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La catena / è la misura del mio passo...
Versi di Carolina Carlone, di una poetessa di Ravenna che
meriterebbe di essere scoperta da chiunque ami la vera poesia.
M i sono sempre
inchinato davanti ai poeti e al loro stupendo mestiere che riesce a cavar fuori
del buon sangue dalla rapa delle parole, quelle stesse che usa la massaia quando
va a fare la spesa e chiede un chilo di pane o un caspo di broccoli, quelle
stesse che usa il politico per intortare il proprio elettorato, quelle stesse
che usano Biscardi e i suoi giurati nelle sedute del loro agorà sportivo fatto
di interminabili dialoghi e di sovrumani chiacchiericci, insomma intendo dire le
parole di tutti i giorni che come tantissime particelle elementari attraversano
le misteriose fenditure dell’anima per uscirne opportunamente diffratte secondo
le regole di uno “scattering” poetico che trasforma tutto come una bacchetta
magica. Sì, per darmi un po’ di importanza mi sono un po’ lasciato andare alle
mie reminescenze fisiche che mi hanno evocato sudate carte zeppe di formule e di
astruserie matematiche che dopo tutto erano anche piacevoli e avevano in sé il
fascino
dell’eleganza, come l’equazione di Schroedinger, ad esempio, una roba che ti
lascia secco però, se la guardi, non puoi dire che sia brutta, anzi, ti
affascina come se fosse l’opera di un’artista e se non ci credete andate a
consultare un
manuale di meccanica quantistica e poi ditemi se non ho ragione.
Ma torniamo ai poeti perché non voglio affatto pallainfrascarmi bensì parlarvi
di una amica che ha recentemente pubblicato un volume di poesia che si intitola
“Ponti mobili”. Non è il primo per la verità perché Carolina, così si chiama
questa amica, ha già al suo attivo altri volumi, che puntualmente mi offre e che
io puntualmente leggo perché la sua poesia mi avvolge e mi intriga.
Non sono un critico, ma quando una poesia o un’opera d’arte mi piacciono sento
dentro di me flussi misteriosi che trasmigrano da una parte all’altra del corpo
scombussolando neuroni e sinapsi e tutto il mio interiore internet personale,
insomma mi succede quello che capita a Jerry Lewis in “Hollywood or bust!” (Paramount
Vistavision del 1956 con tanto di regia di Frank Tashlin, detto Tish-Tish,
ultimo film della premiata coppia Lewis&Martin, ragazzi se non è cultura
questa…) e dunque dicevo che mi capita quello che succede a Jerry quando afferma
di sentire in arrivo la fortuna, che si epifaneggia attraverso tutta una serie
di “tic tac”, di “ticchettii” e di “scosse”, beh anche a me succede qualcosa del
genere insomma, tutta sta tiritera di parole per dirvi che la poesia di Carolina
mi piace, i suoi ultimi versi hanno un fascino tutto particolare perché sono
immersi dentro a Ravenna (che è la nostra città, mia e di Carolina intendo
dire), che emerge come uno scenario irreale e allucinato e così le sue
basiliche, il suo mare e i suoi luoghi diventano le quinte di uno sfondo dove il
cuore cammina randagio, ma forse non sono riuscito ad appiccicare sulla carta
(anzi “sul video”, perché la carta non esiste più) queste mie emozioni e allora
sentite Carolina come descrive i riverberi di un tramonto dentro a una delle
nostre più famose basiliche, San Vitale per essere precisi (eretta da Giuliano
Argentario per ordine dell’arcivescovo Ecclesio nel VI secolo), ecco dunque cosa
scrive Carolina:
“Dal presbiterio, dalla veste del Cristo, folgoravano le iniziali della Vita
mentre a poderose bracciate il tramonto si era messo a correre lungo le pareti.
Lanciando i suoi ami scintillanti attraverso l’alabastro, si aggrappava ai
battiti d’ali delle tortore, al collarino svolazzante del parrocchetto, ai
ricami tremanti del marmo Proconneso. Sollevò la testa un pavone azzurro per
seguire nel mio guizzo d’occhi quella raffica che piegava come canna l’oro delle
pietre e stropicciava ogni porpora…”.
E poi sentite questi versi:
La catena
è la misura del mio passo…
oppure:
Lo zolfo non si dissolve
nel mare
come le paure nel sogno
perché io lo affido
alle acque del Canale
che come un fiume sacro
purifica e conduce al largo
ogni cenere…
Qui avverto forte una ecologia dei sentimenti, col mare che purga ogni cosa e la
purifica nel grande lavacro, ecco, questa è la poesia di Carolina, che mette in
fila le parole che usiamo tutti noi e che alla fine ci troviamo fra le mani
trasformate in poesia. È questo il mistero delle parole che mi regala Carolina
quando scrive poesie e credo sia proprio bello essere poeti specie in un mondo
in cui la poesia è apprezzata e poco capita perché ormai la tecnologia ha
trasformato tutto in prosa e non rispetta più nemmeno i fiori, come apprendo da
una notizia letta sul quotidiano dove si dice che si sta lavorando a certe
tecnologie per far sbocciare i fiori col telecomando, che schifo ragazzi,
pensate un po’, la donzelletta vien dalla campagna recando il suo bel mazzo di
rose e di viole e magari nella sua catabasi precipitosa al piano perde per
strada tutti i fiori sicché giunta in piazza a Recanati trova Leopardi che le
dice e adesso come la mettiamo che hai perso per strada le rose e le viole, ma
per fortuna arriva il genietto della lampada che armato di telecomando fa
zàcchete ed ecco comparire come per incanto le rose e le viole. Così la poesia è
salva e Giacomo è soddisfatto. Poi, però, vai ad annusare le rose e le viole e
scopri che non hanno profumo. E qui ci starebbe bene la morale, ma è talmente
lapalissiana che ve la risparmio. Fine della fantastoria.
Franco Gàbici
“Ponti
Mobili” di Carolina Carlone è stato stampato in 300 esemplari numerati, dei
quali a me è toccato in sorte il numero 61. Chi fosse curioso di saperne di più
può consultare il sito
www.carolinacarlone.it.
Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della
cognizione di
Franco Gàbici
Basta una e-mail a ed@simonel.com per
riceverlo comodamente a casa contrassegno
Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
Editore, 2002) .
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