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La mia insegnante di scienze del liceo si
chiamava Carolina Moro Surdi, era originaria di Udine (classe 1890) ed era
terribile. Pensate, era riuscita là dove mezzo corpo insegnanti era ignobilmente
naufragato mi aveva costretto a studiare! E grazie a lei, oggi so che le Isole
di Langerhans non sono la meta turistica dell’estate, per la semplice ragione
che non sono isole geografiche, ma delle formazioni anatomiche che stanno dentro
al pancreas per produrre l’insulina. Ma scommetto che se in uno di quei salotti
mondani dove l’ignoranza viene prodotta in quantità industriale io dicessi che
sono stato in vacanza alle Langerhans perché ormai è diventata una moda,
scommetto l’osso del collo che incontrerei l’imbecille di turno che mi informa
che queste isole son proprio carine perché lui, battendo tutti sull’anticipo, ci
è già stato.
E poi mi ha insegnato un sacco di altre cose,
tutte utilissime nella vita. Che fra i protozoi ci sono i "foraminiferi" (dalla
struttura calcarea) e i "radiolari" e che esistono due tipi di meduse, le "craspedote"
e le "acraspedote". Andate a consultare una enciclopedia e verificate che non vi
sto raccontando delle balle. E sto citando tutto a memoria. Mi sento un
trapezista che volteggia in aria senza avere la rete sotto.
Potrei andare avanti all’infinito a sfoggiare informazioni di
scienze. Nel cuore dei coccodrilli c’è un forellino (e qui mi viene in mente la
canzone "Via Broletto" di Sergio Endrigo, che racconta piacevolmente l’amena
storiella di uno che fa fuori la sua bella "ma proprio sotto al cuore, ha un
forellino rosso, rosso come un fiore. Sono stato io, mi perdoni Iddio, ma sono
un gentiluomo e a nessuno dirò il perché"), ecco, tutte le volte che ascolto
"Via Broletto" mi viene in mente la Moro e il "forellino" che sta dentro al
cuore dei coccodrilli e che si chiama, se proprio lo volete sapere, il "foro di
Panizza".
Le tenie, invece, sono fatte a segmenti chiamati
"proglottidi", mentre nella testa hanno degli uncini che si chiamano "scolici" e
che servono per attaccarsi alle pareti dell’intestino. Lo "sfenoide", invece, è
un osso che sta dentro alla scatola cranica, ha la forma di una farfalla e dove
potrebbe esserci la testa della farfalla c’è una cavità, la "sella turcica",
sulla quale è ospitata la "glandola pituitaria" o ipòfisi.
Mi viene in mente tutto questo perché in questa torridissima
estate le cicale friniscono a tutto vapore (è una bella immagine di Gadda,
tratta da "La cognizione del dolore") e le cicale, ai miei tempi, erano
catalogate come "rincoti". Mentre, però, mi davo da fare a sfoggiare le mie
conoscenze entomologiche, un’amica che evidentemente ne sapeva più di me mi fece
presente che ora non è più così e allora stai a vedere che aveva proprio ragione
Leo Longanesi quando dichiarava "tutto quello che non so l’ho imparato a
scuola", una affermazione che sta agli antipodi di quella che De Amicis mise
sulla bocca del suo scolaro che alla fine dell’anno scolastico è tutto fremente
di riconoscenza nei confronti della scuola "io ripenso a quello
che sapevo l’ottobre scorso, e mi par di sapere assai di più ci ho tante cose
nuove nella mente (...) sono contento...". Diversità dei punti di vista.
Ma torniamo ai "rincoti" e alle cicale, eterno emblema della
imprevidenza. La cicala, la "beffarda cicala" che assorda le campagne ("e nel
meriggio le campagne sole/assorda la cicala") canta e non pensa all’inverno,
mentre la formica, evidentemente più previdente, mette fieno in cascina. Poi, in
pieno inverno, la cicala infreddolita va a bussare alla porta del formicaio per
mendicare un pezzo di pane e la formica la manda a quel paese. E vissero felici
(le formiche, ovviamente) e contente. Le cicale un po’ meno. Ci hanno tirato su
con queste storie, con la morale spicciola che premiava il lavoro, sul quale è
fondata la nostra Repubblica. E qui mi viene di nuovo in mente Longanesi quando
diceva che una repubblica fondata sul lavoro non pensa altro che al riposo.
Sarà per questo che in giro c’è così poca voglia di lavorare.
Pensavo alle cicale che in questi giorni di grande caldo ancora a mezzanotte se
ne stanno a sbattere le elitre, alla faccia di Antonio Fogazzaro che scriveva
"il sole era tramontato e le cicale non cantavano più". E invece cantano eccome
e il loro "stridulo" canto sembra tritare il tempo insieme ai ricordi che
vorremmo dimenticare.
Chiudo con questo bel paesaggio di Alfredo Oriani, scrittore
della mia terra "Il sole stesso è immobile la sua grande pupilla di leone ha un
dardeggiamento insopportabile, una fissazione dissolvente. E per la solitudine
silenziosa le cicale invisibili rumoreggiano come per coprire discretamente
l’anelito di qualche parola, intanto che le messi ondulano, le piante
sonnecchiano, gli animali riposano, il sole guarda, il vento sospira, e l’ombra
si allunga adagio. Quindi un fremito passa per tutta la natura...".
Franco Gàbici
La citazione di De Amicis è tratta ovviamente da "Cuore" (capitolo 95. "Grazie!").
La "beffarda cicala" è tratta da un verso di Giovanni Camerana "e sprona
intanto lo ardor già soverchio/la beffarda cicala" (G. Camerana, La canicola, vv. 5-6).
I versi riferiti alla cicala che assorda le campagne sono di Giosuè Carducci
("Rosa e fanciulla", vv. 9-10). A proposito lo sapevate che Carducci non
tollerava che Giosuè fosse scritto con l’accento sulla "e"? La citazione di
Fogazzaro è da "Malombra", parte 1, cap. 3.1.
Il passo di Alfredo Oriani è tratto da "Quartetto, Violoncello, 3".
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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