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di memoria, cultura e molto altro...




Rubrica ad aggiornamento settimanale

17 gennaio 2004

 

 

 

 

 

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Due anniversari per il mitico Nicolò Carosio
50 anni dalla sua prima telecronaca e
già venti dalla scomparsa.

"Amici sportivi italiani in ascolto, qui è Nicolò Carosio che vi parla e vi saluta…” il cavallo randagio della memoria ha immerso le froge dentro alla greppia degli anni Quaranta del secolo scorso e ha ripescato fra le biade e le lupinelle del tempo questa voce che metteva in azione “staffe”, “incudini” e “martelletti” col tipico fruscio di sottofondo delle radio, quando la voce del cronista stuzzicava la fantasia e ci abituava all’esercizio dell’immaginazione, costruendo scenari e situazioni che poi la televisione, con la prosa delle immagini, ha distrutto come neve al sole.
Ero bambino a quei tempi e ricordo che l’estate assolata mi portava l’odore caldo del mare e la fatica del giro ciclistico di Francia, il mitico tour, che nel pomeriggio veniva raccontato alla radio da Ferretti, quello dell’uomo solo al comando. Ed era proprio così, i radiocronisti entravano in cronaca per approssimazioni successive e con diversi blow-up, mica ti dicevano subito che Coppi pedalava solitario in testa, macché, prima ti facevano lavorare con la fantasia con sintagmi del tipo “un uomo arranca sulla salita” e magari spendevano due parole
sul paesaggio e sulla fatica del pedalare, poi si passava alla descrizione dell’abbigliamento, “la sua maglia è tricolore” oppure “è bianco celeste” (erano i colori della Bianchi, la casa sportiva del Campionissimo), e infine quando già il cuore palpitava di entusiasmi patriottici ti sparava il nome “il suo nome è Fausto Coppi!”.
Ecco che cos’erano allora le radiocronache e se oggi le metto dentro a una “bollicina” è per ricordare il mitico radiocronista Nicolò Carosio, la prima voce del calcio, che in questo 2004 celebra due ricorrenze, la morte avvenuta a Milano vent’anni fa (1984) e i cinquant’anni della prima telecronaca in diretta di una partita di calcio.
Era il 24 gennaio 1954 e la platea dei telespettatori era rappresentata da pochi intimi. Carosio, insieme a Vittorio Veltroni (responsabile del primo telegiornale, ma soprattutto “scopritore” di Mike Bongiorno al quale affidò il programma “Arrivi e partenze”) e Carlo Bacarelli (primo “mezzobusto” della Rai) raccontò Italia-Egitto, che finì con lo schiacciante successo degli azzurri per cinque reti a uno. Si giocava a Milano con questa formazione Costagliola; Magnini, Cervato (Ballacci); Chiappella, F.Rosetta, Segato; Muccinelli, Ricagni, Boniperti, Pandolfini, Frignani.
Si è sempre detto che Carosio tessesse le sue radiocronache indipendentemente dagli accadimenti sul prato sicché le partite erano due, quella vera e quella raccontata da lui che magari senza saperlo aveva inventato la prima cronaca “virtuale” e poi si è sempre detto che la televisione abbia scoperto le sue magagne, ma tutto questo mi sembra ingiusto perché Carosio è e resterà sempre un mito e i miti bisogna accettarli così come sono e comunque le sue radiocronache, con o senza il “quasi gol”, sono pur sempre da preferire alle telechiacchierate che impidocchiano lo schermo dove non basta un solo telecronista perché occorre il supporto del commento tecnico (il cronista dice entra in area, tiro, fuori di un metro; il commento tecnico se avesse centrato la porta avrebbe fatto gol. Della serie “se mia nonna avesse avuto le ruote…”) e poi c’è il collegamento a bordo campo, e quello dal sottopassaggio e magari arriverà il giorno in cui, come in “Viaggio allucinante”, miniaturizzeranno una troupe e la ficcheranno dentro allo stramaledetto pallone così potrà racconterà l’evento con una “dirtetta” che più diretta non si può). Io, se proprio volete saperlo, preferivo la cronaca poco chiacchierata.
Una volta ebbi modo di rivedere lo spareggio Bologna-Inter per lo scudetto 1963-1964, vinto dal Bologna per 2 a 1, e il telecronista dall’Olimpico, manco a dirlo, era proprio Carosio. Mi ero quasi deciso a portare a riparare il televisore perché pensavo si fosse guastato l’audio e invece Carosio si limitava a citare il nome dei giocatori, Perani, Bulgarelli, Haller, Nielsen… rete, rete, ha segnato Nielsen, tutto qui, ma che fascino ragazzi. Adesso ogni azione di gioco viene interpretata e sul calcio si riesce a fare perfino della filosofia. Carosio era anche un impulsivo e una volta il suo tifo per i nostri colori gli costò l’allontanamento dai microfoni. Fu durante i mondiali in Messico del 1970 quando se la prese con un “guardialinee” etiope che aveva segnalato un fuori gioco a suo parere inesistente e lo apostrofò chiamandolo con disprezzo “l’etiope”. Ne venne fuori un caso internazionale e i papaveri della Rai (i cui epigoni oggi tollerano programmi da nettezza urbana e ostentazioni scollacciate) lo sospesero all’istante.
Ma Carosio resterà sempre Carosio. Nel novembre del 2000 gli hanno pure dedicato una targa nello stadio La Favorita di Palermo e l’allora sindaco Orlando lanciò pure l’idea di innalzare un monumento alla “prima voce del calcio italiano”. Grande Nicolò! La sua voce accompagnava le telecronache ancora in bianco e nero e mentre il “cuoio” rimbalzava sul prato lui trasformava l’evento sportivo in un elzeviro. La “voce” di Carosio rimarrrà per sempre nella colonna sonora degli anni beati e il suo personalissimo stile resterà comunque irripetibile. Del resto, con un nome così, non poteva essere diversamente. Anche suo illustre omonimo, infatti, era solito non ripetersi (con il violino) perché la seconda legge della termodinamica non consente di bagnarsi due volte nella stessa acqua. Peccato!

Franco Gàbici

Martelletti, incudini e staffe non son robe da maniscalchi, ma tre ossicini che stanno dentro all’orecchio e che le mie reminiscenze liceali indicano come i responsabili del nostro sentire.

In Italia-Egitto aprì le marcature Pandolfini al primo minuto. Poi pareggiò l’Egitto. Nella ripresa, come si dice in “calcese”, gli azzurri dilagarono,con reti di Frignani, Ricagni e una “doppietta” di Boniperti.

“Viaggio allucinante” è il titolo di un famosissimo film di fantascienza che uscì nel 1966 per la regia di Richard Fleischer.

Il neologismo “mezzobusto” fu coniato da Sergio Saviane e apparve per la prima volta in un servizio a stampa nel 1971.


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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002) .

 


 

 

 

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