o chiuso
l’ultima mia "Bollicina" con un riferimento alla Luna e riattacco di nuovo con
il nostro satellite perché mentre sto scrivendo è tutto pieno della luce del
plenilunio. Sulla Luna piena ci sarebbe da parlare all’infinito. Il plenilunio
ha un fascino tutto particolare e nessuna anima sensibile rimane indifferente
quando è bagnata dall’argento della Luna. Non parliamo poi dei poeti, che con la
Luna hanno un feeling tutto particolare. Ma anche i musicisti non sono da meno.
Ascoltate la "Suonata al chiaro di luna" di Beethoven e poi ditemi se non ho
ragione. Gli arpeggi iniziali in "do diesis minore" sono veramente la fine del
mondo e ascoltarli alla luce della Luna costituisce una esperienza veramente
forte.
Consiglio i miei quattro lettori di andare a scovare i
"Racconti" di Dino Buzzati e leggere d’un fiato "Plenilunio", che viene definito
in questo modo:
"Era una delle cose più perfette inventate dalla natura e
dall’uomo (e dico dall’uomo perché la luce di luna sulle case monumenti, ruderi,
strade è molto più conturbante che negli ambienti selvaggi, deserti, montagne,
savane, greti di fiume). E non costava una lira...".
Andatevi a leggere gli interrogativi che si pone Buzzati
davanti al plenilunio ("che trasforma le povere parvenze del giorno in un
paradiso in cui sarebbe bello naufragare per sempre"):
"Perché? Perché questa bellezza senza rimedio, struggente
trasfigurazione del mondo, poesia allo stato puro? Perché? Da dove viene? Dal
silenzio? Dall’immobilità sepolcrale delle cose? Dalla particolare luminescenza
che assumono gli oggetti, gli edifici, i paesaggi? Dal fremito impercettibile
della luce lunare sul prato, sulle piante, sui muri, sulla campagna intorno?
Dalla sterminata pace? Dall’intensità esagerata delle ombre, vive e tenebrose
come l’abisso di cui mai vedremo il fondo, dove un giorno precipiteremo? Non
basta. Dal senso di mistero, allora? Ma che cosa significa mistero? Non se ne fa
un continuo abuso? Dalla presenza, forse, alla base dei cespugli, dove il buio è
più nero (e contemporaneamente nelle cavità deserte delle soffitte), la presenza
di vecchi spiriti, elfi, gnomi, piccole fate, rospi, negromanti e profeti?
Ma gli spiriti, purtroppo, non esistono. O dalla presenza
invisibile, quieta, rassegnata, senza amarezza né rampogne, dei nostri morti, di
tutti quanti col mio stesso nome vissero in questa casa, e la amarono, e,
sprofondati nel nulla durante il giorno, ora al richiamo dell’amica luna, la
quale mutata non è mai, riaffiorano dalle pietre e dalla terra, e si distendono,
lieve coltre di fosforescente nebbia, sul prato dove anch’essi giocarono
bambini?".
Valeva la pena questa lunghissima citazione, una profonda
meditazione che richiama il Leopardi quando scrive:
"si spiega perché piaccia la luce del sole o della luna,
veduta in luogo dov’essi non si vedano e non si scopra la sorgente della luce;
un luogo solamente in parte illuminato da essa luce; il riflesso di detta luce,
e i vari effetti materiali che ne derivano".
Poi arriva il giorno e con esso sparisce come per incanto la
poesia della Luna.
Avete mai osservatro la Luna "a giorno alto", si chiedeva
Alfredo Oriani? "Invece di un astro pare un cencio, un avanzo di quegli aquiloni
di carta che i fanciulli lasciano di marzo salire nel cielo". Ma per fortuna dei
poeti la notte ritorna, scura colomba che reca nel becco il ramoscello dolce
della poesia.
Franco Gàbici
Il racconto Plenilunio di Dino Buzzati si trova in D.Buzzati, Le notti
difficili, Milano, Mondadori, 19863, pp. 309-313.
La citazione di Leopardi è tratta dallo Zibaldone, 20 settembre 1821, p.
1744.
Il brano di Alfredo Oriani si legge in Quartetto. Violino.
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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