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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale


 

14 settembre 2003

 

 

 

 

 

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La prima pagina dell’inserto domenicale del “Sole 24 ore” di domenica 7 settembre ospitava un lungo articolo di Gianfranco Ravasi sugli affreschi di Giotto della Cappella degli Scrovegni a Padova e l’articolo ha messo il dito sulla antica piaga del divario fra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, perché l’illustre articolista non ha fatto nessun cenno alla lettura “astronomica” della cappella degli Scrovegni che invece è interessantissima. D’accordo, non si può pretendere che uno sappia di tutto, ma sta di fatto che questa totale disinformazione è una eloquente spia del modo di fare cultura nelle nostre scuole, dove ogni professore zappa il proprio orto e tranne qualche rarissimo caso si disinteressa completamente di tutto quello che succede in quello vicino.
Cominciamo, allora, dalla Natività di Giotto, però prima facciamo un passo indietro. In un mosaico della basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, che è la mia città, è raffigurata una “Adorazione dei Magi” e l’anonimo artista ha rappresentato la “stella dei Magi” proprio con una stella. La stessa “stella” si trova in una delle formelle della famosissima “Cattedra d’avorio” dell’arcivescovo Massimiano conservata nel Museo arcivescovile di Ravenna e in genere tutte le antiche rappresentazioni del “fenomeno di Natale” sono proposte con una “stella”.
Nella Natività di Giotto, invece, sulla capanna di Betlemme è raffigurata  una cometa e il particolare merita attenzione perché da quel momento in poi (siamo all’inizio del Trecento) le “comete” hanno fatto la loro comparsa sui presepi di tutto il mondo. Perché? La spiegazione è molto semplice: mentre Giotto affrescava la Cappella padovana passò la cometa di Halley (1301) e la sua spettacolarità colpì il grande artista che ebbe così l’idea di inserirla sopra alla capanna nella sua Natività. E si tratta proprio della Halley come dimostrò il confronto fra la cometa giottesca e le prime foto della Halley scattate in occasione del penultimo passaggio del 1910 (l’ultimo passaggio, quello fra il 1985 e il 1986, fu una delusione cosmica perché fra tutte le epifanie della Halley fu il meno spettacolare, come se la cometa avesse voluto punire le spocchie di una umanità che si credeva di essere onnipotente)
Ma la Cappella degli Scrovegni presenta anche chiavi di letture al di fuori dei canoni dell’arte. Il mio amico Giuliano Romano, astronomo dell’Università di Padova nonché “archeoastronomo” di fama mondiale, ha dedicato a questa Cappella un interessantissimo studio per mettere in evidenza significati che sicuramente agli artisti sfuggono. Si verificano, infatti, dei giochi di ombre e di luci che ti lasciano veramente di stucco e che dimostrano che gli antichi architetti, prima di costruire un edificio, studiassero con grandissima attenzione la sua ubicazione mettendolo in relazione soprattutto con il movimento apparente del Sole. E così, ad esempio, nella Cappella degli Scrovegni c’è una finestra attraverso la quale la luce proietta sulla parete di fronte un rettangolo che si sposta lentamente fino ad illuminare completamente, fra le 10 e le 11, la porticina dalla quale entravano i signori Scrovegni per assistere alle funzioni.

Giuliano Romano fa notare anche un piccolo foro sopra a una finestra, un foro dall’apparenza insignificante e che invece una lettura “astronomica” rivela di grandissimo interesse. Il raggio di luce che passa attraverso questa apertura intorno all’8 settembre va ad illuminare una immagine della Madonna, mentre intorno al 25 marzo illumina il modellino della cappella che Enrico Scrovegni offre alla Vergine. E il volto di Enrico era invece illuminato il 15 agosto. Se consideriamo, allora, che le date citate fanno tutte riferimento a importanti feste dedicate alla Madonna (nascita, annunciazione e assunzione), riesce difficile concludere che si tratta di un puro caso e se fosse “combinazione” si tratta pur sempre di “combinazione” molto intrigante.
Ecco, se si insegnasse in questo modo la storia dell’arte, ne guadagnerebbero tutti e soprattutto si capirebbe che la cultura è una grande sintesi, che oggi purtroppo abbiamo sacrificato sull’altare della specializzazione. Tempo fa ho invitato l’amico Romano ad effettuare uno studio sull’orientamento dei famosi monumenti ravennati, tutti in linea con i criteri archeoastronomici. Proprio tutti quanti? No. Mi fece presente che una chiesa presentava delle stranissime anomalie. La chiesa, infatti, era stata costruita cinquant’anni fa, quando da tempo gli architetti avevano smarrito, purtroppo, il loro feeling con il cielo.

Franco Gàbici

Gli “archeoastronomi” sono degli astronomi particolari che studiano l’orientamento dei monumenti in connessione ai fenomeni celesti. È noto, ad esempio, che tutte le chiese hanno l’abside orientata a Est, con ovvio significato (il Sole simboleggia Cristo). Il Sole, però, non sorge sempre nello stesso punto. In inverno sorge molto più spostato verso Sud, mentre in estate sorge spostato verso Nord. Esattamente a Est lo troviamo solamente in occasione dei due equinozi (primo giorno di primavera e primo giorno d’autunno). Allora succede che certe chiese hanno l’abside orientate esattamente verso il punto dell’orizzonte dal quale si vede sorgere il Sole nel giorno in cui si celebra la festa del Santo al quale la Chiesa è dedicata.


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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 

 

 

 

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