Qualche "bollicina" fa ho parlato del grande Tazio Nuvolari perché quest'anno
ricorrono i cinquant'anni della sua morte, avvenuta nell'agosto del 1953. Sto
veleggiando a tutto vapore verso la centesima "bollicina" e non credo di essermi
mai ripetuto negli argomenti (se l'ho fatto, l'ho fatto sicuramente in buona
fede) e credo di non aver mai riempito una "bollicina" della stessa aria con cui
ho gonfiato tutte le altre. Ma questa volta faccio, come si dice, uno strappo
alla regola, e ritorno a parlare di Nuvolari dopo aver letto quanto scrisse su
di lui, il 7 settembre 1956, il giornalista Orio Vergani (1892-1960) del quale
ho appena terminato di leggere il suo straordinario diario intitolato "Misure
del tempo", curato da Nico Naldini per le edizioni Baldini & Castoldi.
Quanto vi dirò adesso non c'entra nulla con Nuvolari, ma mi
sento in dovere di consigliare ai miei lettori (ammesso che ne abbia) di leggere
questo diario di Vergani che, al di là dei giudizi che si possono leggere nella
quarta di copertina (da Montanelli ad Afeltra, da Ajello a Petacco), merita
veramente di essere letto. È un libro che suscita emozioni, che diverte, che
intenerisce, che commuove e che mette in contatto il lettore con personaggi che
appartengono ormai al mito. Sono arrivato all'ultima pagina di questo diario (la
numero 578) col dispiacere di vedere in quella successiva l'indice dei nomi, a
dimostrazione che il libro, purtroppo, era da considerare veramente finito.
Peccato! Peccato davvero!
E ora torniamo a Nuvolari e a questa tenerissima pagina che
Vergani ci regala a ricordo del campione. Nuvolari è seduto su una panchina e
sta osservando il lago di Garda. I grandi laghi hanno sempre qualcosa di
malinconico, come se quell'acqua calma e tranquilla fosse consapevole di non
poter mai eguagliare il grande poema del mare. Vergani ha appena ordinato ai
suoi ragazzi di andare a prendere il gelato e di lasciarli soli. "Ma non
desideravo che Nuvolari vedesse i miei ragazzi. Avevano l'età che, un giorno,
avevano avuto i suoi. Non volevo che, ripartendo per Mantova, il padre infelice
avesse davanti agli occhi l'immagine di un padre felice, come ero io". Un
crudelissimo destino, infatti, gli aveva strappato due figli.
Poi su questo scenario sorge lenta la luna: "Su quella
panchina, parlavamo a bassa voce davanti al silenzio del lago. La luna sorgeva
al di là della spalla del monte Baldo...". Quella Luna che aveva messo nel cuore
di Tazio la voglia di correre, quella Luna "che fa biancheggiare i lunghi
rettifili della campagna attorno a Mantova", quella Luna che nel leopardiano
silenzio di una campagna che sembra non finire mai dava il senso del tempo e del
suo trascorrere. "La luna - mi raccontava Tazio - viaggiava dietro ai pioppi e
l'ombra degli alberi, nero su bianco, disponeva sulla strada come i segni di una
strana misura in bianco e nero. Un albero ogni dieci, ogni venti metri e, così,
da un'ombra all'altra, una misura precisa la scala della velocità". E fu durante
una di queste notti che a Tazio venne voglia di mettersi a correre dentro
all'argento della Luna. Salì su una macchina, una "Hupmobile che puzzava di
petrolio come la lanterna di un sagrestano" e via, a quaranta all'ora (proprio
così!), "e nella corsa, si facevano sempre più rapidi i passaggi dall'ombra
degli alberi alle strisce del chiarore lunare...".
Nacque così, sotto il chiaro di Luna, la voglia di correre di
Tazio, che quel giorno, insieme a Vergani, "guardava la sera scendere morbida e
pigra sul lago". Scrivo tutto questo in una caldissima giornata di Sole. Ma ho
gli occhi ancora pieni della Luna che ho visto ieri sera brillare sul mare, a
quasi tre chilometri dalla riva, all'estremità di una diga che penetra dentro al
poema del mare come una spada. E guardando la Luna ho pensato a Nuvolari, al suo
mito, ai suoi due ragazzi, come quelli di Vergani, come i miei... ho pensato a
quel gesto tenero di Vergani, a quel gelato che allontanava i suoi ragazzi da un
padre che non aveva più nulla da chiedere alla vita che tutto a un tratto si era
fatta vuota. "Io non sapevo, allora - confidava Tazio a Vergani - le storie
degli eroi che salgono alla luna con un cavallo alato... Ma in quella notte mi
sembrò di salire alla luna". Tazio Nuvolari è anche questo, un uomo che fa tutt'uno
con l'atmosfera malinconica di un lago.
Franco Gàbici
Il ricordo di Tazio Nuvolari si trova alle pagine 436-438
di "Misure del tempo" (Baldini & Castoldi, 2003).
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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