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La prima pagina
dell’inserto domenicale del “Sole 24 ore” di domenica 7 settembre ospitava un
lungo articolo di Gianfranco Ravasi sugli affreschi di Giotto della Cappella
degli Scrovegni a Padova e l’articolo ha messo il dito sulla antica piaga del
divario fra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, perché
l’illustre articolista non ha fatto nessun cenno alla lettura “astronomica”
della cappella degli Scrovegni che invece è interessantissima. D’accordo, non
si può pretendere che uno sappia di tutto, ma sta di fatto che questa totale
disinformazione è una eloquente spia del modo di fare cultura nelle nostre
scuole, dove ogni professore zappa il proprio orto e tranne qualche rarissimo
caso si disinteressa completamente di tutto quello che succede in quello
vicino.
Cominciamo, allora,
dalla Natività di Giotto, però prima facciamo un passo indietro. In un mosaico
della basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, che è la mia città, è
raffigurata una “Adorazione dei Magi” e l’anonimo artista ha rappresentato la
“stella dei Magi” proprio con una stella. La stessa “stella” si trova in una
delle formelle della famosissima “Cattedra d’avorio” dell’arcivescovo
Massimiano conservata nel Museo arcivescovile di Ravenna e in genere tutte le
antiche rappresentazioni del “fenomeno di Natale” sono proposte con una
“stella”.
Nella Natività di
Giotto, invece, sulla capanna di Betlemme è raffigurata una cometa e il
particolare merita attenzione perché da quel momento in poi (siamo all’inizio
del Trecento) le “comete” hanno fatto la loro comparsa sui presepi di tutto il
mondo. Perché? La spiegazione è molto semplice: mentre Giotto affrescava la
Cappella padovana passò la cometa di Halley (1301) e la sua spettacolarità
colpì il grande artista che ebbe così l’idea di inserirla sopra alla capanna
nella sua Natività. E si tratta proprio della Halley come dimostrò il
confronto fra la cometa giottesca e le prime foto della Halley scattate in
occasione del penultimo passaggio del 1910 (l’ultimo passaggio, quello fra il
1985 e il 1986, fu una delusione cosmica perché fra tutte le epifanie della
Halley fu il meno spettacolare, come se la cometa avesse voluto punire le
spocchie di una umanità che si credeva di essere onnipotente)
Ma la Cappella degli
Scrovegni presenta anche chiavi di letture al di fuori dei canoni dell’arte.
Il mio amico Giuliano Romano, astronomo dell’Università di Padova nonché
“archeoastronomo” di fama mondiale, ha dedicato a questa Cappella un
interessantissimo studio per mettere in evidenza significati che sicuramente
agli artisti sfuggono. Si verificano, infatti, dei giochi di ombre e di luci
che ti lasciano veramente di stucco e che dimostrano che gli antichi
architetti, prima di costruire un edificio, studiassero con grandissima
attenzione la sua ubicazione mettendolo in relazione soprattutto con il
movimento apparente del Sole. E così, ad esempio, nella Cappella degli
Scrovegni c’è una finestra attraverso la quale la luce proietta sulla parete
di fronte un rettangolo che si sposta lentamente fino ad illuminare
completamente, fra le 10 e le 11, la porticina dalla quale entravano i signori
Scrovegni per assistere alle funzioni.
Giuliano Romano fa
notare anche un piccolo foro sopra a una finestra, un foro dall’apparenza
insignificante e che invece una lettura “astronomica” rivela di grandissimo
interesse. Il raggio di luce che passa attraverso questa apertura intorno
all’8 settembre va ad illuminare una immagine della Madonna, mentre intorno al
25 marzo illumina il modellino della cappella che Enrico Scrovegni offre alla
Vergine. E il volto di Enrico era invece illuminato il 15 agosto. Se
consideriamo, allora, che le date citate fanno tutte riferimento a importanti
feste dedicate alla Madonna (nascita, annunciazione e assunzione), riesce
difficile concludere che si tratta di un puro caso e se fosse “combinazione”
si tratta pur sempre di “combinazione” molto intrigante.
Ecco, se si insegnasse
in questo modo la storia dell’arte, ne guadagnerebbero tutti e soprattutto si
capirebbe che la cultura è una grande sintesi, che oggi purtroppo abbiamo
sacrificato sull’altare della specializzazione. Tempo fa ho invitato l’amico
Romano ad effettuare uno studio sull’orientamento dei famosi monumenti
ravennati, tutti in linea con i criteri archeoastronomici. Proprio tutti
quanti? No. Mi fece presente che una chiesa presentava delle stranissime
anomalie. La chiesa, infatti, era stata costruita cinquant’anni fa, quando da
tempo gli architetti avevano smarrito, purtroppo, il loro feeling con il
cielo.
Franco Gàbici
Gli “archeoastronomi”
sono degli astronomi particolari che studiano l’orientamento dei monumenti in
connessione ai fenomeni celesti. È noto, ad esempio, che tutte le chiese hanno
l’abside orientata a Est, con ovvio significato (il Sole simboleggia Cristo).
Il Sole, però, non sorge sempre nello stesso punto. In inverno sorge molto più
spostato verso Sud, mentre in estate sorge spostato verso Nord. Esattamente a
Est lo troviamo solamente in occasione dei due equinozi (primo giorno di
primavera e primo giorno d’autunno). Allora succede che certe chiese hanno
l’abside orientate esattamente verso il punto dell’orizzonte dal quale si vede
sorgere il Sole nel giorno in cui si celebra la festa del Santo al quale la
Chiesa è dedicata.
Simonelli Editore consiglia di leggere:
vorrei
parlarti del cielo stellato di Alessandra Tarabochia Canavero
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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