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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

Ravenna, 1 febbraio 2004

 

 

 

 

 

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La catena / è la misura del mio passo...
Versi di Carolina Carlone, di una poetessa di Ravenna che meriterebbe di essere scoperta da chiunque ami la vera poesia.

Mi sono sempre inchinato davanti ai poeti e al loro stupendo mestiere che riesce a cavar fuori del buon sangue dalla rapa delle parole, quelle stesse che usa la massaia quando va a fare la spesa e chiede un chilo di pane o un caspo di broccoli, quelle stesse che usa il politico per intortare il proprio elettorato, quelle stesse che usano Biscardi e i suoi giurati nelle sedute del loro agorà sportivo fatto di interminabili dialoghi e di sovrumani chiacchiericci, insomma intendo dire le parole di tutti i giorni che come tantissime particelle elementari attraversano le misteriose fenditure dell’anima per uscirne opportunamente diffratte secondo le regole di uno “scattering” poetico che trasforma tutto come una bacchetta magica. Sì, per darmi un po’ di importanza mi sono un po’ lasciato andare alle mie reminescenze fisiche che mi hanno evocato sudate carte zeppe di formule e di astruserie matematiche che dopo tutto erano anche piacevoli e avevano in sé il fascino dell’eleganza, come l’equazione di Schroedinger, ad esempio, una roba che ti lascia secco però, se la guardi, non puoi dire che sia brutta, anzi, ti affascina come se fosse l’opera di un’artista e se non ci credete andate a consultare un manuale di meccanica quantistica e poi ditemi se non ho ragione.
Ma torniamo ai poeti perché non voglio affatto pallainfrascarmi bensì parlarvi di una amica che ha recentemente pubblicato un volume di poesia che si intitola “Ponti mobili”. Non è il primo per la verità perché Carolina, così si chiama questa amica, ha già al suo attivo altri volumi, che puntualmente mi offre e che io puntualmente leggo perché la sua poesia mi avvolge e mi intriga.
Non sono un critico, ma quando una poesia o un’opera d’arte mi piacciono sento dentro di me flussi misteriosi che trasmigrano da una parte all’altra del corpo scombussolando neuroni e sinapsi e tutto il mio interiore internet personale, insomma mi succede quello che capita a Jerry Lewis in “Hollywood or bust!” (Paramount Vistavision del 1956 con tanto di regia di Frank Tashlin, detto Tish-Tish, ultimo film della premiata coppia Lewis&Martin, ragazzi se non è cultura questa…) e dunque dicevo che mi capita quello che succede a Jerry quando afferma di sentire in arrivo la fortuna, che si epifaneggia attraverso tutta una serie di “tic tac”, di “ticchettii” e di “scosse”, beh anche a me succede qualcosa del genere insomma, tutta sta tiritera di parole per dirvi che la poesia di Carolina mi piace, i suoi ultimi versi hanno un fascino tutto particolare perché sono immersi dentro a Ravenna (che è la nostra città, mia e di Carolina intendo dire), che emerge come uno scenario irreale e allucinato e così le sue basiliche, il suo mare e i suoi luoghi diventano le quinte di uno sfondo dove il cuore cammina randagio, ma forse non sono riuscito ad appiccicare sulla carta (anzi “sul video”, perché la carta non esiste più) queste mie emozioni e allora sentite Carolina come descrive i riverberi di un tramonto dentro a una delle nostre più famose basiliche, San Vitale per essere precisi (eretta da Giuliano Argentario per ordine dell’arcivescovo Ecclesio nel VI secolo), ecco dunque cosa scrive Carolina:
“Dal presbiterio, dalla veste del Cristo, folgoravano le iniziali della Vita mentre a poderose bracciate il tramonto si era messo a correre lungo le pareti. Lanciando i suoi ami scintillanti attraverso l’alabastro, si aggrappava ai battiti d’ali delle tortore, al collarino svolazzante del parrocchetto, ai ricami tremanti del marmo Proconneso. Sollevò la testa un pavone azzurro per seguire nel mio guizzo d’occhi quella raffica che piegava come canna l’oro delle pietre e stropicciava ogni porpora…”.


E poi sentite questi versi:

La catena
è la misura del mio passo…

oppure:

Lo zolfo non si dissolve
nel mare
come le paure nel sogno
perché io lo affido
alle acque del Canale
che come un fiume sacro
purifica e conduce al largo
ogni cenere…

Qui avverto forte una ecologia dei sentimenti, col mare che purga ogni cosa e la purifica nel grande lavacro, ecco, questa è la poesia di Carolina, che mette in fila le parole che usiamo tutti noi e che alla fine ci troviamo fra le mani trasformate in poesia. È questo il mistero delle parole che mi regala Carolina quando scrive poesie e credo sia proprio bello essere poeti specie in un mondo in cui la poesia è apprezzata e poco capita perché ormai la tecnologia ha trasformato tutto in prosa e non rispetta più nemmeno i fiori, come apprendo da una notizia letta sul quotidiano dove si dice che si sta lavorando a certe tecnologie per far sbocciare i fiori col telecomando, che schifo ragazzi, pensate un po’, la donzelletta vien dalla campagna recando il suo bel mazzo di rose e di viole e magari nella sua catabasi precipitosa al piano perde per strada tutti i fiori sicché giunta in piazza a Recanati trova Leopardi che le dice e adesso come la mettiamo che hai perso per strada le rose e le viole, ma per fortuna arriva il genietto della lampada che armato di telecomando fa zàcchete ed ecco comparire come per incanto le rose e le viole. Così la poesia è salva e Giacomo è soddisfatto. Poi, però, vai ad annusare le rose e le viole e scopri che non hanno profumo. E qui ci starebbe bene la morale, ma è talmente lapalissiana che ve la risparmio. Fine della fantastoria.

Franco Gàbici

“Ponti Mobili” di Carolina Carlone è stato stampato in 300 esemplari numerati, dei quali a me è toccato in sorte il numero 61. Chi fosse curioso di saperne di più può consultare il sito www.carolinacarlone.it.


Simonelli Editore consiglia di leggere:
Gadda - Il dolore della cognizione  di Franco Gàbici
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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 


 

 

 

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