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Ravenna, 3 novembre 2005


Ed ecco Marte,
in tutto il suo splendore rosso

  Date uno sguardo, fra una nube e l’altra, a quel punto luminoso che rosseggia in cielo fra le costellazioni dell’Ariete e del Toro. E’ il pianeta Marte, che il 7 novembre è in opposizione alla Terra e dunque nelle migliori condizioni di essere osservato. Il “pianeta rosso”, infatti, si troverà dalla parte opposta al Sole rispetto alla Terra e sarà visibile per tutte le notti di questo autunno. Anche due anni fa, per la verità, si è verificata una “opposizione” e in quell’occasione il pianeta era anche più vicino (poco meno di 59 milioni di chilometri) però, siccome le gioie non sono mai piene, era troppo basso sull’orizzonte e ciò causava problemi di osservazione. In questo periodo, invece, Marte è un pochino più distante da noi (una settantina di milioni di chilometri), ma in compenso si trova molto alto sull’orizzonte e dunque ben visibile.
  Astronomi e astrofili di tutto il mondo stanno lustrando gli strumenti per osservare il pianeta, ma scommetto che nessuno pensa alla curiosa coincidenza che mescola astronomia e letteratura. Il 7 novembre, infatti, è anche una famosa data letteraria perché proprio in un famoso 7 novembre di 377 anni fa, e dunque nell’anno di grazia 1628, si verificò non una “opposizione”, ma un “incontro ravvicinato” fra un certo curato di nome don Abbondio e i tristissimi bravi del terribile Don Rodrigo.
  Ricordate l’incipit dei “Promessi sposi”?: “Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato d’una delle terre accennate di sopra…”. Il 1628, anno della peste, era stato in qualche modo annunciato, come scrive Manzoni: “Vedevano, la più parte di loro, l'annunzio e la ragione insieme de' guai in una cometa apparsa l'anno 1628, e in una congiunzione di Saturno con Giove…”. Nell’anno 1628, però, sembra che non sia apparsa nessuna cometa, ma la peste arrivò lo stesso.
   Dunque le comete non c’entrano nulla con le disgrazie che capitano sulla terra, ma la gente continua a credere che invece esistano oscuri e misteriosi legami fra cielo e terra. E c’è gente addirittura che vorrebbe fare assurgere l’astrologia a scienza esatta, come apprendo da una notizia apparsa recentemente su un inserto del “Sole 24 ore” e la notizia arriva dagli Stati Uniti, paese dei contrasti. Sembra, infatti, che in un’aula di un tribunale della Pennsylvania si stia dibattendo se conferire o no all’astrologia il carattere di scienza esatta. O tempora, o mores! Tuonava Cicerone nella prima Catilinaria, quella che inizia “Qousque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?”, e in effetti c’è proprio da mettersi le mani nei capelli al pensiero che possano succedere ancora queste cose. E invece succedono, purtroppo. E magari c’è gente che pensa che questa “opposizione” potrebbe “portar male” e causare nefasti influssi sulla nostra vita. Stelle e pianeti, invece, hanno ben altro da fare che pensare a noi e alle nostre sciagure.
  Tutto questo mi vien fatto di pensare in questo inizio di novembre, con il vento d’autunno che rende inquiete le foglie degli alberi e con le ultime lucertole che si aggrappano ai muri tiepidi di sole che in questi giorni tramonta in mezzo ad antichi sapori d’estate e mi vengono in mente altri “novembri” lontani, quando morì Pasolini e quando morì Berto, forse uno degli autori più ingiustamente tartassati di questi ultimi anni…
  Il tempo passa e il nostro vecchio pianeta sembra girare a rovescio, i telegiornali informano degli umori di Al Bano e perfino i quotidiani europei si interessano delle celentanate. La misura è colma, ma evidentemente dentro alle cucurbite della gente esiste un vuoto torricelliano. “Torricelliano” deriva da Torricelli, non Eulalia Torricelli da Forlì, ma Evangelista Torricelli, romagnolo doc, di Faenza, la città della ceramica, Romagna solatia (quando non piove, si capisce), terra del liscio e delle piadine, ma anche terra di famosi scienziati, come il grande Gregorio Ricci Curbastro al quale la sua città natale, Lugo di Romagna, dedica una serie di giornate per ricordarlo a ottant’anni dalla morte, lui che dette musica (leggi algoritmo matematico) agli spartiti (leggi teorie) di Albert Einstein, il grande genio della fisica ben noto a tutto il mondo per i suoi capelli lunghi e per il fatto che non portava mai i calzini, ma che cos’abbia detto veramente, a quanto pare, nessuno sembra saperlo, perché formulò teorie troppo complicate e difficili da omogeneizzare e da dare in pasto alla gente, che si merita solamente isole dei famosi e altre scempiaggini equipollenti, la gente che ama il vaniloquio e le cose insulse e che trova i mass media disposti a elargirle notizie di prima qualità, come il sedere di una bella ragazza che per la prima volta è stato accolto fra le pagine di Famiglia Cristiana.
O tempora, o mores!
Veramente. Il nostro pianeta continua a girare a rovescio e se andiamo avanti di questo passo andrà a finire che la signorina buonasera annuncierà, prima della proiezione, che “per le situazioni presentate e per il linguaggio usato si sconsiglia la visione ai telespettatori maggiori di quarant’anni”.
O tempora, o mores.

Franco Gàbici

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Franco Gàbici (Ravenna, 22 maggio 1943). Laureato in fisica, è direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna. Giornalista pubblicista, collabora con articoli di scienza e costume ai quotidiani Il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno, Avvenire e all'inserto "Tuttoscienze" de La Stampa. E' presidente della sezione ravennate della "Dante Alighieri". Oltre a una ventina di saggi di storia locale ("Ravenna: cento anni di cinema", "Leopardi turista per caso"...), ha scritto "Didattica col Planetario" (La Nuova Italia, 1989) ed è autore dell'unica biografia di don Anacleto Bendazzi, considerato il più grande enigmista italiano ("Sulle rime del don", Ravenna, Essegì, 1996), "Gadda - Il dolore della cognizione" (Simonelli Editore, 2002; SeBook, 2004), "Buon Compleanno,ONLY YOU!" (Simonelli Editore, SeBook, 2005).

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Franco Gabici

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