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201 Ravenna, 29 Giugno 2006
Siete tra quelli che
vivono intellettualmente al livello delle formiche?
Molta gente vive intellettualmente al
livello delle formiche e con questa affermazione so di far torto ai
laboriosi imenotteri (da ymen = membrana e pteron = ala e infatti le
formiche possiedono quattro ali membranose), ma tant’è e se non ci
credete provate a chiedere al primo che passa per la strada se conosce
Banfi e se non avete avuto la fortuna di esser incappati in un
professore universitario vi sentirete rispondere certamente di sì perché
Banfi è personaggio famoso che dopo aver girato film squallidi è passato
alla televisione che lo ha accolto a braccia aperte.
Chi pensa a Banfi, infatti, pensa a Lino Banfi. Pochissimi, invece,
pensano al filosofo Antonio Banfi del quale ho scoperto un articolo in
una vecchia rivista che affronta il tema del rapporto macchina/uomo.
Banfi, classe 1887, morì nel luglio del 1957 e non riuscì a vedere il
miracolo dello Sputnik, il primo satellite artificiale che sarebbe stato
lanciato dopo circa due mesi e sarebbe stato interessante sentire il suo
parere su questo avvenimento epocale che posso dire di aver vissuto in
diretta anche se all’epoca (4/5 ottobre 1957) pensavo con più intensità
emotiva all’esperienza liceale che mi si stava squadernando davanti.
Il problema del rapporto fra l’uomo e la macchina non è nuovo e anche in
passato molti hanno discusso sull’argomento che quasi sempre demonizzava
la macchina. Machina multa minax… insomma macchina vuol dire macchinare
e il macchinare è sempre perverso. Anche Giovanni Pascoli aveva scritto
le sue impressioni su questo argomento (andatevi a leggere “La nuova
era”) e chissà quanti altri avranno visto nelle macchine una presenza
ostile e dannosa. Banfi (Antonio, ovviamente) elenca le critiche
principali: “Il transatlantico offende l’infinità del mare, l’aeroplano
la sublimità del cielo, l’autostrada la vitalità densa e misteriosa
della terra”. L’uomo, dunque, schiavo della macchina. Elementare Watson.
E invece elementare non lo è affatto perché il filosofo Banfi si chiede
se questa “schiavitù” sia colpa della macchina o dell’uomo. E anziché
attribuire alla macchina la responsabilità delle nostre schiavitù
auspicava una rivoluzione culturale nel nostro modo di pensare. Il
trionfo della tecnica, in fondo, non è poi così brutto come il diavolo o
chi per lui vorrebbe dipingere anzi a ben considerarlo si scoprono cose
interessanti. Il trionfo della tecnica, secondo Banfi, “è l’annuncio di
una nuova spiritualità, e come tale esige una sua propria educazione”.
Si prospetta una sorta di rivoluzione copernicana nel nostro modo di
pensare perché, dice Banfi, la nostra educazione è ancora essenzialmente
retorica. La nuova educazione tecnica, invece, deve essere al tempo
stesso educazione scientifica e umana. L’educazione scientifica “è
educazione alla ragione critica, sensibile alla complessità
dell’esperienza e libera nel suo interno processo da ogni limite
dogmatico”. Ma deve anche essere “educazione umana, storicamente
obiettiva, sostenuta da una coscienza concreta d’eticità personale e
sociale”.
C’è, dunque, una preoccupazione per il destino dell’uomo. Cosa farà
l’uomo si chiedeva il pirandelliano operatore Serafino Gubbio -
“quando tutte le macchinette gireranno da sé?”. E ancora: “L’uomo che
prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via i
sentimenti, ingombro non solo inutile ma anche dannoso, e divenuto
saggio e industre, s’è messo a fabbricar di ferro, d’acciajo le sue
nuove divinità ed è diventato servo e schiavo di esse”.
Nulla di nuovo, dunque, sotto il sole e nemmeno sotto la luna, che in
queste sere è una falcetta sottile sottile che sembra mietere stelle. Le
stelle, infatti, sono cadute a terra e forse sono quelle luci che ho
visto l’altra sera nel giardino di Paolo in questo straordinario mese di
giugno che Curzio Malaparte ha definito “il più profondo dei mesi”.
Banfi, le lucciole, Malaparte… ma è troppo caldo per far certi discorsi
e allora vi passo una battutaccia di quella linguaccia di Longanesi a
proposito di Malaparte. “E’ talmente egocentrico diceva il terribile
Leo che quando va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa, a un
funerale il morto!”.
Scrivo questa bollicina nella giornata di San Pietro e Paolo. Auguri a
tutti i Pietri, Pieri, Pierini e Paoli e ai loro corrispondenti
femminili. Dopo domani gireremo pagina ed entreremo in luglio. Mi
ricorda il mio esame di maturità e una tenera canzone intitolata “June,
July and August” cantata da Nancy Sinatra (nel 45 era accoppiata con
“Think of me”). Era il 1962. Come costuma dire in questi casi: sembra
ieri. E invece sono passati 44 anni. Il che, avrebbe detto Guareschi, è
bello e istruttivo.
Franco Gàbici
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Franco Gàbici
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del
Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista
pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani
Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze"
de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante
Alighieri".
Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di
cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col
Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di
don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano
("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli
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Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).
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