno fornito mirabili definizioni dei mesi e delle stagioni. Per Thomas
Eliot, ad esempio, aprile è “il più crudele dei mesi”, per Leopardi il maggio
è odoroso: “era il maggio odoroso: e tu solevi/così menare il giorno”)… se ne
potrebbe fare un calendario, dove ogni mese è cantato da un poeta. Un
calendario del genere difficilmente andrebbe ad abbellire la cabina di un Tir
o lo vedreste appiccicato a una parete di qualche officina. Però si potrebbe
tentare. Non si sa mai.
Continua Malaparte: “La notte fiumi di lucciole
scorrevano dolcemente nel grano, lasciando nell’aria un sapore di miele. La
mattina, dai campi di papaveri, si levava una nebbia rossa, una sonnolenza
vermiglia, che dava ai mietitori l’incerta e trasognata lentezza di gesti dei
sonnambuli. I boschi di cipressi e i canneti lungo il fiume risuonavano di
voci misteriose, le felicità dell’estate si annunziava con strani prodigi,
un’oscura magia dava moto e voce agli alberi, alle statue, alle case, ai
monti”. Sembra un quadro di Van Gogh.
Le lucciole. Come “’l villan ch’al
poggio si riposa” le ho ammirate l’altra sera a casa di amici, immerso nel
grande respiro della campagna, in una notte senza luna, zeppa di sapori e di
odori. La mosca, come disse ancora Dante, da poco aveva ceduto “a la zanzara”
e lo spettacolo sembrava quello della ottava bolgia che “di tante fiamme tutte
risplendea” e fra quella la fiammella biforcuta di Ulisse e Diomede.
In giugno
verrebbe quasi spontaneo parlare di quell’altro Ulisse, quello di James Joyce,
tanto più che il 16 giugno, il lungo giorno dell’Ulysses, è vicino. 16 giugno
1904, quest’altr’anno - ricorrenza centenaria di questa mitica data della
letteratura - chissà quanto se ne parlerà. Convegni, tavole rotonde,
dibattiti… ma parliamo delle lucciole e dei loro palpiti che vestono di poesia
la notte, le lucciole che ti riconducono sui sentieri del cuore che ti portano
dritto nel regno dell’infanzia, popolato di sogni e di fantasmi, dove bastava
un niente per trasformare un albero in un castello, come ricordava Luigi Tenco
coi versi: “e tu, mio caro e vecchio albero, tu sei stato il castello di un
regno e neppure lo sai, di un regno con un solo soldato che cacciava le
streghe, voleva cacciarle a sassate, di un regno che ogni giorno viveva di
mille e mille e mille c’era una volta”.
La mia generazione amava inserire
questo genere di canzoni dentro all’allegro repertorio dell’estate per
ricordare che la vita è anche tristezza e malinconia. Kierkegaard definì la
malinconia “l’isterismo dello spirito” e la considerò il residuo del
fallimento dell’andare incontro a noi stessi. “Divenir coscienti di se stessi
nel proprio eterno valore – scrive il grande danese – è il momento più
importante di tutta la vita”. E ancora: “la personalità vuole diventare
cosciente di sé nel suo eterno valore [e] se questo non accade, se il
movimento si ferma, e viene represso, subentra la malinconia”.
Da Malaparte siamo approdati a
Kierkegaard passando attraverso la poesia delle lucciole, che brillano nelle
notti estive, polvere di stelle che palpita fra il grano, lasciando nell’aria
un dolce sapore di miele. Come quello dei ricordi.
Franco Gàbici
Le considerazioni di Malaparte sul mese
di giugno si possono leggere nel bellissimo racconto “Primo sangue”, in C.
Malaparte, Opere scelte a cura di Luigi Martellini, Milano, Mondadori,
1997, p. 327.
La citazione di Eliot sul mese di
aprile è in “The vaste land”.
L’odoroso maggio di Leopardi si trova
nella canzone “A Silvia”.
I riferimenti all’ottava bolgia sono
tratti, ovviamente, dalla Divina Commedia e, precisamente, dal canto XXVI
dell’Inferno (il canto di Ulisse). I versi sono il 25 e il 31.Le riflessioni sulla malinconia sono
tratte da: S.Kierkegaard, “Aut aut”, Milano, Mondadori, 1969, p. 85 e 67.
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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