Quand’ero ragazzo l’unica cosa che mi piaceva del “Corriere della Sera” era la pagina degli spettacoli perché pubblicava anche le locandine dei film in programmazione. All’epoca io seguivo con un certo interesse la coppia Lewis & Martin che poi nel luglio del 1956 si separò con mio grande rammarico anche se poi ho continuato a seguire i due attori che esordirono da soli con due film in bianco e nero, Jerry nel “Delinquente delicato” e Dean nei “Giovani leoni”, ma si capisce che non era più la stessa cosa perché la coppia era la coppia insomma.
Questo per dirvi che io consultavo sempre la pagina degli spettacoli del “Corriere” la cui testata mi intrigava non poco perché il giornale si acquistava al mattino e invece questo recava nel titolo il richiamo alla sera, vai tu a capire il mondo dei grandi pensavo io. E poi quel giornale era proprio speciale, a cominciare dalla firme che per me non erano normali, a cominciare da Indro Montanelli e Panfilo Gentile.
Mi chiedevo come poteva un padre mettersi in testa di chiamare i propri figli Indro o Panfilo e invece lo hanno fatto e forse hanno fatto bene perché quei nomi, in fondo gli hanno portato fortuna, e dopo tutto devo dire, a cose fatte, che gli stanno proprio bene. Se non ci credete provare a pensare a un un Indro Montanelli che non si fosse chiamato Indro Montanelli: sarebbe stato un altro, una cosa da non pensarci nemmeno e del resto la pensava così anche Giovannino Guareschi in quel famoso dialogo sui nomi nel racconto “Radames”.
Quando don Camillo dice che “Il pubblico vuole dei nomi facili da pronunciare, che suonino bene, che possano diventare popolari”, Peppone gli risponde che sono balle e stupidaggini borghesi.
Quando, però, don Camillo ribatte: “E se il signor Giuseppe Stalin, invece che Giuseppe Stalin si fosse chiamato Evasio Bergnoclòni sarebbe stata la stessa cosa?”
Peppone borbotta: “Figurati! Stalin chiamarsi Bergnoclòni! Neanche da pensarlo!”.
Tutto questo, insomma, per dire che nemmeno Montanelli sarebbe stato lo stesso se si fosse chiamato Bergnoclòni, perché Montanelli doveva per forza chiamarsi Montanelli, sennò non sarebbe stato di certo Montanelli. E ricordo il grande giornalista nel centenario della nascita, avvenuta a Fucecchio (Firenze) il 22 aprile del 1909, lo stesso giorno in cui nasceva anche Rita Levi Montalcini, che proprio in questi giorni ha festeggiato il centesimo compleanno.
Per ricordare Indro stanno uscendo in edicola alcuni Dvd che raccolgono le sue interviste televisive e in una di queste al grande giornalista gli viene posta la domanda sui giovani che intendono intraprendere la professione del giornalista. Montanelli, uomo di mondo, risponde in maniera molto crudamente realistica affermando che il nostro bel paese è “corporativo” e dice che per diventare un buon medico bisogna essere figli di un celebre medico oppure sposare la figlia di un luminare eccetera eccetera e ovviamente la stessa cosa vale anche per il giornalismo.
Del resto gli esempi non mancano, molti giornalisti sono figli dei loro padri e sicuramente hanno fatto poca fatica a conquistarsi il posto. Io, ad esempio, quando penso a certa gente mi chiedo perché se ne stia in televisione a condurre programmi mentre io no e la risposta è ovvia. Al tempo stesso mi chiedo come mai il ministro Brunetta, sempre attento a bacchettare i dipendenti pubblici non adoperi la stessa bacchetta nei loro confronti, perché la tivù di cui parlo non è una faccenda privata ma è pubblica e i giornalisti vengono pagati anche coi soldi miei, che pago il canone. Poi vorrei che anche Bruno Vespa trovasse il tempo di dedicare un “Porta a porta” a questi argomenti, invece non lo fa a dimostrazione che quella dei giornalisti è una casta intoccabile mentre un dipendente pubblico se favorisce un proprio congiunto, apriti cielo, si mette in una meliga di guai e viene accusato di corruzione.
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoConversazione su “Una Canzone al Giorno” per riascoltare la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
Non credo che ai miei lettori (se mai ne ho qualcuno) interessino più di tanto le mie faccende personali ma, tanto per dire, io avrei fatto carte false per fare il giornalista ma purtroppo nel mio albero genealogico non c’è un giornalista nemmeno a pagarlo e così se ho dovuto guadagnarmi il pane e il lesso ho dovuto calcare altre strade. Anche se oggi collaboro a testate nazionali mi sento come un tale che gira attorno al grande tempio del giornalismo senza però aver mai trovato la porta per entrarvi. Quello che voglio dire è che invece molti la porta l’hanno trovata subito e senza fatica, a dimostrazione che il nepotismo esiste e che in certi casi è pure intoccabile.
Solamente papa Innocenzo XII (Antonio Pignatelli di Spinazzola) ebbe il coraggio di scagliarsi contro il nepotismo e nel 1692 firmò pure una “bolla” a questo proposito. Il papa fa le “bolle” e io faccio le “bollicine”. Ma il nepotismo resta. Il chè, come diceva la buon’anima di Giovannino Guareschi, è bello e istruttivo.
Franco Gàbici
Il racconto “Radames” di Giovannino Guareschi si trova in “Don Camillo e il suo gregge”, Milano, Rizzoli, 1965, p. 151-158.
Se hai un collegamento veloce ADSL clicca sulla freccia e guarda la VideoLettura delle pagine che Franco Gàbici dedica a “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno e Franco Migliacci nel suo “Una Canzone al Giorno”, il libro per “riascoltare” la colonna sonora dei favolosi Anni Sessanta.
(Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è stato dal 1985 al 2008 direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno - Avvenire. E' direttore responsabile della rivista Gnomonica e redattore di Nuova Civiltà delle Macchine. Presidente del comitato ravennate della "Dante Alighieri" è autore di numerosi saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005), Una Canzone al Giorno" (Simonelli Editore, 2007).