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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale


 

1 giugno 2003

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Giugno. Curzio Malaparte definì questo mese “un mese profondo, il più profondo dei mesi”. Gli scrittori e i poeti hanno fornito mirabili definizioni dei mesi e delle stagioni. Per Thomas Eliot, ad esempio, aprile è “il più crudele dei mesi”, per Leopardi il maggio è odoroso: “era il maggio odoroso: e tu solevi/così menare il giorno”)… se ne potrebbe fare un calendario, dove ogni mese è cantato da un poeta. Un calendario del genere difficilmente andrebbe ad abbellire la cabina di un Tir o lo vedreste appiccicato a una parete di qualche officina. Però si potrebbe tentare. Non si sa mai.

Continua Malaparte: “La notte fiumi di lucciole scorrevano dolcemente nel grano, lasciando nell’aria un sapore di miele. La mattina, dai campi di papaveri, si levava una nebbia rossa, una sonnolenza vermiglia, che dava ai mietitori l’incerta e trasognata lentezza di gesti dei sonnambuli. I boschi di cipressi e i canneti lungo il fiume risuonavano di voci misteriose, le felicità dell’estate si annunziava con strani prodigi, un’oscura magia dava moto e voce agli alberi, alle statue, alle case, ai monti”. Sembra un quadro di Van Gogh.

Le lucciole. Come “’l villan ch’al poggio si riposa” le ho ammirate l’altra sera a casa di amici, immerso nel grande respiro della campagna, in una notte senza luna, zeppa di sapori e di odori. La mosca, come disse ancora Dante, da poco aveva ceduto “a la zanzara” e lo spettacolo sembrava quello della ottava bolgia che “di tante fiamme tutte risplendea” e fra quella la fiammella biforcuta di Ulisse e Diomede.

In giugno verrebbe quasi spontaneo parlare di quell’altro Ulisse, quello di James Joyce, tanto più che il 16 giugno, il lungo giorno dell’Ulysses, è vicino. 16 giugno 1904, quest’altr’anno - ricorrenza centenaria di questa mitica data della letteratura - chissà quanto se ne parlerà. Convegni, tavole rotonde, dibattiti… ma parliamo delle lucciole e dei loro palpiti che vestono di poesia la notte, le lucciole che ti riconducono sui sentieri del cuore che ti portano dritto nel regno dell’infanzia, popolato di sogni e di fantasmi, dove bastava un niente per trasformare un albero in un castello, come ricordava Luigi Tenco coi versi: “e tu, mio caro e vecchio albero, tu sei stato il castello di un regno e neppure lo sai, di un regno con un solo soldato che cacciava le streghe, voleva cacciarle a sassate, di un regno che ogni giorno viveva di mille e mille e mille c’era una volta”.

La mia generazione amava inserire questo genere di canzoni dentro all’allegro repertorio dell’estate per ricordare che la vita è anche tristezza e malinconia. Kierkegaard definì la malinconia “l’isterismo dello spirito” e la considerò il residuo del fallimento dell’andare incontro a noi stessi. “Divenir coscienti di se stessi nel proprio eterno valore – scrive il grande danese – è il momento più importante di tutta la vita”. E ancora: “la personalità vuole diventare cosciente di sé nel suo eterno valore [e] se questo non accade, se il movimento si ferma, e viene represso, subentra la malinconia”.

Da Malaparte siamo approdati a Kierkegaard passando attraverso la poesia delle lucciole, che brillano nelle notti estive, polvere di stelle che palpita fra il grano, lasciando nell’aria un dolce sapore di miele. Come quello dei ricordi.

Franco Gàbici

Le considerazioni di Malaparte sul mese di giugno si possono leggere nel bellissimo racconto “Primo sangue”, in C. Malaparte, Opere scelte a cura di Luigi Martellini, Milano, Mondadori, 1997, p. 327. La citazione di Eliot sul mese di aprile è in “The vaste land”. L’odoroso maggio di Leopardi si trova nella canzone “A Silvia”. I riferimenti all’ottava bolgia sono tratti, ovviamente, dalla Divina Commedia e, precisamente, dal canto XXVI dell’Inferno (il canto di Ulisse). I versi sono il 25 e il 31.Le riflessioni sulla malinconia sono tratte da: S.Kierkegaard, “Aut aut”, Milano, Mondadori, 1969, p. 85 e 67.

 

Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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